
Tra cattolici e politica non è mai stata luna di miele. Eppure oggi, più che in passato, il mondo cattolico sembra essere diventato terreno fertile per le scorribande di uomini di potere pronti a strumentalizzarlo trascinandolo su posizioni lontane dal Vangelo. Dall'ostentazione dei simboli cristiani per catturare consenso alla fine dell'unità politica dei cattolici, dalla politica razionale alla politica emozionale, dalla volatilità del voto all'astensionismo, nulla sembra far presagire il ritorno del «moriremo democristiani». E questo è certamente un bene per Fabio Pizzul, che in pagine ricche di spunti e sollecitazioni si chiede: quanto contano oggi i cattolici in politica? Ma soprattutto: quanto conta la politica per i cattolici? Se i cosiddetti "atei devoti" si fanno paladini di valori non negoziabili, il rischio per i cosiddetti "cattolici democratici" è di ridursi a una minoranza inattuale, conservatrice e non più comprensibile, che insiste sui soliti temi, barcamenandosi fra un Family Day, un Vaffa Day e un ritrovo delle Sardine. L'ormai innegabile marginalità dei credenti nel rapporto tra cattolicesimo e politica apre per l'autore prospettive nuove, tutte da esplorare. E il tema, tornato recentemente alla ribalta, continuerà a infiammare il dibattito: dai mass media ai social, dai partiti ai movimenti, dalle parrocchie alle più alte gerarchie.
La parola "democrazia" evoca in tutto il mondo occidentale la forma di convivenza più civile tra quelle che l'umanità ha saputo inventare e sperimentare nel corso del tempo. Perché la democrazia non corrisponde soltanto a uno stile di governo efficace ma anche a un insieme di valori percepiti come eticamente indiscutibili in quanto garanti dell'uguaglianza, della salvaguardia dell'individuo e della giustizia. È per tutte queste ragioni che sorprende leggere in quale opinione Platone tenesse la democrazia. Dalla Repubblica al Politico, dalle Leggi al Gorgia, l'antologia dei brani nei quali il padre della filosofia concentra i suoi ragionamenti a dimostrazione dell'inaccettabilità della democrazia. Franco Ferrari raccoglie i principali testi antidemocratici di Platone offrendo una lettura determinante per la comprensione globale del pensiero del grande filosofo.
Un secolo di storia della sinistra americana, dagli inizi del Novecento fino alla presidenza Obama, raccontata attraverso le sue battaglie e i suoi principi. Le idee dei suoi pensatori e dei suoi attivisti, ma anche le esperienze concrete di chi ha governato con valori progressisti la più grande potenza mondiale. Una storia di passioni per una famiglia politica che, da Roosevelt a Clinton e Obama, non ha mai cessato di essere un punto di riferimento nel mondo.
In questo volume l'autore riprende la tematica dello Stato già affrontata in un'opera precedente, per svilupparla sul piano dell'analisi concettuale e concentrarsi poi su una serie di problemi relativi all'età contemporanea. Sono esaminati in particolare alcuni dei più significativi mutamenti intervenuti nella struttura e nel funzionamento dei regimi liberal-democratici nel ventesimo secolo, con l'espansione della sfera pubblica e la crescente diversificazione e autonomizzazione degli assetti amministrativi. La parte finale del libro è dedicata alla cosiddetta "crisi dello Stato" e cioè alle sfide poste da una serie di fenomeni transnazionali contemporanei quali l'interdizione della guerra nucleare, la globalizzazione dell'economia e la questione ecologica.
Il fenomeno burocratico è universalmente presente nelle società contemporanee. In ciascuna presenta effetti riprovevoli così vari e molteplici da far dimenticare per quali ragioni storiche e concettuali la burocratizzazione ha costituito l'indispensabile dimensione amministrativa nei processi di modernizzazione e razionalizzazione della società, in contesti sia pubblici che privati. Dopo aver affrontato questo tema nella prima parte, nella seconda l'opera considera varie patologie tipiche della struttura e del funzionamento degli assetti burocratici. Distingue alcune patologie dovute a fenomeni che hanno ritardato e ostacolato la burocratizzazione, rendendola incompleta e difettosa, da quelle più massicce e visibili che essa produce quando invece viene realizzata in misura eccessiva. Fenomeni di questo secondo tipo sono stati identificati e lamentati molto diffusamente nella letteratura e nel discorso pubblico contemporaneo, specie quello d'ispirazione neo-liberale. Per questo la terza parte sottopone a una disamina critica gli argomenti in questione, riaffermando la necessità e legittimità della gestione consapevole, politicamente ispirata, di alcuni aspetti della vita sociale che altri vorrebbero invece affidare esclusivamente al mercato.
