
Lo scopo di questo volume è di ampliare le conoscenze sull’attività di governo svolta da Aldo Moro e di rinnovare l’immagine pubblica che di lui si è, spesso in modo incompleto, costruita. In queste pagine vengono quindi ricomposti i molteplici impegni politici della sua vita, tragicamente spezzata dalla follia terrorista, rivolgendo la giusta attenzione anche alla sua ricca spiritualità. Moro è stato l’«uomo della possibilità», colui che ha esplorato con intelligenza la direzione delle correnti profonde della società, non solo italiana, e, per quanto possibile, ha cercato di canalizzarle all’interno dell’evoluzione democratica del Paese. Il complesso dei saggi qui proposti rappresenta quindi uno strumento prezioso, con la consapevolezza che non è affatto facile, per la densità della sua riflessione culturale e politica e per le diverse esperienze che ne costituiscono la vita, esaminare l’opera di un politico del calibro di Aldo Moro, la cui identità, tra l’altro, è difficilmente omologabile a quella del ceto dirigente della sua epoca.
Luigi Sturzo non è stato un “costituzionalista di professione” bensì un uomo politico con vasti interessi culturali che ha avuto la ventura di vivere in una posizione pubblica preminente non solo come Segretario nazionale del Partito Popolare negli anni della crisi dello Stato liberale, ma anche, come senatore a vita, nella stagione della affermazione della democrazia costituzionale. La ricognizione critica delle sue posizioni sulla Costituzione repubblicana è stata affrontata da Nicola Antonetti richiamando la profonda concezione sturziana dei nessi tra etica e politica e le ragioni specifiche della lunga polemica contro la «partitocrazia», riprendendo, infine, le sue prospettive per le riforme costituzionali da quella del sistema bicamerale a quella per lo sviluppo di un modello politico degli assetti regionali. Diviene possibile, rivisitando tali posizioni, risalire al costituzionalismo di Sturzo e comprendere l’innovazione apportata alla tradizione del cattolicesimo politico anche attraverso la ripresa di modelli istituzionali propri della cultura anglo-americana.
È viva la convinzione che ancora oggi, a poco meno di settant'anni dall'adozione della Costituzione Repubblicana, sia utile per il lettore rivisitare il travaglio culturale e politico vissuto, in modi diversi, dall'intera cattolicità italiana nella stagione della Costituente. Già nelle idee ricostruttive della democrazia cristiana del luglio del 1943 De Gasperi aveva posto la difesa della libertà delle persone e delle comunità organizzate come "premessa indispensabile" per arginare i totalitarismi; in seguito, nel documento conosciuto come Codice di Camaldoli, scritto tra l'estate del 1943 e il 1945, e negli interventi della XIX Settimana Sociale dei cattolici italiani, dell'ottobre 1945, furono discussi i temi dello stato e dei suoi rapporti con la società, nella prospettiva di un assetto politico istituzionale socialmente avanzato e pluralista retto dal nuovo sistema dei partiti di massa. Durante i lavori della Costituente, specie i costituenti democristiani più giovani, come Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati, Moro e altri, senza interrompere le forme di dialogo avviate nella stagione della Resistenza con uomini e forze di altra ispirazione, si adoperarono per affermare una concezione dello stato democratico e della stessa democrazia intesi non semplicemente come insieme di procedure, bensì come realtà che traggono la loro ragion d'essere da profonde ispirazioni culturali e si esprimono in indirizzi sociali solidali e pacifici. Introduzione di Gabriele De Rosa.
Il sindacato si trova in una situazione di stallo. Erede di una grande tradizione e rappresentante di milioni di lavoratori, fatica a esprimere una cultura sociale nuova e adeguata a fronteggiare le grandi sfide odierne. Eppure i motivi per cui è sorto (la lotta all'ingiustizia, la solidarietà internazionale dei lavoratori, l'idea di una società più umana e più giusta per tutti) sono più che mai validi. È però necessario sviluppare sia la cultura sia le battaglie sociali che attualizzino e incarnino quei valori costituenti.
