
Secondo Edward Luttwak, studioso di storia militare, consulente strategico del governo americano e commentatore politico, ogni guerra è un'esperienza unica e irripetibile; eppure, nel corso degli anni e dei secoli, emergono similitudini, modelli comuni, linee di tendenza. Per questo lo studio di eventi passati come le vicende dell'impero romano o la seconda guerra mondiale possono offrire nozioni cruciali per capire il nostro mondo e per prendere le decisioni giuste nei conflitti che dobbiamo affrontare. E la storia insegna che spesso la strategia migliore è quella che a prima vista sembra la meno diretta, la più paradossale, la più contradditoria.
In un momento storico in cui le sperequazioni sociali stanno diventando intollerabili, si pone un quesito di scottante attualità: lo Stato riuscirà a conservare il suo ruolo cruciale per controbilanciare le crescenti ingiustizie e per rendere effettivi i diritti di tutti i cittadini? Per rispondere a questo interrogativo, sfuggendo ai luoghi comuni, Fiora Luzzatto in questo volume risale alle radici del nostro patto di convivenza civile, cioè alla nostra Costituzione. Il volume percorre le tappe salienti della legislazione assistenziale italiana, individuando se si siano compiuti progressi ? o regressi ? nell'attuazione dell'art.38 e delle altre norme costituzionali. L'analisi non si limita alla legislazione assistenziale propriamente detta, ma affronta i rapporti con le altre aree del welfare: previdenza, istruzione, sanità, lavoro, immigrazione, diritti civili. Con un'ottica attenta alla specifica realtà meridionale, si evidenziano le gravi disparità tra Nord e Sud, che potrebbero accentuarsi con la futura attuazione del federalismo. Il libro indaga sul passaggio dal welfare-state al welfare-mix, e sul ruolo svolto e da svolgere da parte degli enti pubblici e delle organizzazioni private. Dopo decenni di sviluppo dello Stato sociale, il ruolo degli enti pubblici, a partire dalla fine dello scorso millennio, è sembrato sfumare e spegnersi.
Gli ebrei europei sanno che la Shoàh fu frutto della cultura di destra, razzista e nazionalista. Le cose si sono però modificate e complicate col tempo. Continua a esistere, drammatico, un antisemitismo di destra, ma è tornato in superficie anche un antisemitismo di sinistra, sul quale si sono innestati nuovi temi germogliati da vecchie radici, mai del tutto estirpate. Per capire quale linguaggio si carica di elementi di antisemitismo bisogna conoscere un po' di storia. Cosi come bisogna saper leggere il passato per capire le ragioni che ne hanno diffuso l'ombra anche tra chi è al di sopra di ogni sospetto. In cento pagine, Luzzatto Voghera affronta un tema di altissima complessità con un linguaggio limpido e appassionato.
"Il 9 luglio di quest'anno Sandro Pertini è stato eletto presidente della Repubblica e mi ha nominato segretario generale". Il 3 novembre 1978 inizia così il diario su cui Antonio Maccanico annoterà poi giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, viaggio dopo viaggio, lo svolgersi del settennato di Pertini. Nella sua cronaca si colgono al vivo e secondo prospettive spesso singolari tutti i protagonisti di quegli anni (politici italiani e stranieri, giornalisti, imprenditori, manager pubblici, intellettuali) ed emergono i tratti di una presidenza che, iniziata nell'anno culminato nell'assassinio di Moro e nelle dimissioni di Leone, si dava il compito di ridare prestigio al Quirinale in una difficile fase in cui emergeva, oltre alle manifeste difficoltà del sistema politico, una più generale crisi della società italiana.
