
"Come nella musica della lira e dei flauti e nello stesso canto vocale occorre mantenere un'armonia tra suoni distinti, la cui monotonia o dissonanza non può essere sopportata da orecchie esperte, e questa armonia è resa appunto concorde e regolare per l'accordo di suoni estremamente differenti, così con l'intreccio delle classi superiori e medie ed infime secondo un criterio di contemperamento la città armoniosamente risuona dell'accordo di differenti suoni; e quella che dai musici è chiamata armonia nel canto, quella è, nella città, la concordia, garanzia solidissima ed ottima di integrità in ogni Stato, la quale non può sussistere a nessun patto senza la giustizia". (Cicerone, De re publica, II 69).
Alla fine dell'Ottocento, in anni di profonde lacerazioni all'interno dell'Opera dei Congressi, Giuseppe Toniolo matura il suo pensiero politico e affronta la questione più delicata dell'epoca, quella della democrazia e della sua accettazione da parte dei cattolici. E lo fa spostando l'attenzione sugli aspetti etico-sociali della teoria democratica, partendo da una visione dell'uomo e della storia, che a ragione giudicava il vero fulcro di tutte le dispute della modernità. Il suo obiettivo polemico è quel positivismo materialistico e meccanicistico che tanta fortuna ebbe in quegli anni. Le accuse di scarso realismo, ancorché comprensibili alla luce della successiva evoluzione in senso istituzionale del pensiero democratico-cristiano, non potevano negare la validità del suo contributo. La sua è una vera e propria metafisica della democrazia, una coerente teoria dell'obbligazione politica e della legittimazione dell'ordinamento civile in chiave teleologica.
"Re Giorgio": così, il 3 dicembre 2011, dopo il varo del governo Monti, il "New York Times" definisce il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. In quei giorni concitati di crisi economica e di governo, il capo dello Stato è infatti "emerso come Tanti-Berlusconi, e con la moglie Clio ha incarnato un'Italia diversa, un'Italia di virtù civiche". Nella sua biografia politica, il prudente e diplomatico Napolitano è stato varie volte "primo": il primo ad aver avuto ragione sul tema del riformismo (lo dice Fassino nel 2001), il primo ex comunista nominato ministro dell'Interno (1996), il primo ex comunista eletto al Quirinale. E il primo esponente del Pci a essere ricevuto in pompa magna negli Stati Uniti. Questo libro ne ripercorre la crescita politica, il rapporto con il partito, i suoi esponenti (da Giorgio Amendola a Enrico Berlinguer), la sua storia e le sue correnti - di cui egli ha sempre incarnato quella riformista e moderata - ma anche con la sua Napoli e con l'amatissima moglie Clio, compagna nella vita e negli ideali. Per darci un ritratto veridico quanto appassionato dell'uomo che, Costituzione alla mano, ha saputo tenere le redini del Paese.
Il diario politico del 2011 raccontato dal più corrosivo e implacabile tra i giornalisti italiani. Un appuntamento che ogni lunedì tiene incollate al video migliaia di persone, in diretta sul seguitissimo blog di Beppe Grillo. In molti l'hanno capito, è l'occasione unica per informarsi davvero, rompere con il sistema addomesticato dell'informazione televisiva ed entrare direttamente dentro la cronaca, gli scandali e l'attualità politica. Finalmente senza filtri. Ruby e i festini di Arcore; P2, P3 e P4; Berlusconi e i processi; i referendum e il crollo dei partiti; le elezioni regionali e la sconfitta del Pdl; lodi e leggi ad personam... Tutto quello che dovevate sapere e che nessuno ha raccontato. Anzi, in molti l'hanno nascosto. Ogni intervento di Marco Travaglio è una ricostruzione minuziosa dei fatti e un atto d'accusa contro il potere che pensa solo a se stesso, mai ai cittadini e ancora meno al bene comune.
