
In breve
L’eroe del Risorgimento italiano autore dell’Inno d’Italia. Il pensiero politico del giovane poeta combattente. La concezione mazziniana dell’Italia unita accesa dal fuoco dell’entusiasmo.
Il libro
“Tutta l’Europa è scossa e in grande ansietà; la quiete sepolcrale che dai superbi tiranni si diceva ‘pace’ ed era ‘morte di popoli’ in tanti lustri di turpe schiavitù, ha cessato per dar luogo all’azione di vita e di risorgimento. Finalmente siamo alla vigilia del tremendo conflitto dei due principii, indipendenza o schiavitù, ‘assolutismo o libertà’, né v’ha transazione o altra via conciliativa.”
“La vicenda specifica di Mameli illustra con efficacia la condizione di ‘esilio in patria’ di cui hanno sofferto a lungo i democratici nella storia italiana. Infatti, essa allude alla difficoltà con cui il termine ‘repubblicano’ è entrato nella cultura degli italiani. Una parola – ‘repubblica’ – e un sentimento che non hanno mai goduto di una cittadinanza particolarmente benevola e che proprio nel 1848 acquistano un connotato preciso…
Negli scritti di Goffredo Mameli c’è tutto il ’48 italiano: l’anelito della patria; la convinzione che la storia si produca solo attraverso un riscatto popolare; il culto del gesto eroico; l’ansia dell’azione esemplare; l’idea che la storia si fa solo stando nei processi concreti, ‘sporcandosi le mani’. In sintesi: la convinzione che l’azione politica sia prima di tutto partecipare in prima persona. Due tratti lo collocano nel canone del ribelle moderno: tutte le rivoluzioni appaiono come insurrezioni della gioventù e, soprattutto, partecipare significa non risparmiarsi, consumare tutte le proprie energie. Come molti altri dopo di lui, per arrivare fino a oggi, ribellarsi ha significato sostenere ‘sei quello che fai’ contrapposto senza possibilità di mediazione a ‘sei quello che pensi’.”
(dall’Introduzione)
C'è un'Italia di cui si legge ogni giorno sui giornali, dove la cronaca nera si mescola allo spettacolo, il dibattito politico interseca il costume e lo sport. Ma all'interno di questa Italia visibile ne esiste un'altra, silenziosa e clandestina, meno appariscente, che sui giornali non finisce quasi mai. L'operato di chi vi appartiene è però determinante nel regolare l'intera vita del nostro Paese, specialmente il suo livello economico-finanziario. Ed è proprio alla scoperta di questa Italia segreta, di questa comunità massonica, in cui il legame tra "fratelli" appare nodale, che Ferruccio Pinotti ha dedicato il suo nuovo libro. Un'indagine sui fatti e sui nomi di chi è gravitato o gravita ancora nell'orbita della massoneria, condotta attraverso interviste esclusive, documenti, atti giudiziari, testimonianze inedite, in un viaggio nelle viscere del potere che è tale nella misura in cui è sconosciuto.
Le regole non scritte, i meccanismi profondi, le dinamiche eterne del gioco: per la prima volta un protagonista indiscusso della vita pubblica italiana racconta senza pudore né ipocrisia cos'è e come funziona la politica. Sapientemente indirizzato dal giornalista Andrea Cangini, il presidente Francesco Cossiga mette a nudo il potere e con esso l'uomo che lo incarna. Svela l'arcano, dice l'indicibile, strappa la maschera alla realtà con l'ironia e l'arguzia di chi ha cavalcato lungo le strade impervie della Prima e della Seconda repubblica. Aneddoti, riflessioni, rimandi storici, vere e proprie rivelazioni accompagnano il lettore alla scoperta di verità "scandalose" fino a oggi mai rivelate con tanta schiettezza. La natura del potere, il ruolo del denaro, l'uso dei servizi segreti, la violenza, la guerra, le massonerie, i rapporti tra stati, la religione, il Vaticano, la verità, la finzione, i complotti, il caso, il lato di tenebra dell'uomo e del politico. Il trionfo e la caduta, la vita e la morte.
