
Ha detto: "Io non ho sponsor, io sono quella che sono e devo crearmi uno spazio sul campo". E lo spazio si è creato, eccome. E Debora Serracchiani e i numeri parlano per lei: con oltre 144.000 preferenze - 9600 più di Berlusconi, 6500 più di Bossi - è stata eletta per il Pd al Parlamento europeo e da militante di provincia è diventata la stella nascente della politica italiana. Un giorno ha preso la parola in un'assemblea nazionale di partito per dire forte e chiaro ai vertici del Pd un "basta!" che ha fatto centro dove avevano fallito in molti. Le sue parole schiette, il suo sorriso di speranza, non hanno risvegliato solo una platea dormiente, ma un intero partito. Dalla Spagna l'hanno definita l'Obama d'Italia, le televisioni se la contendono, il popolo di internet non fa che parlare dell"'effetto Debora" e dopo averla applaudita l'ha sostenuta e votata. Oggi Debora è in Europa e racconta come è riuscita a far tornare a tanta gente la voglia di immaginarsi il futuro.
La quarta rivoluzione industriale è già qui. L'innovazione tecnologica e la velocità sempre maggiore con cui si verifica il cambiamento comportano una trasformazione radicale del nostro mondo conosciuto. Robotica avanzata, Intelligenza artificiale, big data, blockchain sono solo alcuni dei fattori che, combinati e integrati tra loro, stanno incidendo sulla sfera del lavoro, sulla società nel suo complesso, sulla vita quotidiana di ognuno di noi. Come reagire? Non certo, sostiene Marco Bentivogli, col catastrofismo dei tecnofobi, di chi predica che «le macchine» semplicemente cancelleranno occupazione e che l'innovazione debba essere fermata. Serve, al contrario, un cambio di paradigma, di prospettiva e di senso; è necessario «anticipare, pensare e progettare la trasformazione», fare in modo che il nuovo che nasce compensi e superi ciò che muore. È possibile, e dove si sono prese le giuste misure si è riusciti a portare crescita economica, benessere, e a far aumentare l'occupazione, migliorare la qualità del lavoro e la sostenibilità ambientale dei modelli produttivi. L'industria 4.0, di cui questo libro offre una guida pratica, è un'occasione che un Paese come l'Italia non può e non deve lasciarsi sfuggire. Occorre ripartire, e subito, da un approccio competente e positivo all'innovazione tecnologica, da un rilancio dell'istruzione scolastica e della formazione in ambiente di lavoro; da nuovi corpi intermedi, come il sindacato «smart», che sappiano guidare e orientare il mutamento in corso. Le forze politiche, in particolare quelle che si dichiarano progressiste, hanno il dovere di abbandonare il velleitarismo di chi vuole «fermare il progresso con le mani», di guarire dalla miopia e dall'afonia con cui partecipano al discorso pubblico, di parlare di futuro delle persone e non di paure. È l'unica strada percorribile per interrompere il degrado civile del Paese e sconfiggere le ricette populiste.
Steven W. Mosher affronta in questo libro una delle questioni più dibattute dei nostri tempi: il problema demografico. L'autore - dati scientifici alla mano, tutti interpretati con esemplare onestà intellettuale - sbugiarda la retorica dogmatica di quanti - a tutti i livelli, dall'istruzione ai mass media, dalla politica alle istituzioni, UNPD compresa -, ci hanno fatto credere che il mondo era ed e' vicino a un baratro a causa della sovrapopolazione mondiale, una sorta di bomba demografica pronta ad esplodere...
Chi vincerà la sfida dei prossimi anni, la politica o l'antipolitica? Massimo D'Alema va controcorrente e scommette su una sinistra rinnovata per fermare l'avanzare di movimenti di impronta populistica. In questa lunga intervista si sommano la cronaca dei trent'anni passati con autocritiche finora mai pronunciate e punti fermi ribaditi. D'Alema pensa a una sinistra più europea per contrastare l'eterno ritorno del nuovismo, il mito della società civile, le suggestioni tecnocratiche. La sinistra controcorrente di D'Alema si libera dagli ingombranti fardelli del passato ma non accetta le scorciatoie liberiste in economia e plebiscitarie nel sistema politico. È una sinistra che lascia ai più giovani una lettura severa del recente passato ma anche la traccia per diventare classe dirigente.