Non c'è partito, schieramento o personaggio politico che ne sia immune: quello di dire le bugie in Italia è un virus più che un vizio, un modo di essere più che un'abitudine. Nell'epoca dei mezzi di comunicazione di massa e dei talk show, l'argomentazione ha ceduto il passo alla declamazione, e i fatti sono stati sostituiti dalle opinioni. Non importa cosa si dice: l'importante è dirlo forte, in una sorta di gara a chi la spara più grossa. "Bugiardi" non ha la pretesa di raccogliere tutte le menzogne e le false promesse dei politici di turno - del resto, sarebbe un'impresa impossibile - ma ce ne offre un'antologia ricca e aggiornata in cui, con tagliente ironia e impeccabile imparzialità, l'autrice smaschera l'ipocrisia della Casta, che troppo spesso crede di poter prendere in giro impunemente i propri elettori.
Busto Arsizio, 1986: Marco Reguzzoni ha 15 anni quando assiste al comizio del fondatore di un neonato movimento politico che vuole promuovere l'autonomia, il federalismo, il recupero delle tradizioni locali. Il leader è Umberto Bossi, il movimento la Lega Lombarda (destinata a diventare Lega Nord), e il quindicenne inizia un percorso che gli cambia la vita. Oggi che quel ragazzo è capogruppo alla Camera, Reguzzoni ripercorre la propria esperienza riflettendo sulla storia del movimento, sul ruolo decisivo di Bossi, gli obiettivi da raggiungere e quelli ottenuti, le piccole imprese e le prospettive globali e locali, l'immigrazione, la rivoluzione federale contro il potere dello Stato centralista.
Attraverso la ricostruzione dell'itinerario critico avviato nel 1922 con la Terra desolata e culminato nella dichiarazione "anglo-cattolica, monarchica e classicista" del 1928, il libro porta in primo piano le motivazioni, le finalità e la genesi del pensiero politico di Eliot. Animata dall'intento di ristabilire il valore intellettuale del Cristianesimo e imperniata sulla distinzione tra l'"Eterno" e il "Transitorio", l'attività di Eliot si traduce in un impianto teorico sorretto dal primato attribuito alla fede religiosa, articolato sull'adesione ai principi del conservatorismo e incentrato sull'intento di privilegiare le idee politiche rispetto alla politica. In tale prospettiva, le analisi storiche di Eliot si impongono come il presupposto fondante di un discorso politico finalizzato a istituire una diretta congiunzione tra i compositi scenari della modernità e le contraddizioni ideologiche del proprio tempo.
Cos'è veramente quella che molti si ostinano a chiamare l'antipolitica? Casaleggio e Grillo raccontano la loro esperienza e la rivoluzione che sta coinvolgendo sulla rete milioni di persone. Il mondo sta cambiando. I movimenti spontanei stanno emergendo ovunque sostituendosi ai partiti, dall'Islanda alla Svezia, dal Partito dei pirati tedesco agli Indignados spagnoli, fino al Movimento 5 Stelle italiano: nato in rete, senza un euro di finanziamento pubblico, con tutti i media contro, è considerato il possibile terzo polo alle prossime elezioni politiche; già ora conta 130 consiglieri comunali e regionali con percentuali di voto tra il 4 e il 6 per cento su base nazionale. La rete è un'opportunità unica per creare un'intelligenza collettiva che possa affrontare i problemi della società permettendo a ciascuno di partecipare alle scelte che lo riguardano. Non sarà una passeggiata, avvertono gli autori. Il vecchio mondo prima di mollare privilegi e potere venderà cara la pelle. La guerra durerà molto a lungo.