Che cosa è un partito e a cosa serve, oggi? In tutto l'Occidente soffiano venti di protesta e disaffezione nei suoi confronti. "Il cahiers de doléances" è molto lungo. I partiti non interpretano più le opinioni dei cittadini, pensano solo ai loro interessi, sono corrotti inefficienti e incapaci, sono ferri vecchi ereditati da un passato lontano, morto e sepolto, creano solo disordine e divisione. Non sono accuse nuove. Risuonano più o meno dalla loro nascita. I partiti hanno sempre creato una sorta di ansia sociale. Perché dividevano il corpo sociale, creavano passioni spesso incontenibili e portavano a conflitti rovinosi. Insomma, i partiti erano e sono tuttora considerati all'origine di tutti i mali. Eppure non c'è scampo: senza partiti non c'è democrazia. Se vogliamo un sistema pluralista e democratico dobbiamo "tenerci" dei partiti. Questo libro sostiene che i partiti non solo rimangono strumenti ineludibili per l'organizzazione del consenso e la scelta dei rappresentanti, ma sono oggi più "forti" di un tempo. Sono in ritirata sul territorio dove hanno perso quasi ovunque iscritti e chiuso sedi; al contempo, però, hanno accentrato e verticalizzato le loro risorse nelle strutture centrali nazionali e nelle assemblee rappresentative. Oggi dispongono, nei quartieri generali e nei gruppi parlamentari e consiliari, di una quantità di personale, strutture e finanziamenti molto superiore al passato...
Le mutevoli forme istituzionali del cristianesimo rappresentano un elemento tutt’altro che secondario nel processo di costruzione dello Stato moderno. I percorsi storici tracciati in questo volume costituiscono altrettante riflessioni sull’attitudine culturale delle forme istituzionali del messaggio cristiano a proporsi, nella storia europea, come stabili interlocutrici dei processi di integrazione politica della società.
Le "forme di produzione precapitalistiche" costituiscono una parte dei "Lineamenti di critica dell’ economia politica" composti da Marx, sotto torma di appunti e in vista della stesura del "Capitale", tra il 1857 e il 1858. Vero e proprio "testo dentro il testo", esse rappresentano una sorta di interruzione momentanea dell’ indagine critica di Marx sul presente del modo di produzione capitalistico e volgono invece lo sguardo al passato dei mondi che lo hanno preceduto e ne hanno preparato l’avvento: i modi di produzione antico, asiatico e feudale, nelle loro specifiche articolazioni e dinamiche. Più precisamente, il nucleo tematico di questo laboratorio intellettuale, che permette di seguire Marx mentre elabora il proprio pensiero, è l’analisi della legge generale dello sviluppo storico e del legame reciproco dei diversi modi di produzione che si sono storicamente succeduti. Incentrato su una filosofia della storia stadiale e dialettica, conflittuale e orientata al fine ultimo della società senza classi, il progetto marxiano poggia su una salda convinzione: non è possibile comprendere pienamente il "funzionamento" del mondo capitalistico senza averne correttamente decifrato la genesi storica e senza essersi affrancati dalle spiegazioni ideologie che naturalistiche e "robinsoniane" dell’economia politica classica. Non si può fare luce sul presente né prefigurarsi le contraddizioni che accompagneranno l’umanità verso il futuro, senza aver preventivamente fatto i conti con il passato.
L'ideologia del terrore ha caratterizzato l'affermazione tragica dei sistemi totalitari nel corso del Novecento. La follia rigeneratrice per la costruzione dell'uomo nuovo, per il trionfo delle leggi della storia o della natura ha animato una dimensione ferocemente spietata del potere. Questo libro tiene conto di quella vicenda, ma si concentra sulla possibile esistenza di una nuova versione del totalitarismo o, meglio, della tendenza totalitaria che attraversa le società cosiddette democratico-liberali. Quali forme assume l'attuale totalitarismo postideologico? Si tratta di un totalitarismo senza un centro identificato ma socialmente diffuso, intrecciato alla potenza del mercato globalizzato e allo scientismo tecnologico, con le sue pretese di misurazione e di controllo dell'esistenza. Un totalitarismo che, pur in un contesto storico-politico profondamente diverso, conserva il nocciolo della versione originaria, ovvero l'incidenza del potere, nella sua variante biotecnologica, sulle condizioni di possibilità della vita stessa.
