
"I due autori fanno mestieri diversi. Il primo è procuratore aggiunto a Venezia. Il secondo è avvocato, ma è stato eletto alla Camera come indipendente nelle liste di Rifondazione comunista ed è stato per due anni presidente della Commissione giustizia di Montecitorio. Il primo è un liberale voltairiano, scettico e realista; il secondo appartiene a una sinistra idealista e generosa. [...] A un certo punto della loro vita, tuttavia, hanno avuto uno stesso incarico: la presidenza della Commissione per la riforma del Codice penale, il primo all'epoca del guardasigilli Castelli, durante il governo Berlusconi, e il secondo all'epoca del guardasigilli Mastella durante il governo Prodi. Ma nel processo alla giustizia penale il procuratore e l'avvocato hanno pronunciato la stessa arringa e sono giunti alle stesse conclusioni: che 'le pene, per quanto possa sembrare strano, non devono essere aumentate, semmai diminuite' (Nordio), che 'bisogna smetterla con il panpenalismo' e che l'idea di potere risolvere tutto, anche i problemi sociali, con il Codice penale, 'è solo propaganda, pericolosa demagogia' (Pisapia). Anche se con animo diverso (realista il primo, idealista il secondo) hanno scritto relazioni che dicono in buona parte le stesse cose e che sono rimaste egualmente sepolte sotto gli incartamenti che si accumulano sullo scrittoio dei ministri di Grazia e giustizia." (Dalla prefazione di Sergio Romano)
La pubblicazione di queste corrispondenze dal cuore dell'impero americano vuole essere un contributo alla riflessione all'interno di una realtà, l'Europa, che vorrebbe costituirsi impero e che ha già mosso i primi passi in questa direzione. Il testo pone criticamente la domanda se siamo pronti come popolo a un affiancamento a una cultura e una politica comunque lontana da noi o se vi è l'esigenza di una riscoperta delle radici culturali dell'Europa e dell'Italia.
Quando è nata la nozione di Occidente? Come si è modificata nel corso dei secoli? Qual è stato e qual è il suo rapporto con la nozione di Europa? E quanto devono al Cristianesimo entrambi questi concetti? E ancora: come può l'Occidente fronteggiare la sfida del terrorismo islamico? Esiste uno spazio per l'Europa sullo scacchiere internazionale? Queste sono soltanto alcune delle domande che Gianni Baget Bozzo si pone in questo libro.
Esiste un prima e un dopo l'11 settembre? Quegli eventi hanno aperto un nuovo spazio strategico, ponendo fine al vecchio ordine mondiale? Il terrorismo internazionale, oggi islamico domani d'altra natura, mira a seminare morte e distruzione, o non è piuttosto frutto del conflitto in Medio Oriente, che spinge la gioventù araba a radunarsi sotto il vessillo dell'Islam radicale, esasperata dalla politica americana in Palestina? L'autore conduce un'analisi delle relazioni tra Stati Uniti, Europa e mondo islamico che mostra come i mutamenti emersi alla coscienza collettiva fossero in atto ben prima dell'11 settembre. Quanto è accaduto quel giorno ha solo accelerato alcune decisioni politiche e ha definito la complessità delle realzioni fra Occidente e Islam.
La sostenibilità impone un uso equilibrato del suolo per assicurare lavoro e benessere, fornire credito e sicurezza alimentare e ottenere stabilità climatica. È giunto il momento di combattere la povertà puntando su salute e istruzione, un uso sostenibile del suolo, lavoro dignitoso e meno emissioni. Dobbiamo acquisire una coscienza-responsabilità individuale e collettiva capace di tradursi in pratiche eco-solidali. Realizzare una proficua interazione tra uomini e donne che operano sul campo e professionisti e scienziati. Perciò l'analisi delle condizioni necessarie per praticare politiche sostenibili va coniugata con il cambio di mentalità necessario per utilizzare al meglio risorse umane, tecnologie, ricchezze.
Il libro raccoglie due testi sui limiti e le ragioni dell'impegno politico di fronte a quello assoluto e trascendente rappresentato dalla fede. Il cristiano può - e in determinate circostanze, deve - accettare lo Stato, ma mai incondizionatamente, in quanto egli appartiene a uno Stato superiore e la sua libertà si fonda sull'indipendenza da qualsiasi ideologia o peculiare forma di governo. Prendendo le distanze dalla tentazione di ogni "Cristianesimo sociale", Barth ribadisce la necessità di una formazione politica della coscienza, unita al dovere del credente di lottare per la salvezza dell'umanità, interrogando sempre il rapporto perennemente in tensione tra fede e potere politico. La riflessione su questi temi trova forma nel commento al capitolo 13 della «Lettera ai Romani» di san Paolo (1919, poi rielaborato nel 1922) e nella conferenza del 1933, in cui l'autore si oppone radicalmente alla nascita in Germania di una Chiesa di regime sottomessa al culto del Führer, e afferma che è venuto il tempo di una "decisione politica" fondata sulla libertà del Vangelo.