«Abbiamo tutti in mente la tipica immagine di uno stato autocratico. C'è un cattivo al vertice, che controlla l'esercito e la polizia. L'esercito e la polizia minacciano il popolo con la violenza. Ci sono collaboratori malvagi, e magari qualche coraggioso dissidente.» Tuttavia, per Anne Applebaum, saggista e vincitrice del premio Pulitzer, questa convinzione diffusa altro non è che un anacronismo. Nel XXI secolo, infatti, una simile rappresentazione delle autocrazie ha scarsa attinenza con la realtà e per di più ne ignora del tutto l'evoluzione. Al giorno d'oggi, le autocrazie non sono governate da un solo «cattivo», ma da reti sempre più sofisticate, che connettono tra loro strutture finanziarie, servizi di sicurezza - militari, paramilitari e di polizia - di uno o più paesi, ed esperti di tecnologia che forniscono sorveglianza, propaganda e disinformazione. I membri di queste reti condividono risorse e obiettivi, operando come un agglomerato di aziende tenute insieme non dall'ideologia, ma da una spietata e assoluta determinazione a preservare il proprio potere e la propria personale ricchezza e da un nemico comune: il mondo democratico e i suoi valori. Diversamente dalle alleanze militari o politiche di altri tempi e altri luoghi, infatti, non ci sono «blocchi» cui aderire, né Muri di Berlino a segnare netti spartiacque geografici. È una rete che, superando le faglie ideologiche, geografiche e culturali, da Mosca a Pechino, da Teheran a Pyongyang, si sta stringendo sempre di più attorno alle democrazie moderne, disconoscendone i valori, insinuandosi nelle loro crepe e in quei paradossi irrisolti che l'Occidente, troppo convinto di essere nel giusto, non si è mai deciso ad affrontare. Ma l'autocrazia è un sistema politico, non un tratto genetico, e in quanto tale può cambiare: in questo saggio, Anne Applebaum delinea un resoconto allarmante e al contempo lancia un potente appello su come dovremmo organizzarci per salvare la democrazia.
La mafia non è più quella delle coppole e delle lupare. Si occupa di economia, banche e finanze, e condiziona la politica. Spara sempre meno e fa sempre più affari. Dal Sud, seguendo la linea della palma di cui parlava Sciascia nel Giorno delia civetta, ha risalito la penisola e si è radicata al Nord. In Sicilia, Calabria e Campania è in corso un conflitto, silenzioso e inarrestabile. Maiitaiia racconta tutto questo. Storie e uomini, spesso dimenticati, di una guerra quotidiana. Il libro, a più voci, narra di carnefici e vittime. Dall'ultimo capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, alla prima vittima dei casalesi Salvatore Nuvoletta. Dal paese più povero d'Italia ai boss globali, con la prefazione di Franco Di Mare e le conclusioni del Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso. Il dvd è un viaggio, un film dal vero che mostra le "facce", le trame criminali, la lotta quotidiana di chi è stato usurato e di chi ha deciso di collaborare con la Legge. Un percorso scandito dalle parole di don Luigi Ciotti e Dacia Maraini.
Fratelli d’Italia... ma sarà poi vero? Perché, nel momento in cui ci si prepara a festeggiare i centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, il conflitto tra Nord e Sud, fomentato da forze politiche che lo utilizzano spesso come una leva per catturare voti, pare aver superato il livello di guardia.
Pino Aprile, pugliese doc, interviene con grande verve polemica in un dibattito dai toni sempre più accesi, per fare il punto su una situazione che si trascina da anni, ma che di recente sembra essersi radicata in uno scontro di difficile composizione.