Se la destra è un'invenzione della sinistra, non rimane che riconoscere, con Madiran, che fuori della sinistra non vi è che il Cristianesimo. Fuori dal mondo salvato dall'Uomo, dall'Utopia, dal messianismo politico comunista o nazionalsocialista, dalla statolatria, dallo scientismo, dall'ecologismo eccetera, non vi è che l'uomo creato da Dio e salvato da Cristo. Oltre la giustizia e l'eguaglianza imposte dall'alto, dallo Stato che prende il posto di Dio, non vi è che la rivoluzione "interiore e personale", la conversione dei cuori, la libertà cercata nel cammino spirituale. Fuori dalle religioni atee della politica, non c'è un altro partito, un'altra rivoluzione, un altro Potere mondano, perché "la porta stretta del Cristianesimo è - sicuramente di cercare dapprima il regno di Dio e la sua giustizia e il resto sarà donato in sovrappiù".
La costruzione dei quartieri popolari, il Progetto Fori, la consacrazione dell'estate romana e la metropolitana che unisce il centro con le borgate: il ritratto del politico che in soli due anni ha trasformato la Capitale. Il 7 ottobre del 1981 scompare Luigi Petroselli: il sindaco di Roma "morto sul lavoro come un edile", per citare le parole dei giornali del tempo. I suoi funerali diventano un evento senza precedenti. Vi partecipano politici e personaggi di spicco, tra cui il primo cittadino di Parigi, il conservatore Jaques Chirac, nonostante un'idea di città completamente differente. Petroselli vuole unificare il centro storico alle periferie, dove vive confinata un'umanità usata solo come forza lavoro. Così, infatti, erano in quegli anni le borgate della Capitale, paragonabili agli slum delle metropoli del Terzo mondo. Il sindaco "umile" lotta per ridare dignità e diritti a un'intera città. In soli due anni rivoluziona il tessuto urbano: con l'Estate romana riporta in piazza i cittadini impauriti dagli Anni di Piombo, avvia i nuovi lavori della metropolitana, parte con la costruzione dei quartieri popolari e progetta la chiusura di via dei Fori imperiali, per restituirla alla storia riallacciandola al parco dell'Appia antica. È un infarto a spezzare il suo sogno di città ideale. Ella Baffoni, giornalista de "l'Unità", e Vezio De Lucia, tra i massimi urbanisti italiani, ricostruiscono la figura e l'operato di Petroselli a trent'anni dalla sua morte
In 150 anni l'Italia unita ha fatto molti progressi. Il numero dei suoi abitanti è quasi triplicato. Non è più paese di emigrazione, anzi ha ora oltre 4 milioni di immigrati. La speranza di vita dei suoi abitanti è più che raddoppiata e la mortalità infantile è oggi cento volte minore di quella del 1861. L'analfabetismo è sceso dal 78 a meno del 2 per cento. Tutto ciò è avvenuto nonostante la presenza di un agente storico, come lo Stato italiano, tanto debole. Quanto diversa avrebbe potuto essere la storia italiana se il nostro Paese avesse avuto fin dal principio una costituzione "efficiente", esecutivi duraturi, un severo minimo di governo, leggi che dettano regole e non deroghe, vertici amministrativi scelti in base al merito e autenticamente imparziali, istituzioni capaci di creare fiducia nello Stato come ente rappresentativo della collettività, e di costituire il capitale sociale assente?
Nell'aprile 2006 il mondo editoriale italiano è stato sconvolto da un bestseller clamoroso e inaspettato, trasformatosi in poco tempo in un terremoto culturale, sociale e civile: "Gomorra". Un libro anomalo in cui Roberto Saviano racconta la camorra come nessuno aveva mai fatto prima, unendo il rigore del ricercatore, il coraggio del giornalista d'inchiesta, la passione dello scrittore e, soprattutto, l'amore doloroso per una città da parte di chi vi è nato e cresciuto. Per scriverlo si è immerso nel "Sistema" e ha così svelato come, tra racket di quartiere e finanza internazionale, un'organizzazione criminale possa tenere in pugno un'intera regione, legando firme del lusso, narcotraffico, smaltimento dei rifiuti e mercato delle armi. "Gomorra" è un libro potente, appassionato e brutale che afferra il lettore alla gola e lo trascina in un abisso dove nessuna immaginazione è in grado di arrivare.