
ll sommario del numero 1/25 di Limes dedicato alla fine del "mondo basato sulle regole" e alle crisi in corso correlate alla Guerra Grande.
Mai nella storia i massimi imperi si sono trovati contemporaneamente in crisi, al punto da temere per la propria esistenza. Questa è in essenza la Guerra Grande, che è appena iniziata e di cui nessuno può immaginarne la fine. Un conflitto disegnato di tre protagonisti - Stati Uniti, Cina e Russia - in due teatri principali. Con Cina e Usa in crescente frizione nell'Indo-Pacifico, mentre Stati Uniti e Russia si affrontano lungo i bordi dell'Eurasia occidentale fra Mar Nero e Baltico, epicentro Ucraina. Il primo numero di Limes del 2023 fa il punto sulla guerra che insanguina l'Europa orientale, inserendola nel più ampio quadro geopolitico che appare destinato a connotare il prossimo futuro. Tempo caratterizzato dagli spasmi del "momento unipolare" americano post-1989 e dalla brutale gestazione di un nuovo assetto. Un processo i cui esiti restano aperti.
I politici politicanti italiani, quelli che un liberale cristallino come Luigi Einaudi attaccò scrivendo che occorreva "licenziare i Padreterni", sono sordi. Non riescono a capire. Non riescono a vedere, chiusi nel loro fortilizio autoreferenziale, l'insofferenza montante dei cittadini di un Paese in affanno che vive, come dice Giorgio Napolitano, "un angoscioso presente". Sono così abituati ai privilegi, all'abuso del potere, all'impunità, da non rendersi conto che la loro sordità mette a rischio non solo il decoro e la credibilità delle istituzioni ma alla lunga il nostro bene più prezioso: la democrazia. Quattro anni dopo La Casta, gli autori che prima e più di tutti ne hanno denunciato gli sprechi, le ingordigie e le prepotenze smascherano punto per punto i tradimenti delle promesse di sobrietà. E l'inadeguatezza di una classe politica che, nonostante l'impegno e la generosità di tanti parlamentari e amministratori perbene e generosi, non riesce a essere davvero classe dirigente. E offre segnali di un distacco rischioso tra chi governa e chi è governato. Un'invettiva civile d'amore per l'Italia e per la politica migliore. Nella speranza di un riscatto.
Il Libro della politica 2007-2008 è il primo vero narrative reference sulla politica. Giorno per giorno, da gennaio 2007 fino alle elezioni politiche 2008, il racconto puntuale, senza commenti, della politica italiana e del contesto internazionale. Il volume è aperto da una conversazione con Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale, da cui conduce da anni la più seguita rassegna stampa quotidiana politica. In coda, un'appendice dedicata alla presidenza Napolitano, e al quadro completo dei dati delle elezioni politiche 2008. Come supporto documentale, una amplissima linkopedia tematica consente di accedere direttamente alla fonte degli avvenimenti narrati, attingendo allo sterminato archivio del sito www.radioradicale.it
Dalla formazione sui classici del marxismo e del liberismo, alle responsabilità di coordinatore della programmazione economica del centro-sinistra, al difficile ruolo di ministro dell'Ambiente nel momento di maggiore vitalità delle lotte ambientaliste, la vita di Giorgio Ruffolo è un racconto di scommesse fatte e non sempre vinte. Si trova ad agire da protagonista in momenti di svolta radicale per le sorti della repubblica, a volte nell'ombra, da tecnico, a volte sotto i riflettori da ministro o eurodeputato. Il racconto si snoda attraverso tappe che vanno dalla sua formazione, durante la seconda guerra mondiale - le letture, gli incontri, un antifascismo sempre più convinto che matura attraverso Marx e Salvemini -, ai primi incarichi pubblici, nell'Ufficio studi della Bnl, fino alla nomina a ministro nel 1987 e poi all'elezione a parlamentare europeo. La descrizione dell'ambiente, le biografie dei primi burocrati della repubblica si alternano al racconto di un'Italia che cambia, soprattutto nei costumi. La trama si arricchisce di considerazioni e documenti che consentono di toccare con mano periodi estremamente complessi della storia d'Italia: la pionieristica fase della programmazione, osteggiata dai grandi partiti di massa e dalle manovre dei grandi "monopoli" italiani; la morte di Mattei, ricordato attraverso il lavoro comune, i viaggi, il problema del petrolio italiano e il ruolo giocato dai paesi arabi e dai servizi segreti francesi nella sua tragica fine.