Percorrendo la storia di quella che per alcuni è conquista, per altri liberazione, l’autore porta alla luce una serie di fatti che, nella retorica dell’unificazione, sono stati volutamente rimossi e che aprono una nuova, interessante, a volte sconvolgente finestra sulla facciata del trionfalismo nazionalistico.
Terroni è un libro sul Sud e per il Sud, la cui conclusione è che, se centocinquant’anni non sono stati sufficienti a risolvere il problema, vuol dire che non si è voluto risolverlo. Come dice l’autore, le due Germanie, pur divise da una diversa visione del futuro, dalla Guerra Fredda e da un muro, in vent’anni sono tornate una. Perché da noi non è successo?
Fratelli d'Italia... ma sarà poi vero? Perché, festeggiati i centocin-quant'anni dall'Unità d'Italia, il conflitto fra Nord e Sud pare aver superato il livello di guardia. Per Pino Aprile, pugliese doc, la storia di oggi è ancora quella di ieri. Ripercorrendo gli eventi di quella che per alcuni fu conquista, per altri liberazione, l'autore porta alla luce una serie di fatti, volutamente rimossi nella retorica dell'unificazione, che aprono una nuova, sconvolgente finestra sulla facciata del trionfalismo nazionalistico.
Non si fanno figli a sufficienza e l'Italia è ormai destinata a decrescere nei prossimi anni. Nel libro si trova una rapida descrizione della situazione demografica, ma l'obiettivo principale è quello di mettere in luce i cambiamenti culturali che hanno condotto a una minore propensione verso la generazione dei figli. Questo tema, infatti, è uno dei tre ambiti decisivi, insieme alla relazione di coppia e al significato che si attribuisce alla morte, che plasmano l'identità profonda di ciascuno. Queste tre dimensioni coinvolgono in modo radicale la libertà della persona e sono legate da una circolarità indissolubile. L'autore esplora proprio il terreno della libertà e della identità della persona in relazione alla generazione dei figli.
"In questo Stato" venne scritto di ora in ora, per registrare la straordinaria agitazione o eccitazione delle settimane così drammatiche ed equivoche del "caso Moro". Si presentava quindi come "un deposito, magazzino, inventario e diario critico di tante cose pubbliche e private, personali e politiche dette, lette, fatte, scritte, vissute nel nostro Paese durante i due incredibili mesi" che separano il 16 marzo, data del sequestro del leader democristiano e dell'omicidio della sua scorta, e il 9 maggio 1978, quando il suo cadavere venne fatto ritrovare in via Caetani. Pubblicato poche settimane dopo gli eventi che racconta, questo "instant book" viene ora riproposto con una nuova postfazione. Ne emerge la realtà di un Paese che ha vissuto i suoi anni di piombo fra "delitti & canzoni", secondo le proprie tradizioni ataviche, ora aggiornate: bande armate con feroci esecuzioni capitali sui marciapiedi; e applauditissime esecuzioni musicali, in vinile o "live". Un Paese che si dimostra ancora oggi smaccatamente senza Storia e senza Memoria.
Il 10 dicembre 1948 veniva approvata la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il tema dei diritti umani di natura universale è al centro di un dibattito tanto nel mondo accademico quanto in quello delle associazioni e delle organizzazioni non governative. In particolare, ci si interroga sulla necessità di superare il sistema delle Nazioni Unite e sul rapporto tra diritti umani e democrazia. I diritti umani possono essere intesi come l'applicazione di un sistema di governo democratico? Se la democrazia è diventata un sistema di valori universale, sono adeguati i dispositivi finora esistenti per concertare le scelte politiche dei singoli stati? E' forse necessario estendere la democrazia anche ai rapporti tra stati?
Come i giovani vedono e vivono la politica? Queste pagine intendono rispondere con riflessioni di esperti ed amministratori alle sollecitazioni che provengono direttamente dal mondo giovanile. Un modo nuovo per parlare di politica, che riscopre le idealità più profonde e cerca di conciliare con le realtà di tutti i giorni.