Un saggio di Gustavo Zagrebelsky - una riflessione - che poggia su convinzioni maturate in lunghi anni di dedizione all'argomento, in cui vengono descritti significati e storia di un modello politico che aspira all'uguaglianza, al dialogo e all'esercizio dei diritti di ciascuno e di tutti. Completa il volume una scelta di testi sul concetto di democrazia, significativi seppur non tutti canonici, di autori d'ogni tempo: Erodoto, Aristofane, Cicerone, Montesquieu, Tocqueville, Brecht, Orwell, Arendt, Bobbio e Carillo.
Generalmente incarnati da leader telegenici penetrati per effrazione in una zona politica riservata, i neonazisti fanno ricorso al gesto dell'appello al popolo, unendo al rifiuto della classe politica nazionale quello della nuova classe espertocratica transnazionale. Al "né a destra né a sinistra" si aggiungono diverse forme, mescolanze più o meno contraddittorie di liberalismo economico e di nazionalismo etnico, di liberoscambismo e di protezionismo, di xenofobia antiimmigrati e di difesa dello Stato-provvidenza, di rifiuto delle élite e di paure identitarie. Come segno da decifrare, l'estensione planetaria delle mobilitazioni "populiste" o "nazional-populiste" invita quindi a uno sforzo di definizione a cui è dedicato questo saggio di analisi politica.
Nel 1990, agenti federali fanno irruzione in un'azienda di giochi americana portando via tutti i computer, alcuni dei quali mai più restituiti, anche quando le accuse che avevano portato al blitz decadono. Tra i giochi sequestrati, ce n'è uno di carte, "Illuminati". Che la vera ragione del sequestro siano le carte, che riportano immagini molto simili ad altre diventate poi notissime dell'esplosione delle Twin Towers, dell'aereo schiantato sul Pentagono o del maremoto di Fukushima, nessuno lo dice ufficialmente, ma, alla luce di quanto avvenuto nel 2001 e nel 2011, pare molto probabile. E può esserci un collegamento tra questo episodio e gli esclusivi incontri del Bohemian Club, che riunisce nomi come Rockefeller, Kissinger e molti presidenti americani, o del Gruppo Bilderberg, a cui fa capo il gotha della finanza e della politica europea e mondiale? Che esista un ristretto gruppo di persone talmente potenti da infiltrarsi in ogni ambito della vita sociale e politica mondiale e di influenzare ogni decisione che ci riguardi è ormai più che un sospetto per molti. Quello che non tutti sanno è che queste persone, note o sconosciute, farebbero parte di una società segreta di storiche origini, quella degli Illuminati. Verità? Menzogna? Esistono prove della loro esistenza? Adam Kadmon, il personaggio misterioso che raccoglie milioni di contatti sul web, di coincidenze - prove, forse? - ne presenta a centinaia.
Il volume esplora le vicende istituzionali del Regno d'Italia, viste come una sorta di laboratorio delle trasformazioni che andranno poi a definire le modalità con cui il sistema economico e sociale si muoverà nel tempo. Emergono alcuni temi che accompagnano lo sviluppo italiano fin dall'Unità: centralismo versus autonomie locali, qualità delle istituzioni e loro ruolo, rapporto tra governabilità e rappresentatività. Già presenti nei tre Decreti Rattazzi che riguardavano la riforma dello Stato, della legge elettorale e della scuola, costituiscono altrettanti nodi ancora oggi al centro del dibattito politico, per l'importanza cruciale che rivestono nello sviluppo del sistema produttivo in una economia in crisi come quella del nostro paese.
L'impetuosa, straordinaria crescita economica della Cina e gli evidenti segni di declino dell'Occidente, investito da una crisi - non solo finanziaria - che sembra irreversibile, sono senz'altro i due fatti più rilevanti dell'inizio del Terzo millennio. Ma questo significa, automaticamente, che sarà la Cina la potenza dominante del XXI secolo? E, in caso di risposta affermativa, a quali equilibri porterà il nuovo scenario internazionale? Quali conseguenze avrà sulle nostre vite? Su queste domande cruciali si sono confrontate e scontrate, in occasione del settimo Munk Debate tenutosi a Toronto il 17 giugno 2011, alcune delle menti più brillanti e competenti dell'odierno panorama culturale, dando vita a una vivace discussione in cui si sono delineati due schieramenti contrapposti. Da una parte, Henry Kissinger, Nobel per la pace e segretario di Stato americano sotto la presidenza Nixon, e Fareed Zakaria, opinionista e conduttore di un popolare e influente programma di politica internazionale sulla CNN, ritengono che la Cina sarà troppo impegnata a tenere a bada le tensioni interne e quelle con i Paesi limitrofi per poter diventare la potenza egemone a livello planetario. Un ruolo che la Cina non potrebbe ricoprire, secondo loro, anche perché priva dell'influenza culturale e del "soft power" necessari a esercitare una convincente supremazia. Dall'altra, invece, Niall Ferguson e David Daokui Li, economista e docente in varie università cinesi e statunitensi.
"La norma sul voto di scambio politico-mafioso nasce malissimo. Dopo le stragi di Capaci e di via d'Amelio, il legislatore confeziona in tutta fretta un reato quasi inapplicabile. Dopo vent'anni, nel 2014, grazie alle pressioni dell'associazionismo antimafia, arriva una riforma che ci sembra però deludente. Nel 2017, qualcosa migliora sul fronte del trattamento sanzionatorio. Ma si può fare ancora di meglio. È in gioco la qualità della nostra democrazia."