Dopo la cronaca degli anni trascorsi al Quirinale nel settennato di Pertini, prosegue in questo volume il resoconto dell'esperienza istituzionale di Antonio Maccanico. Trascorso circa un anno e mezzo con Cossiga al Quirinale, all'inizio del 1987 Maccanico è eletto presidente di Mediobanca e in tale veste ne conduce in porto la sofferta privatizzazione. Nell'aprile 1988 assume il primo diretto incarico politico come ministro per gli Affari regionali e problemi istituzionali. Avvia il faticoso percorso delle riforme che sostarizia il tentativo del governo di Ciriaco De Mita, segretario della De e presidente del Consiglio. Nel 1989, alla vigilia del disfacimento dei regimi dell'Est europeo, lo sostituiscono rispettivamente Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti, che occupavano quei ruoli già 16 anni prima: Maccanico rimane al governo. I diari restituiscono la luce crepuscolare del quinquennio 1985-1989, caratterizzati da scelte che annunciano l'indirizzo dell'economia nella nuova realtà globalizzata e da resistenze che preludono all'esaurimento dei soggetti costituenti. Prefazione di Sabino Cassese.
Profondo, perfino inquietante, estremamente "vero": "Il Principe" di Machiavelli è un capolavoro del pensiero e della letteratura, un testo classico da leggere, rileggere, gustare nella sua prosa rapinosa e avvincente. Ma non sempre così comprensibile, come notava già Goffredo Parise nell'auspicare una "traduzione" del testo in italiano moderno. Questa edizione, che affianca alle parole del fiorentino la loro trasposizione in lingua corrente, ne rende fruibili gli altissimi contenuti, mostrando tutta l'attualità di un'arte del governare che è equilibrio tra gli antitetici condizionamenti della vita reale.
L'opera, pubblicata nel 1521, si costituisce di sette libri ed è scritta sotto forma di dialogo tra i giovani aristocratici fiorentini e il capitano dell'esercito spagnolo Fabrizio Colonna (alter ego dell'autore), personaggi che appartengono realmente alla vita di quel tempo. Il tema centrale è quello dell'organizzazione militare di uno Stato che sia ben diretto. Come già ne "Il Principe", anche in questo trattato egli argomenta la necessità di ritornare ai "modi" impiegati dagli antichi Romani per la creazione di un esercito formato dal popolo, onde evitare i rischi che comporta il ricorso ad inaffidabili milizie mercenarie. Il Machiavelli sostiene che occorre superare il sistema feudale con una riforma degli ordinamenti militari, accompagnata di pari passo da un cambiamento dei costumi e delle istituzioni.
La ricca produzione machiavelliana è testimonianza di una delle epoche più tormentate e significative della civiltà occidentale, ove prassi politica, riflessione storico-filosofica e inventiva letteraria si fondono armonicamente insieme. La riflessione politico-filosofica machiavelliana non è affatto avulsa dal contesto, bensì sempre radicata nella quotidiana esperienza umana e politica di quegli anni di doloroso travaglio storico, i quali tuttavia furono fonte inesauribile di ispirazione, di una costante meditazione sulla natura e sulla condotta umana. Riproponiamo al lettore in un unico volume, secondo l'edizione critica di Mario Martelli, le opere di uno dei massimi ingegni del Rinascimento.
All'origine del pensiero politico moderno, "Il principe" di Machiavelli è un libro di duplice testimonianza. Disegna l'aurora della speculazione politologica sul potere e, in parallelo, ritrae l'età crepuscolare repubblicana a Firenze. "Il principe" è la codificazione di norme e regole politiche, di modelli, sistemi e strategie di potere finalizzate alla ricerca della stabilità di governo. Tra la filosofia, la teoria e la prassi della storia, tra la passione per la Realpolitik e l'utopia sull'unità nazionale italiana, l'elemento moderno de "Il principe" risiede nella scienza politica elevata a interpretazione deIla storia.