Nei primi mesi del 2011, a cent'anni esatti dall'impresa coloniale italiana in Libia, si è consumato un nuovo intervento militare contro il Paese nordafricano. Artefici di quest'attacco piratesco, come è qui documentato con precisione, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, a cui presto si è dovuta accodare anche l'Italia, il più stretto e importante partner economico-commerciale della Libia. Ne è seguito un disastro immane le cui vere ragioni sono state tenute nascoste al pubblico internazionale. Con molta lentezza, mentre si consumava la tragedia che ha dilaniato l'ex colonia italiana, sono emersi qua e là taluni brandelli di notizie sulle cause che hanno portato all'entrata in guerra della NATO contro Mu'ammar Gheddafi. Ma, come già era avvenuto, i media mainstream hanno continuato a tacere sul disegno e le finalità complessive dell'operazione. Oltre a non reclamare giustizia per gli «uomini di Stato» responsabili di una tale catastrofe sociale e umanitaria. Il libro di Paolo Sensini rappresenta un contributo imprescindibile per chiunque voglia davvero capire cos'è accaduto in Libia e, più in generale, su ciò che è ormai passato alla storia con il roboante nome di «Primavera Araba». È un racconto avvincente, che ci guida per mano nel labirinto libico e di cui l'autore, che ha completato il quadro pubblicando importanti contributi sulla strategia del caos nel Vicino e Medio Oriente, ci aggiorna con dovizia fino agli ultimissimi eventi e oltre.
Il 9 maggio 1950 Robert Schuman entra nella storia d'Europa per la sua «dichiarazione. E' il ministro degli Esteri francese, figlio della Lorena contesa da francesi e tedeschi nella tragedia di due guerre mondiali; forte dell'intesa con il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, propone e ottiene che Francia e Germania condividano la gestione delle risorse siderurgiche della Ruhr. Se con il carbone e l'acciaio si è fatta la guerra - questa è la tesi nella sua disarmante semplicità - con lo sfruttamento comune del carbone e dell'acciaio si può ora costruire la pace. Ma il piano, che ha una sponda anche nel premier italiano Alcide De Gasperi, guarda all'Europa intera così che, in quel 9 maggio, è riconosciuto l'inizio del processo di unificazione che ha portato alla moneta unica e all'Unione europea di oggi.
A buon titolo, dunque, Schuman - di cui lo storico Maurizio De Bortoli ricostruisce qui il pensiero e la vita come in un romanzo, ripercorrendone anche l'infanzia, gli anni di guerra, di prigionia e la morte avvenuta in fama di santità - è considerato il padre dell'Europa moderna. Un padre tradito, tuttavia, obbietta l'autore - trovando un'eco autorevole nella Prefazione di Marcello Pera che titola significativamente: Europa, il tradimento del padre -, perché nell'intuizione dello statista la comunione fra i popoli europei non si realizza nel collante dell'economia, ma attinge di necessità linfa dalle radici culturali e religiose che ne fondano l'identità attraverso la storia. Osserva caustico il senatore Pera nel suo saggio: «Il 19 marzo 1958, di fronte al Parlamento europeo, Schuman disse: "Tutti i Paesi dell'Europa sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l'anima dell'Europa che occorre ridarle". Lo stesso avevano detto De Gasperi e Adenauer. Erano tre credenti cristiani cattolici. Ed erano, come si dice con la più ambigua delle espressioni in uso solo in Francia e in Italia, tre "laici". Nessuno di essi si sarebbe sognato di imporre il cristianesimo come religione degli europei. Nessuno di essi ne avrebbe tratto un prontuario comunitario. Ma nessuno di essi avrebbe potuto immaginare che l'Europa potesse farne a meno» (pp. 184).
