
«Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati»
Niccolò Machiavelli, Il Principe
È possibile studiare le forme di governo che si sono succedute nella storia umana senza limitarsi a un’erudita descrizione di regole e istituzioni e senza presumere che a contare, a dare vita a quelle forme di governo, siano soltanto principi, re, imperatori, condottieri, capi-partito? Cosa collega l’agire delle persone comuni alla nascita e all’evoluzione delle forme di governo che nella storia si sono succedute innumerevoli? Utilizzando fonti archeologiche, antropologiche e storiografiche e rileggendole alla luce di uno schema interpretativo che considera le forme di governo come il prodotto di una pluralità di azioni umane, il libro tratta di stati arcaici, di imperi e di repubbliche (antiche, medievali, rinascimentali) nonché di quelle loro dirette filiazioni che sono i dispotismi e le democrazie contemporanee. Studiare le forme di governo mostra quanto sia grande la capacità degli esseri umani di dare vita a modi di organizzazione della vita sociale complessi e differenziati. E mostra che se le élite e, talvolta, certi leader dotati di particolari qualità, hanno un potere condizionante nella formazione e nella evoluzione di stati e regimi politici, coloro che delle élite non fanno parte non sono mai semplici comparse.
Angelo Panebianco è professore emerito di Scienza politica dell’Università di Bologna. Tra suoi libri, nelle edizioni del Mulino, ricordiamo «Modelli di partito» (1982, pubblicato in sei lingue), «L’analisi della politica» (a cura di, 1989), «Guerrieri democratici» (1997), «Il potere, lo stato, la libertà» (2004), «L’automa e lo spirito» (2009), «Persone e mondi» (2018), «All’alba di un nuovo mondo» (con Sergio Belardinelli, 2019), «Democrazia e sicurezza» (a cura di, 2021). Tiene corsi di Teoria politica e di Relazioni internazionali nelle università San Raffaele e Iulm. Presiede attualmente il Consiglio editoriale del Mulino e da trentacinque anni è editorialista del «Corriere della Sera».
Dopo i fatti dell’11 settembre 2001 si è innestata una ideologia dello scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, quasi che, per la loro natura, l’Occidente cristiano e laico e il mondo islamico fossero inevitabilmente destinati a confliggere. La primavera araba si rivela ora una grande sorpresa della storia che sta trasformando il Mediterraneo, che vede aprirsi una chance per divenire il mare dell’incontro e della democrazia. Questo libro vuole offrire un contributo di approfondimento valendosi delle testimonianze di alcuni dei protagonisti della primavera araba, le cui voci (ventitre nomi) danno conto di come cresca la coscienza dell’importanza di questa trasformazione culturale e politica. Abbiamo bisogno di capire e di ascoltare dai protagonisti le storie della primavera araba che sono molto diverse: la storia tunisina, quella egiziana o libica, come la vicenda drammatica della Siria con un prezzo di spargimento di sangue incredibile. In Tunisia, un partito religioso è al governo in una coalizione con un partito laico e un partito socialista: un fatto estremamente interessante e decisivo in un Paese che si sta dando la costituzione, laddove la costituzione è un nuovo patto nazionale. Ogni vicenda nazionale è diversa e ha le sue sfumature da capire.
L'autore
Vittorio Ianari si interessa di rapporti tra mondo arabo-islamico e Occidente e della presenza cristiana nel contesto mediorientale, in particolare sotto i profili della storia religiosa contemporanea. Ha pubblicato Chiesa, coloni e Islam (Torino 1995), sulla presenza cattolica nella Libia italiana e Lo stivale nel mare. Italia, Mediterraneo e Islam: alle origini di una politica (Milano 2006), un’indagine storica sull’azione dell’Italia e degli italiani nel Mediterraneo arabo-islamico nel XIX e XX secolo. Ha insegnato Islamologia alle Università Lateranense e Urbaniana ed è stato responsabile dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana.
Mentre il sapere "storico" corrisponde, si potrebbe dire, all'esistenza dell'umanità e mentre la suddivisione tradizionale, per grandi epoche o grandi ma abituali campi di studio, appartiene alla consuetudine, lo studio della politica internazionale è definibile come cronaca dei fatti contingenti, considerati nel momento in cui essi accadono, nelle loro immediate premesse e nelle conseguenze che ne derivano o se ne possono desumere. Questo testo si sviluppa su tre piani diversi: rispettivamente l'evoluzione degli eventi storici, la riflessione teorica svolta in contemporanea sulla natura e le ragioni di tale evoluzione e i temi che questo doppio ordine di elementi ha posto e pone a chi affronta lo studio della materia.