Emmanuel Macron, l'uomo nuovo della politica europea, racconta per la prima volta in questo libro la sua storia, le idee che lo ispirano, e la sua visione dello stato, dei cittadini, dell'Unione Europea, in un mondo che affronta sfide comuni - l'immigrazione, il lavoro, il terrorismo - che dobbiamo affrontare uniti. La rivoluzione di Macron, partita dalla Francia come sfida a Marine Le Pen per le elezioni presidenziali, ha rapidamente conquistato l'opinione pubblica di tutto il continente: una sfida aperta ai populisti e a coloro che non credono più nelle istituzioni, senza false promesse, che potrebbe cambiare per sempre il modo di fare politica in Europa. "Alcuni pensano che il nostro Paese sia in declino, che il peggio debba ancora arrivare, che la nostra civiltà sia in via di estinzione. Che il nostro unico orizzonte consista nell'arretramento o nella guerra civile. Che per proteggerci dalle grandi trasformazioni mondiali dovremmo tornare indietro nel tempo e applicare le ricette del secolo scorso. Altri pensano che la Francia possa continuare più o meno così, scendendo sì la china, ma una china non troppo ripida. Che il gioco dell'alternanza politica basterà a darci un po' di respiro. Dopo la sinistra, la destra. Le stesse facce e gli stessi uomini, oramai da tanti anni. Io sono convinto che abbiano torto, sia gli uni sia gli altri."
Quella della destra italiana dopo il fascismo è una storia tortuosa. Che, nei decenni del dopoguerra, va dai qualunquisti di Guglielmo Giannini agli orfani della monarchia, dal Movimento sociale italiano ai liberali di Giovanni Malagodi. E che poi, con la seconda Repubblica, approda al populismo liberale di Silvio Berlusconi, alle leghe nordiste, al tentativo di Gianfranco Fini di trasformare l'eredità neofascista in un moderno conservatorismo e, oggi, alla scommessa di Giorgia Meloni. Ma dietro le destre, c'è il paese al quale esse si rivolgono. E cioè una 'maggioranza silenziosa' che nel dopoguerra era stata estranea alla religione dell'antifascismo, tradizionalista, talvolta reazionaria, anticomunista e che finiva per votare 'turandosi il naso'. Un'opinione pubblica che porta fino ai giorni nostri la sua diffidenza nei confronti della politica e dei partiti, l'ostilità verso le élites, la permeabilità ai messaggi populisti. È facile cadere nella tentazione di giudicare questa parte del paese 'arretrata', incolta, umorale, senza capirne le ragioni, tanto più che ha sempre espresso un elettorato senza tessere e senza fedeltà ideologiche, dunque pronto a cambiare bandiera. Una mina vagante per la stabilità del paese o una sorta di sua coscienza critica? Un popolo da rieducare o da ascoltare? Giorgia Meloni, che da quel popolo trae non pochi consensi, dovrà fare le sue scelte.
Nel 1948 la Repubblica ha risposto all'invocazione lanciata quattro secoli prima da Raffaello: la Costituzione ha spaccato in due la storia dell'arte italiana, assegnando al patrimonio storico e artistico della nazione una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo. La storia dell'arte è in gran parte la storia dell'autorappresentazione delle classi dominanti. Ma la Costituzione le ha dato un senso di lettura radicalmente nuovo. Il patrimonio artistico è divenuto un luogo dei diritti della persona, una leva di costruzione dell'eguaglianza, un mezzo per includere coloro che erano sempre stati sottomessi ed espropriati. L'articolo 9 ha fatto di più: ha sancito solennemente l'unione indissolubile del patrimonio storico e artistico e del paesaggio, e ha trasformato in progetto il ruolo etico e politico che questa unione ha giocato nella storia d'Italia. Le interpretazioni della Corte costituzionale hanno ampliato ancora questa visione originalissima, prendendo coscienza che il primo e più essenziale bene comune è l'ambiente, la cui tutela in nome dell'interesse pubblico è condizione essenziale per la stessa esistenza di una democrazia moderna. Il progetto della Costituzione sull'ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio artistico è la promessa di una rivoluzione: sta a noi mantenerla.