«All'inizio del 2021 abbiamo aperto una crisi di governo in piena pandemia. Ci hanno definito pazzi e irresponsabili ma noi pensavamo giusto e necessario per l'Italia cambiare passo sui vaccini, sull'economia, sul futuro. Oggi sono più convinto di prima. L'ho fatto e lo rifarei, dunque, senza alcun dubbio. Sono convinto che il nostro gesto abbia aiutato in modo decisivo l'Italia a svoltare. Grazie al nostro coraggio e all'arrivo di Mario Draghi, il Paese e più forte di prima. E tuttavia avverto la responsabilità di raccontare, confidare, illustrare ciò che è accaduto in queste settimane, per chi davvero vuole conoscere, giudicare e criticare le nostre scelte. Ma voglio farlo partendo dalle ragioni profonde che ci hanno mosso, non dalla verità preconfezionata degli slogan, dei tweet, dei titoli acchiappa consenso. Ciò che è avvenuto non è una sconfitta della politica, ma il capolavoro di una politica che vive di idee e non si piega alla logica dei sondaggi e degli influencer. Di una politica capace di essere controcorrente. Siamo andati controcorrente per realizzare questa svolta. Controcorrente, contro tutti. Ma nel mondo che cambia ci sarà sempre più bisogno di persone capaci di andare controcorrente». Un libro ricco di passione, aneddoti e retroscena, ma soprattutto di una visione capace di squarciare il conformismo a cui spesso siamo stati abituati.
La qualità di una democrazia dipende anche dall'esistenza di un'opposizione. Al momento, in Italia, un'opposizione degna di questo nome non esiste. Draghi e il suo governo dei "migliori" hanno messo tutti d'accordo: i gruppi di potere, i principali partiti politici, il sistema mediatico occupato a dipingere un ritratto agiografico del nuovo presidente del consiglio. Tutti allineati e conformati. Questo libro va in senso inverso. Un elenco di verità storiche, verità processuali e scelte politiche mostra quanto sia pericoloso l'assembramento al governo di determinati politici e partiti. Pericoloso per la democrazia, pericoloso per l'etica politica, pericolosissimo per la classe media. "Contro!" è un libro di opposizione, uno strumento per coltivare la memoria, per fornire elementi alla pubblica opinione e per contrastare la santificazione del governo di tutti.
Questo libro nasce all'alba. Precisamente all'alba di due giorni che, con il Brexit e l'elezione di Trump, hanno cambiato la nostra storia. Siamo di fronte a sfide il cui impatto sull'Italia e sull'Europa è riconducibile all'anno di svolta 1989. Per quanto scioccanti, questi eventi possono aprire per l'Europa nuove e persino affascinanti opportunità. Di certo, nel mondo di oggi sono fondamentali reattività e tempismo. È tempo che l'Europa diventi adulta e cambi strada rispetto a errori e incertezze di questi ultimi anni. E che l'Italia sia in prima fila contro i nazionalismi risorgenti e protagonista nella costruzione di una nuova Unione, più vicina ai cittadini.