"Politica", nella versione che ne diede Aristotele, non è un termine singolare, ma plurale. Si riferisce a quanto avviene nella polis, ovvero in quello specifico sistema che definiamo "politico". Politica sono tutte (o quasi) le attività che riguardano la polis e che si svolgono nel suo ambito. La politica è, dunque, un insieme di attività complesse di vario tipo, che sono svolte dai cittadini e che ruotano attorno all'esercizio del potere nella città. In quanto esercitate nella e per la città, le attività politiche richiedono capacità più o meno grandi e conseguono risultati più o meno meritori, oppure riprovevoli, sanzionabili e perfettibili, per tutti coloro che vivono in quella città ovvero, oggi diremmo, in quel determinato sistema politico. Qualsiasi sistema politico è composto da tre elementi essenziali: la comunità politica, il regime, le autorità. Definendo con accuratezza e precisione e analizzando in profondità questi tre elementi è possibile ottenere una visione complessiva di che cos'è la politica, di come deve essere studiata e di quali sono gli esiti conoscitivi finora conseguiti.
«Ma che sono queste relazioni internazionali? Non ce ne interessiamo tutti i giorni, ma lo scoppio di una guerra o un terribile attentato possono catturare la nostra attenzione e non liberarla più per giorni o mesi e anni. Ecco dunque a che cosa dovrebbe servire l’insegnamento delle relazioni internazionali: a creare una sensibilità diffusa e condivisa nei confronti della portata dei problemi che affronta.»
Luigi Bonanate spiega una disciplina imprescindibile per comprendere i fatti del mondo.
Indice
I. Il mappamondo - II. La costituzione della disciplina - III. Alla ricerca di una società internazionale - IV. La disciplina nei suoi diversi «stati» - Considerazioni conclusive - Bibliografia - Indice dei nomi - Indice analitico
In cinque saggi, che sono cinque tappe esplosive, Giulietto Chiesa analizza la nuova politica americana e l'esportazione forzata della democrazia alla luce della politica spaziale americana e della militarizzazione dello spazio; scopre le facce sospettabili e insospettabili di quel "giorno zero", l'il settembre, rivelandocelo come l'evento più oscuro del nostro tempo, il "buco nero" della nostra storia; ci mostra come e perché si crea un clima di guerra e ci spiega perché il pacifismo è l'unica via d'uscita dalla politica di coloro che vogliono appropriarsi delle risorse del mondo per rifornire il loro paradiso in terra, fatto di frigoriferi e cellulari, di benessere e abbondanza.
I fatti che hanno seguito l’11 settembre mostrano come ogni nuovo attacco terroristico faccia scattare di riflesso provvedimenti repressivi, innescando un circolo vizioso che rischia di condurre a una vera e propria devastazione delle libertà civili nel corso del XXI secolo. Con uno sguardo lucido e lungimirante sul futuro, Bruce Ackerman propone in questo libro un’alternativa ben precisa e praticabile: una ‘costituzione di emergenza’ che permetta ai governi (e in particolare al governo degli Stati Uniti) di intraprendere ‘azioni eccezionali’ per contrastare il rischio di nuovi attacchi, ma allo stesso tempo impedisca misure permanenti che vadano a detrimento delle libertà civili.
Con la sua ‘costituzione di emergenza’ Ackerman smaschera i pericoli nascosti dietro la nota affermazione che «stiamo combattendo una guerra al terrore» e non esita a criticare apertamente le posizioni che, accettando un’idea ‘bellica’ del problema, hanno finito per appoggiare un allargamento abnorme dei poteri presidenziali.
A sostegno della sua proposta, egli porta esempi concreti di provvedimenti di emergenza adottati nelle costituzioni di diverse nazioni, dalla Francia al Sudafrica. Analizzando poi in particolare la risposta britannica agli attacchi terroristici, trae la conclusione che nessun Paese oggi è sufficientemente attrezzato per affrontare quella che si presenta come la sfida determinante di questo inizio secolo: sconfiggere il terrorismo e contemporaneamente preservare le libertà fondamentali, ovvero tenere insieme concetti come democrazia, diritti civili, sicurezza nazionale.
Bruce Ackerman offre un libro importante, notevole per la capacità di unire in maniera puntuale e brillante la conoscenza del diritto e un’analisi politica acuta e coraggiosa: un testo essenziale per chiunque si interroghi e cerchi una risposta non scontata sul futuro (e sulla forza) della democrazia di fronte alla minaccia del terrorismo.
Bruce Ackerman, professore di Diritto e Scienza politica all’Università di Yale, è autore di numerosi libri su temi di filosofia politica, diritto costituzionale e politica pubblica tra cui, tradotti in italiano: La costituzione di emergenza. Come salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo (Roma 2005); La nuova separazione dei poteri. Presidenzialismo e sistemi democratici (Roma 2003).