Contiene due capitoli d’inchiesta sulla gestione dei fondi della Lega da Tangentopoli a oggi.
«Era una lega di cuore, ma come arriva questa prima mazzetta qualcosa si rompe. Non possiamo pensarla solo come una mazzetta, quella prima tangente va letta come un’induzione al peccato. Vi stupirà questa mia difesa della Lega di allora, ma l’ho vissuta in diretta, perché io me lo ricordo davanti a me il Bossi…»
Antonio Di Pietro
«A me non fa né caldo né freddo se la Lega dovrà andare avanti da sola senza Berlusconi, anzi. Saremo più liberi di scegliere. Ma questo lo vedremo poi. Adesso l’obiettivo è tenere Verona»
Flavio Tosi
Il libro
La Lega quasi per due decenni è stata il sale di uno scombussolamento e di un riallineamento di molte convinzioni, più proficua e di impatto sulla politica italiana dello stesso berlusconismo. Come, quando, perché questa diversità leghista è cominciata a svanire?
[dalla prefazione di Lucia Annunziata]
Un Caimano che si ritira – momentaneamente - dalla lotta. Un re senza il suo più potente alleato, minato dalla malattia, chiuso in un cerchio magico guidato dalla sua regina e composta da consiglieri che non sempre agiscono per il suo bene.
E nelle verdi valli padane il suo più fedele scudiero che va alla conquista di terre, paesi e militanti, un esercito che non va disperso, ma tenuto unito. Per realizzare quello che al vecchio re non è riuscito fino a quel momento: un Nord davvero libero e potente. I Barbari sognanti attendono, non vedono l’ora di incrociare le armi. E di vincere. Si può raccontare come una saga celtica la storia dell’ultimo anno della Lega. Una saga che spesso sostituisce ai toni epici quelli scurrili del re Bossi in piena decadenza, e a sanguinose battaglie scambi velenosi di battute e invettive che dalle basi leghiste rimbalzano su stampa e tv. E invece dell’amore di una principessa, qui in palio ci sono non solo poltrone, denaro e potere ma l’idea stessa di un’altra Italia, di un altro Nord. Per il partito italiano più longevo è giunto il momento di un cambio della guardia, ma nn è un passaggio facile e gli esiti sono imprevedibili.
E, soprattutto, non sarà indolore.
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino» (l'autrice)
"Diario russo" è il testamento morale di Anna Politkovskaja, ma anche la spiegazione implicita del suo assassinio, avvenuto il 7 ottobre 2006 e rimasto impunito. Il libro ricostruisce infatti in dettaglio, su basi rigorosamente documentarie, anni cruciali della storia russa, contemporanea. Rispetto alla Russia di Putin, questa volta la verità sul Paese non si rivela attraverso un affresco polifonico, storie convergenti che solo alla fine individuano il loro motore immobile nella figura di Putin. Qui la prospettiva è rovesciata: si parte dal centro stesso del potere, documentando giorno per giorno il gioco politico che ha portato alla morte della democrazia parlamentare russa e al progressivo contrarsi della libertà di informazione. Una morte annunciata già nel 1999, ma divenuta palese con l'elezione pilotata della Quarta Duma nel dicembre 2003 e l'indebolimento del fronte democratico. L'esplosione nella metropolitana di Mosca, il crollo del Parco acquatico di Jasenevo, l'insabbiamento dell'inchiesta sull'eccidio al teatro Dubrovka, l'assassinio del presidente ceceno Achmet Kadyrov e l'intervista a suo figlio Ramzan, le testimonianze sul sequestro di Beslan, le cosiddette "azioni terroristiche di Al-Qaeda nel Caucaso": sono solo alcune tappe di un viaggio perturbante nella storia di ieri. E la formula del diario permette di ricostruire i passaggi intermedi di avvenimenti che hanno sconvolto la Russia e insieme le loro connessioni con la politica, spesso sfuggite ai media occidentali.