In meno di cinquant'anni l'Unione Europea è diventata il secondo attore globale dopo gli Stati Uniti d'America, e con l'adozione definitiva del Trattato costituzionale da parte delle istituzioni europee, firmato a Roma nell'ottobre 2004, essa ha assunto anche un'identità politica che potrà giocare un ruolo rilevante nella struttura del mondo del XXI secolo. In questo processo le questioni riguardanti l'istruzione e l'educazione hanno naturalmente un peso rilevante. Il volume presenta le problematiche educative che nel corso degli anni sono entrate gradualmente nell'agenda delle istituzioni europee, a partire dagli anni '60 fino alle ultime decisioni adottate il 31 dicembre 2004, e mette a fuoco l'impegno profuso in questo campo dai pedagogisti di ispirazione cristiana e dal Magistero della Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II ad oggi, nella consapevolezza che le sfide educative lanciate dalla società complessa e dal pluralismo culturale e religioso e le prospettive di lavoro che da esse derivano richiedono anche per il futuro, sia alle istituzioni civili che a quelle ecclesiastiche, un'attenzione ancora più adeguata e significativa.
Di lavoro oggi si discute molto, principalmente riguardo alla sua profondissima crisi e alle scelte politiche che dovranno sanarne le drammatiche emergenze. Ma il lavoro non ha soltanto a che fare con la produzione di ricchezza e benessere materiale: esso 'fonda' la Repubblica italiana, come recita l'articolo 1 della nostra Costituzione, e soprattutto fonda tutti noi, che siamo veramente cittadini perché lavoriamo, lavoreremo, abbiamo lavorato (o perché non possiamo lavorare pur volendolo fare). Spesso, in questo parlar molto del lavoro, ci si sofferma troppo, se non esclusivamente, sui suoi aggettivi - precario, dipendente, autonomo, nero... - mentre viene elusa la domanda decisiva: che cosa è il lavoro? Su questo riflette qui Luigino Bruni, esplorando i temi del lavoro non sotto forma di un trattato sistematico, bensì con felici escursioni tra la vita e la teoria, senza mai perdere di vista la valenza fondativa del lavoro nella vita umana. Ecco allora la ripresa in questa prospettiva della lunga storia del lavorare degli uomini e delle donne, fino al rapido tramonto delle forme del lavoro contadino e poi di quello della fabbrica, dove si erano condensati secoli, se non millenni, di storia di arti e mestieri, di professioni e abilità. Un tramonto dopo il quale non si intravede ancora con chiarezza quale sarà il futuro delle nuove forme di produzione di beni e servizi: se una modalità più umana e umanizzante o invece il ritorno di una dipendenza quasi servile, una sorta di neo-feudalesimo. E poi, l'attenzione alle realtà giovanili, schiacciate tra la fine dei mestieri e la chiusura dei mercati, eppure miniere di speranza che la scuola e la formazione possono ancora far fiorire. E infine, la rilettura sotto una nuova luce delle 'parole' del lavoro: a cominciare da charis, 'gratuità', passando per oikonomia, la vera 'economia', cioè il bene comune domestico, per arrivare a 'festa', la dimensione autentica del lavoro come lo intende Bruni, vale a dire la produzione all'interno della dimensione relazionale e simbolica, della fraternità e del dono reciproco.
Il costituzionalismo ottocentesco, come dottrina politica nasce con un marchio classista che l'oppone alla democrazia. Ma basta aprire la nostra Costituzione all'articolo 1 per vedere quanto lungo sia stato il cammino che da allora è stato compiuto: "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro". A questo ha condotto l'ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l'accesso alle istituzioni. In una parola, c'è stata la diffusione della democrazia, sia nella sua dimensione politica che in quella sociale. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della res publica, cioè della cosa o della casa comune, significa compimento di un processo storico d'inclusione nella piena cittadinanza. L'articolo 3 della Costituzione è uno svolgimento dell'articolo 1: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono [...] la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". È bene tenerlo a mente, nel momento in cui azioni diverse compromettono il significato costituzionale del lavoro, e al tempo stesso, la dignità del lavoratore.