Lione, giugno 2001. Nizar Sassi è un ragazzo come tanti altri, di una famiglia tunisina ben inserita nel tessuto sociale francese. La politica e la religione, come del resto la scuola, a Nizar non interessano granché e di Al Qaeda o Bin Laden non ha mai sentito parlare. Ma una passione vera il ragazzo ce l'ha: sono le armi. Così, malauguratamente, si lascia convincere da qualcuno a seguire un corso di addestramento e, mentendo alla famiglia, vola verso il Pakistan. L'11 Settembre, e quello che nelle settimane successive si scatena, sorprendono Nizar nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il Pakistan chiude le frontiere e Nizar viene venduto alla Cia e spedito a Guantanamo...
Se potessimo ripartire da zero con il sistema previdenziale, senza i vincoli che sono oggi imposti dai versamenti già effettuati, dalle aspettative e dalle promesse del passato, lo rifaremmo identico a quello attuale? Lo copieremmo da qualche paese vicino? Lo aboliremmo del tutto? O, smaliziati dalla conoscenza delle difficoltà, cercheremmo di prevenirle, costruendo un sistema potenzialmente impermeabile a (quasi) tutti gli sviluppi economici e demografici? Il volume privilegia questa strada, e mostra come la questione previdenziale possa essere ricondotta a poche variabili essenziali, di cui si esplicitano le interconnessioni. Emergono allora con chiarezza la natura e le potenzialità, ma anche i limiti, di un sistema che non crea ma semplicemente trasferisce risorse tra generazioni. Una ricerca informata e originale che porta un contributo prezioso alla riflessione sul problema previdenziale, che in Italia e negli altri paesi sviluppati è ancora lungi dall'aver trovato soluzione.
Perché alla fine del 1999 non fu possibile costruire un corridoio umanitario per far rientrare in Italia da Hammamet Bettino Craxi, gravemente malato, e farlo operare e curare in un centro specializzato senza che fosse arrestato? «La mia libertà equivale alla mia vita», dirà fino all'estremo il leader socialista per spiegare il rifiuto di accettare il carcere e la decisione di restare in Tunisia, dove muore il 19 gennaio 2000. Nel resoconto della trattativa, oltre ai familiari del leader socialista si affacciano il governo, il Quirinale, il Vaticano, l'America e la CIA, i magistrati di Mani pulite e i socialisti dispersi dall'inchiesta su Tangentopoli. Il caso Craxi rappresenta l'ultimo scorcio del Novecento italiano, sospeso tra la caduta del Muro di Berlino, il crollo della Prima Repubblica e l'alba dei poteri forti che s'impongono all'inizio del nuovo secolo.
Nel corso dell'esperienza repubblicana, i nove presidenti che si sono succeduti hanno interpretato ciascuno a modo suo una carica che studiosi autorevoli hanno giudicato la più ambigua fra quelle previste dalla Carta del 1948: un po' notaio, un po' arbitro, un po' capitano. Certo è che da quasi venticinque anni il presidente ha acquistato una centralità alla quale i costituenti non avevano pensato e che è figlia, prima di tutto, delle difficoltà e delle ripetute crisi del sistema politico: essa ha ormai inciso sulla stessa forma di governo. Questo libro cerca di raccontare cosa dovrebbe fare, cosa fa e cosa si vorrebbe far fare in futuro al presidente.
Luigi Russo, in occasione della commemorazione di Antonio Gramsci a dieci anni dalla sua scomparsa, lamentava come la sua generazione fosse stata tormentata e mutilata quale altra mai. «Falcidiata dalla prima guerra mondiale e poi resa più sottile o captata e svuotata dalla corruzione di un regime dispotico, o vessata e stroncata e dispersa dalle carceri, dall'esilio, dalle malattie e dalle morti; sicché la sorte di essa, assai grave, pesa non soltanto su di noi che ne fummo per ragioni cronologiche partecipi, ma su tutta la vita intellettuale e politica del paese». Si riferiva a Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Giacomo Matteotti, lo stesso Gramsci, ma anche ai tanti meno noti che dettero un contributo eroico, sacrifico, accomunati dalla stessa battaglia antifascista. Rappresentarono un discorso che poi riaffiorò come un fiume carsico confluendo nel dialogo interpartitico della Costituente. Furono i maestri e i compagni di coloro che poi cooperarono alla Carta costituzionale. Ricordare il loro contributo morale non significa solo comprendere meglio il "Preludio alla Costituente", ma anche arricchire le generazioni successive. Prefazione di Valdo Spini. Postfazione di Giuliano Amato.