I testi raccolti in questo volume, a firma di tre grandi nomi dell'economia italiana, sono un contributo di valore alla riflessione, sempre attuale, sul riformismo e il socialismo liberale, punto di partenza obbligato per riproporre e sviluppare il pensiero di Paolo Sylos Labini nel campo politico e civile. Si tratta di tre relazioni pronunciate in occasione del primo convegno indetto dall'Associazione Paolo Sylos Labini, fondata nel 2006 a un anno dalla scomparsa del grande economista. Il primo saggio, di Massimo Salvadori, fornisce il quadro di base ripercorrendo la storia del socialismo liberale da Carlo Rosselli fino a Norberto Bobbio e illustrando in questo modo le caratteristiche centrali di questa concezione politica. Il secondo, di Alessandro Roncaglia, ripercorre il pensiero politico di Paolo Sylos Labini, nel collegamento con il suo pensiero economico, il suo rigore etico e la sua passione civile. Il terzo scritto, di Pietro Rossi, affronta un aspetto particolare ma vitale del pensiero socialista e liberale, la laicità, oggetto di tanti attacchi nel nostro Paese e spesso trascurata nella sua importanza dalle stesse forze politiche progressiste.
Raymond Aron si interroga sul futuro delle democrazie liberali. Egli costruisce il suo ragionamento a partire da un fitto scambio con la filosofia e da uno sguardo imparziale ai fatti che, a suo avviso, hanno mostrato la possibilità di armonizzare gli ideali di libertà e uguaglianza in Occidente.
Il volume indaga la filosofia morale di Luigi Sturzo (1871-1959) ritrovando nel suo pensiero storico-sociologico il valore della sintesi della persona quale asse del primato della libertà personale nella storicità del sociale. L'autonomia della persona, infatti, rende presente il trascendente nelle forme sociali e manifesta l'infinita vita di Dio a fondamento etico del personalismo spirituale sturziano. Entrare in comunione con Dio e con gli uomini nella verità dell'amore implica per Sturzo trovare il termine assoluto in quanto tutto il mondo, sia naturale che storico, si risolve in Dio.
Gli scritti politici di David Hume, raccolti in questa prima edizione italiana integrale e completa, sollevano questioni scomode, difficilmente collocabili nelle classificazioni canoniche della storiografia moderna e contemporanea, che ha sin qui delineato dello Hume politico un'immagine di pensatore ambiguo, indecifrabile, persino "inquietante". Ciò nonostante, le sue idee sull'origine dello Stato e dell'obbedienza politica, la sua visione della libertà, della proprietà, della giustizia, della natura immutabile dell'uomo, delle istituzioni, del libero mercato, della stabilità politica e delle relazioni internazionali, oltre ad iscriverlo di diritto nel novero dei principali teorici politici moderni, costituiscono anche una preziosa fonte di ispirazioni per lo sviluppo del liberalismo e, soprattutto, del conservatorismo. Hume, infatti, si rivela il primo, vero conservatore dei tempi moderni, per avere inaugurato, anticipando di qualche decennio le tesi controrivoluzionarie di Edmund Burke, un conservatorismo "politico" nel vero senso del termine, libero dall'influenza del tradizionalismo religioso e basato sulla difesa dell'ordine, della sicurezza e dell'interesse della nazione, su una visione realistica dell'esperienza politica e sulla diffidenza verso il radicalismo, lo spirito di innovazione violenta, l'arroganza razionalista, la retorica ideologica e il fanatismo settario.
Usata da cittadini e politici, di destra come di sinistra, la parola 'liberalismo' è entrata nel nostro lessico politico ordinario. Ma all'estensione del suo uso è corrisposta una dissipazione del senso. Una guida e un orientamento preziosi ai vari aspetti e ai temi fondamentali della tradizione liberale, così come si sono manifestati alla coscienza dei suoi esponenti italiani più illustri, da Gaetano Filangieri a Cavour, da Piero Gobetti a Luigi Sturzo, da Benedetto Croce e Luigi Einaudi a Norberto Bobbio.