
Luglio 1992, la Sicilia è dilaniata dalle stragi. In città c'è un poliziotto che ha lavorato con Falcone e sono tre anni che si occupa dei misteri di Palermo. Si chiama Gioacchino Genchi. È a lui che chiedono di scoprire qualcosa sulle agende elettroniche del giudice. E di capire dai telefoni se qualcuno spiasse Paolo Borsellino. E lui qualcosa scopre. Scova file cancellati e li ritrova. Poi ipotizza una pista per via D'Amelio: date, nomi, luoghi. Diventa vice del gruppo Falcone-Borsellino. Ma quell'indagine non la finirà mai. Una mattina all'improvviso sbatte la porta. E se ne va. Da allora non ne ha mai parlato. Finché approda a Catanzaro, per la Why Not di Luigi de Magistris. Una mattina accende il pc, guarda i tabulati telefonici. E all'improvviso sbianca. Ma non fa in tempo a stendere una relazione: revocato l'incarico, indagato e perquisito, sequestrato l'«archivio» con tutti i dati fin dal 1992. Attaccato da ogni parte politica. Sospeso dalla polizia. E altrove quattro magistrati perdono il posto. E allora cosa c'era in Why Not, cosa c'era in quei tabulati? C'erano giudici a contatto con boss, magistrati amici degli indagati e dei loro avvocati. Ma c'era soprattutto un intreccio telefonico economico-politico-giudiziario che da Catanzaro saliva a Roma. E ora che per difendersi ha depositato in tribunale le sue scoperte, può finalmente raccontarlo: perché lasciò allora, perché è stato fermato adesso. Con nomi, date e luoghi.
Tutto il mondo parla di Kamala Harris. Come ha fatto la figlia di due immigrati, nata nella California ancora segregata, a diventare la prima vicepresidente donna nera degli Stati Uniti? Se Kamala deve a qualcuno il suo posto nella storia, quel qualcuno è la donna che la mise al mondo a Oakland nel 1964, dandole il nome di una dea indù, perché «una cultura che venera divinità femminili produce donne forti». Sua madre era una ricercatrice indiana emigrata in California a 19 anni in cerca di una vita e un'istruzione migliori. Suo padre, un professore di economia giunto negli Stati Uniti dalla Giamaica per gli stessi motivi. Kamala assorbe in famiglia l'insofferenza per l'ingiustizia sociale e impara a non farsi spaventare dalle porte chiuse. Al pari dei suoi compagni della Howard University, l'ateneo nero di Toni Morrison, sente di poter diventare qualunque cosa. «Eravamo giovani, talentuosi e neri, e non avremmo permesso a niente e nessuno di sbarrarci la strada.» Etica del lavoro, determinazione, volontà di ferro sono le sue armi. E con queste sfonda molti muri e inaugura la sua collezione di prime volte: nel 2003 procuratrice distrettuale di San Francisco, nel 2010 prima procuratrice generale nera nella storia della California. Nel 2016 è eletta senatrice: è la prima afro-asio-americana. E se con queste stesse armi ha perso una battaglia, le primarie presidenziali, ha vinto però la guerra: la vicepresidenza degli Stati Uniti. Da procuratrice, si batte contro gli abusi sui minori, i crimini d'odio, la dispersione scolastica. Da candidata in lizza per la nomination democratica contesta a Joe Biden la sua antica collaborazione con due senatori contrari agli scuolabus per l'integrazione razziale: «C'era una bambina, in California, che ogni mattina prendeva uno di quegli autobus. Quella bambina ero io». Parole che hanno fatto il giro del mondo, utilizzate dai suoi sostenitori quanto dai suoi detrattori. Certo è che quello stesso Joe Biden l'avrebbe poi scelta come numero due della Casa Bianca. Kamala si era fatta notare. Ancora una volta, a modo suo.
Come si colloca il tema della capitale nel contesto dell'integrazione europea e in presenza di una rapida trasformazione del mercato del lavoro nel quale tende a ridursi lo spazio dell'impiego pubblico generico a bassa specializzazione? Come affrontare le domande e i bisogni crescenti di una grande metropoli internazionale nel contesto della globalizzazione e di una riduzione delle risorse pubbliche disponibili per soddisfare queste nuove domande? In quale direzione orientare lo sviluppo di Roma, in un mondo segnato dall'incessante innovazione tecnologica in ogni settore della vita economica e sociale che accelera il tramonto dell'edilizia espansiva e della burocrazia manuale? Sono i temi centrali di questo libro di Roberto Morassut, nel quale si cerca di dare un ordine al flusso della recente storia politico-amministrativa di Roma come presupposto essenziale per tentare delle risposte. Una ricerca che punta sull'uso del patrimonio pubblico e dei beni comuni come motore per una moderna sussidiarietà, una ricerca che parte dalla constatazione che Roma deve rompere il circuito ristretto del proprio mercato interno, finanziario ed economico-imprenditoriale, favorendo l'accesso di nuovi protagonisti internazionali. Sullo sfondo tornano con frequenza il tema della crisi del ceto medio come processo mondiale ma anche come fenomeno tipico di Roma e la convinzione che il Partito Democratico a Roma potrà onorare la responsabilità che gli spetta.