Chi vuole rottamare, chi promette di asfaltare, chi minaccia di usare la ruspa. I politici dei nostri giorni amano distruggere, annunciano di voler abbattere l'edificio del passato, anche se di solito finiscono per abbattersi da soli. Ci fu invece un uomo, quando l'Italia era ancora un regno ma stava per diventare una repubblica, che si propose come «costruttore»: Alcide De Gasperi. Intorno a lui, le macerie della guerra provocate da un grande «distruttore». Eppure, De Gasperi riuscì a ricostruire l'Italia. In otto anni da presidente del Consiglio mandò via il re, difese l'integrità territoriale di un Paese sconfitto, ottenne i finanziamenti del Piano Marshall, portò Roma nel Patto atlantico e costruì l'embrione dell'Europa unita con Francia e Germania, creò la Cassa del Mezzogiorno e l'Eni di Mattei, promosse le grandi riforme sociali e avviò il miracolo economico. Invece di una rivoluzione, fece una democrazia. Quella in cui oggi viviamo. Un uomo nato povero e rimasto umile, sobrio e devoto, così diverso non solo dai politici attuali ma anche da quelli del suo tempo. E infatti morì da «uomo solo» nella Dc. Ma l'Italia lo capì e lo ammirò: alla sua morte ci fu un'ondata di commozione nazionale e il treno che trasportò la salma da Borgo Valsugana a Roma fu accolto dalla folla in decine e decine di stazioni. Fu un santo? Secondo alcuni sì. A Roma è in corso il processo di beatificazione che entro il Giubileo del 2025 potrebbe portare alla consacrazione di «venerabilità». Nel settantesimo anniversario della morte, attraverso cinque lezioni di straordinaria attualità - che spaziano dalla sua concezione della democrazia come «antidittatura», che lo portò a essere prima antifascista e poi anticomunista, alla politica estera, alla gestione della spesa pubblica, all'intervento nel Mezzogiorno -, Antonio Polito racconta la storia del primo e unico «premier forte» della Repubblica: per offrirne il modello a chi oggi guida o si candida a guidare l'Italia, ai politici dei nostri tempi.
L'ultimo ventennio della Destra al potere si è risolto in un fallimento. Quella particolarissima forma politica che è stata il berlusconismo ha concluso il suo ciclo di governo, e nessuno sa se ci sarà un'altra Destra a prenderne il posto. A differenza di tutti gli altri Paesi europei, infatti, in Italia una Destra non è mai veramente esistita dall'Unità d'Italia fino al 1994. Ma qual è il motivo di questa anomalia? Perché siamo l'unico Paese occidentale a non avere conosciuto per più di un secolo una vera alternanza? Con una analisi nuova, documentata e non senza sorprese, Polito risponde a queste domande affondando la sua ricerca nella lunga e sofferta storia del trasformismo all'italiana, dal Connubio di Cavour al primo "ribaltone" del 1876, dal primo grande "inciucio" del 1882 alla grande ammucchiata sotto le insegne del fascismo, passando per la "maggioranza silenziosa" di un partito "che non osa dire il suo nome" fino all'inedita e sfarzosa "Destra bling bling" dell'ultimo Berlusconi. Senza pregiudizi o conformismi di comodo, ma analizzando impietosamente le ragioni del fallimento della Destra al potere, Polito dimostra che la triste parabola degli ultimi anni non è che la conclusione di una lunga serie di sconfitte. Ci sarà dunque nella Terza repubblica chi avrà il coraggio di fare appello a un elettorato che è storicamente maggioritario ma che non ha una sua storia?
"Se in passato c'è stato un problema di troppo pochi mezzi di informazione e quindi di un accesso limitato all'informazione, oggi, e per il futuro, la preoccupazione maggiore è che, in un mondo dove prevale semmai l'abbondanza nell'offerta di contenuti, ciascuno resti nel suo piccolo recinto di informazione amica e non si esponga mai all'ascolto di idee diverse dalle proprie."