Carlo Azeglio Ciampi per quasi quindici anni ha ricoperto diversi ambiti di responsabilità istituzionale: prima capo del governo, poi ministro del Tesoro, infine presidente della Repubblica. È possibile e forse utile provare a ragionare sul significato delle due decadi che abbiamo alle spalle e sul filo rosso della traiettoria di Ciampi all'interno del mare tempestoso che ha attraversato. Il volume nasce dalla ricerca di nuovi percorsi partendo da una selezione di temi emersi dai colloqui tra l'autore e il presidente Ciampi e dallo spoglio delle sue agende sulle quali era solito annotare appuntamenti, impegni, impressioni, talvolta commenti e giudizi. Dalla crisi finanziaria del 1992 alla caduta della prima Repubblica, da Tangentopoli alla 'discesa' in campo di Berlusconi, dall'ingresso dell'Italia nell'euro alla recente crisi economica e istituzionale: un contributo alla storia della Repubblica nel quindicennio compreso tra lo scorcio finale del Novecento e l'inizio del nuovo secolo. Ne emerge uno spaccato significativo, un punto di vista che permette di seguire alcuni snodi cruciali della transizione italiana: una griglia di interrogativi che si spingono fino a noi, alle inquietudini di un presente incerto e imprevedibile. Un'ipotesi interpretativa, uno sguardo che vuole anche essere uno stimolo per non disperdere un patrimonio prezioso di idee e di speranze.
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto di "riformismo", ha conosciuto una nuova primavera anche in Italia. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente dichiarare "riformisti". L'utilizzo del nuovo linguaggio riformista ha accompagnato in Italia il più imponente processo di dismissione del patrimonio e delle attività economiche pubbliche che l'intera Europa, compresa l'Inghilterra thatcheriana, avesse mai conosciuto in un periodo tanto concentrato. Il riformismo è oggi un gigantesco quanto complesso dispositivo di potere autoritario globale, che porta alla massima estensione e concentrazione della proprietà privata a scapito di quella pubblica. L'ideologia riformista pone il denaro, strumento indispensabile dell'attività di consumo e di accumulo, al centro della scala dei nostri valori sociali e promuove il mercato come sola costituzione materiale. Per uscire da questa miseria, occorre un ripensamento profondo fondato sulla ricerca di nuove istituzioni del comune, capaci di superare l'attuale strutturazione estrattiva dei rapporti proprietari pubblici e privati. Di come render costituenti queste alternative occorre iniziare a discutere subito.
In tutta Europa, i cittadini votano sempre meno, sono sempre più inclini a prestare fede a retoriche populiste, non credono più nella classe politica. Che fare? In molti si sono posti questo interrogativo, ma in pochi hanno risposto con una proposta altrettanto radicale e sorprendente di quella di David van Reybrouck: abolire le elezioni, non scegliere più con il meccanismo elettorale i componenti del Parlamento. E affidarsi al sorteggio per determinare coloro i quali hanno la responsabilità di scrivere le leggi dello stato. Se ci sembra inconcepibile un simile scenario, sostiene van Reybrouck, è perché abbiamo un'idea sbagliata della funzione e dei vantaggi delle elezioni come metodo di selezione della classe dirigente. Per molti di noi, le libere elezioni a suffragio universale sono sinonimo di democrazia, e solo i regimi totalitari le hanno abolite. Ma la storia dell'affermarsi delle elezioni nei sistemi politici europei è molto meno lineare e contiene diverse sorprese. David van Reybrouck porta alla luce un dibattito sui pregi e i difetti della democrazia partecipativa che nelle università è in corso da tempo, e offre al lettore una serie incredibile di idee nuove, esperienze pratiche, tentativi concreti di nuovi modelli di governance. Ma cosa significa per una società contemporanea fare a meno delle elezioni?
Nel 1936, Ambedkar fu invitato a partecipare alla conferenza annuale del gruppo induista riformista di Lahore. Quando gli organizzatori ricevettero il testo del suo discorso, ne giudicarono intollerabili i contenuti, tentarono una breve e infruttuosa negoziazione, e alla fine cancellarono l'invito. Ambedkar decise così di stamparne a sue spese 1500 copie, e da quel momento «Contro le caste» cominciò a diffondersi come un manifesto... Il pamphlet viene qui presentato per la prima volta in italiano in un'edizione riccamente annotata e con un saggio introduttivo di Arundhati Roy, in cui si affronta il tema delle caste e lo storico scontro morale e intellettuale fra Ambedkar e Gandhi, lasciando emergere alcuni aspetti della personalità del Mahatma in contrasto con l'icona universale a tutti nota.
Un utile contributo al dibattito sulle riforme elettorali.