Il primo ottobre 1992, il potente ex sindaco di Palermo, in rapporti con Totò Riina e Bernardo Provenzano e più volte arrestato e già condannato in primo grado per associazione di tipo mafioso, consegna al colonnello Mori e al capitano De Donno un libro da lui scritto, intitolato Le Mafie. I magistrati ai quali il libro venne ovviamente consegnato, non considerarono Ciancimino un testimone affidabile e non sostennero il tentativo di Mori e De Donno di convincerlo ad avviare una reale collaborazione con la giustizia. Per la priva volta, Mori (ancora nel maggio 2024 la procura della Repubblica di Firenze ha ritenuto giusto emettere un avviso a comparire nei suoi confronti con accuse di estrema gravità) e De Donno pubblicano ampi stralci del memoriale di Vito Ciancimino e ripercorrono attentamente tutto ciò che hanno vissuto, raccontando fatti, incontri, situazioni compromettenti, personaggi sui quali non è mai stata fatta completamente luce. L'ex sindaco, infatti, sapeva certamente moltissimo. Faceva parte del "sistema mafia-appalti" per difendere il quale, molto probabilmente, furono uccisi Falcone e Borsellino, anzi: ne era uno degli uomini chiave. Ciancimino avrebbe potuto consentire, nel settore politico-economico, quello che Tommaso Buscetta fece ottenere nel campo della mafia "militare". Tuttavia, non fu possibile. "L'altra verità" riporta alla luce uno sliding door della storia della lotta alla mafia incredibile. Un libro fondamentale che smonta pezzo per pezzo le accuse di trattativa tra Stato e mafia ai danni dei due autori e che anche la sentenza della Cassazione del 2023 ha smentito definitivamente. Il tutto con un passo narrativo da romanzo poliziesco.
Imperialismi minacciano l'Europa dall'esterno. Demagogismi illiberali, xenofobismo e fanatismi nazionalisti la minacciano dall'interno, con concreti rischi di disgregazione e di decivilizzazione. Tuttavia, "là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva", scriveva Hölderlin, uno dei più grandi poeti europei. È a un pensiero e a una politica di salvezza che ci invitano Edgar Morin e Mauro Ceruti. In pagine agilissime, delineano un appassionato ritratto della nostra Europa, della sua storia ambivalente intrecciata di civiltà e barbarie, e si chiedono come sia possibile scongiurare il rischio di paralisi e di disgregazione, mostrando come la speranza si annidi nella disperazione. Un vero e proprio manifesto per una rinascita della cultura e della politica europee nel tempo delle incertezze e dei drammatici conflitti che stiamo attraversando.
Prima della crisi mondiale, l’Europa era in crisi. Non era riuscita a progredire nell’unificazione metanazionale né a integrare le nazioni liberate dall’impero sovietico. La crisi economica mondiale rischia non solo di aggravare la crisi dell’Europa, ma di disgregrare l’Europa stessa. Tuttavia, “là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”, diceva uno dei più grandi poeti europei (Hölderlin). È a un pensiero e a una politica di salvezza che ci invitano Edgar Morin e Mauro Ceruti. In pagine agilissime, delineano un appassionato ritratto della nostra Europa, della sua storia ambivalente intrecciata di civiltà e barbarie, e si chiedono come sia possibile scongiurare il rischio di paralisi e di disgregazione, mostrando che le ragioni della speranza si annidano paradossalmente nelle ragioni della disperazione. Un vero e proprio manifesto per una rinascita della cultura e della politica europee nel tempo della globalizzazione.
Gli autori
Edgar Morin è una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. Nelle nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, i 6 volumi di Il metodo (2001-2008), Terra-Patria (1994), I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001) e La via (2012).
Mauro Ceruti è uno dei protagonisti del pensiero della complessità. Tra i suoi libri pubblicati nelle nostre edizioni, Educazione e globalizzazione (con G. Bocchi, 2004) e Il vincolo e la possibilità (2009)
La democrazia sembra oggi protagonista di un trionfo incontrastato, che addirittura ha fatto parlare di "fine della storia". Ma la democratizzazione, che certamente ha investito regioni del mondo fino ad oggi rimaste escluse dalle precedenti "ondate", non segue un andamento scontato, bensì può condurre a esperienze di consolidamento oppure di crisi. Quali sono i meccanismi di fondo che producono l'uno o l'altro esito? Un interrogativo al centro di ogni analisi politica in questo esordio di secolo, cui l'autore risponde sulla base di una ricerca rigorosa e sistematica nei quattro paesi dell'Europa meridionale: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In ciascun caso sono analizzati gli atteggiamenti sociali, gli accordi neocorporativi, i rapporti tra gruppi di interesse e rappresentanza politica, le relazioni clientelari, le organizzazioni partitiche. Nelle conclusioni viene avanzata una nuova proposta teorica, incentrata sui processi di "ancoraggio" o, viceversa, "disancoraggio" della democrazia.
Nel 2008 saranno passati trent'anni dal rapimento di Aldo Moro. Il 16 marzo 1978 venne rapito dalle Br in via Fani, a Roma. Nei 55 giorni di prigionia scrisse numerosissime lettere, alcune delle quali furono secretate dal Parlamento dopo il primo processo. I politici italiani, nonché i giornalisti, si affannarono a dichiarare che le lettere erano prive di valore perché risultanti da una costrizione. Erano certo lettere criptiche, allusive, scritte da un uomo che vedeva progressivamente chiudersi gli spazi di ascolto. Miguel Gotor riordina cronologicamente l'intero carteggio, con alcune lettere mai prima d'ora pubblicate, e ne offre un'edizione critica cui applica il rigore interpretativo della filologia storiografica. Il risultato è un quadro impressionante dell'Italia di quegli anni, con un uomo prigioniero al culmine della sua carriera politica che giudica la nazione e i colleghi politici; senza ipotesi immaginifiche ma con una serie di informazioni suggestive e inquietanti.
Nel 2018 sono passati trent'anni dal rapimento di Aldo Moro. Il 16 marzo 1978 venne rapito dalle Br in via Fani, a Roma. Nei 55 giorni di prigionia scrisse numerosissime lettere, alcune delle quali furono secretate dal Parlamento dopo il primo processo. I politici italiani, nonché i giornalisti, si affannarono a dichiarare che le lettere erano prive di valore perché risultanti da una costrizione. Erano certo lettere criptiche, allusive, scritte da un uomo che vedeva progressivamente chiudersi gli spazi di ascolto. Miguel Gotor riordina cronologicamente l'intero carteggio, con alcune lettere mai prima d'ora pubblicate, e ne offre un'edizione critica cui applica il rigore interpretativo della filologia storiografica. Il risultato è un quadro impressionante dell'Italia di quegli anni, con un uomo prigioniero al culmine della sua carriera politica che giudica la nazione e i colleghi politici; senza ipotesi immaginifiche ma con una serie di informazioni suggestive e inquietanti.
Aldo Moro è stato uno statista e un uomo politico che seppe prendere le mosse dall'analisi della realtà, dall'ascolto e dalla comprensione dei fenomeni nuovi. Forte di una profonda ispirazione religiosa, e insieme di una rilevante preparazione giuridica e filosofica, Moro privilegiò un pragmatismo ragionevole, col quale affrontò le questioni decisive dello sviluppo dell'Italia e della sua giovane e fragile democrazia. Nell'umanesimo moroteo si rinviene, nella sua feconda attualità densa di stimoli, anche fortemente critici, un punto di riferimento imprescindibile per il nostro tempo.
Giovanni Moro è il figlio di Aldo. Ma questo non è un libro autobiografico. L'autore riflette sugli anni Settanta, in cui la sua vita è cambiata, guardandone l'irrimediabile complessità. Un decennio in cui non sempre si capisce chi siano i buoni e chi i cattivi, in cui comportamenti giustificati facilmente tralignano, in cui il confine fra uso della forza e ricorso alla violenza è spesso labile e quelle che appaiono buone cause a ben guardare possono non esserlo. Non riuscire a capire quel periodo troppo tormentato, terribilmente violento, comporta il non capire l'oggi che ne deriva strettamente, sia dal punto di vista politico e sociale che da quello delle biografie dei singoli viventi.
La Comunità di Sant'Egidio negli scenari internazionali
Comunità di Sant'Egidio
Onu di Trastevere? Formula italiana di risoluzione dei conflitti? Diplomazia parallela? Sono svariate le definizioni della Comunità di Sant’Egidio per le sue attività pacificatrici internazionali.
Premio Balzan per la Pace e Premio Unesco per la Pace, in prima linea nel dialogo interreligioso e in molte aree calde
del globo, la storia – unica nel suo genere – di come la Comunità di Sant’Egidio è diventata un soggetto decisivo
nella soluzione di guerre civili e conflitti internazionali non è mai stata raccontata. Per la prima volta in questo libro si presenta un’analisi delle principali iniziative di pace di Sant’Egidio. Almeno di quelle che non sono più riservate o in corso. Dal Mozambico all’Algeria, dal Guatemala al Burundi, dall'Albania al Kosovo, dalla Liberia alla Costa d’Avorio, fino all'impegno - non meno pacificatore - per sconfiggere l’Aids in Africa e per eliminare la pena di morte nel mondo.
Un duplice messaggio: che la pace è sempre possibile. Che tutti, dal diplomatico professionale al volontario,
medico o malato, possono contribuire alla pace.

