
"Questo volume raccoglie un ciclo di letture organizzato per i detenuti del carcere di Opera (Milano) con l'intento di descrivere il percorso umano che ha condotto Dante dalla 'selva oscura' al bene supremo del paradiso, cioè il destino buono che attende ogni persona che lo cerca e lo domanda. 'Il Paradiso è la compiuta felicità per cui l'uomo si sente nato e a cui la mano della Provvidenza può guidarlo a partire da qualsiasi 'selva oscura'. Dante è l'uomo della speranza: egli vuole testimoniare di aver visto dove può arrivare - anzi, dove è destinato ad arrivare - il cammino umano e che vale la pena fare il cammino anche nei momenti più gravi e faticosi perché c'è un punto di arrivo buono e certo. Leggere il 'Paradiso' vuol dire farsi accompagnare da Dante fin nel cuore di questa positività e di questa speranza. Allora apparirà utile, anzi necessario, fare anche il percorso dell''Inferno' e del 'Purgatorio', perché sono passi verso questa meta'." (dall'introduzione dell'autore)
Petrarca non è stato solo il poeta di Laura, il letterato che ha dato un indirizzo imperituro alla lirica nei secoli. Egli è stato molto altro: un colto pensatore politico, un precursore in campo linguistico, un pioniere nella ripresa umanistica del genere dialogico. Ancora, uno dei grandi lumi dell’Europa moderna, che ha saputo osservare dall’alto i confini delle discipline e delle nazioni. Colui, infine, che con la sua autorevolezza e molteplicità di interessi, con la sua forse ingenua ma sincera vocazione per la pace, aprì le porte della riflessione moderna su questo tema.
Un tema che è oggetto, ora, di una pubblicazione, Petrarca, l’Italia, l’Europa, a cura di Elisa Tinelli (edizioni di pagina, pp. 448, euro 21), che raccoglie gli Atti del Convegno di studi (Bari, 20-22 maggio 2015), con interventi di: A. Andreoni, A. Antonazzo, G. Baldassarri, G. Bonifacino, D. Canfora, G. Cascio, S. Castellaneta, C. Cavallini, L. Chines, C. Consiglio, C. Corfiati, G. Dell’Aquila, G. Distaso, L. Geri, R. Girardi, P. Guaragnella, M.D. Limongelli, F.S. Minervini, L. Mitarotondo, M. Mongelli, J.-L. Nardone, R. Palmieri, G. Perucchi, A. Quondam, I. Ravasini, R. Ruggiero, S. Rutigliano, P. Salwa, B. Sasse, G. Scianatico, M. Sciancalepore, P. Sisto, F. Tateo, E. Tinelli, S. Valerio, P. Vecchi Galli, P. Vescovo, P. Viti.
L’unità degli studi e delle prospettive, l’ammirazione per l’antico e il gusto per la modernità, fatta di recupero e al tempo stesso di rinnovamento, di rigore filologico e di varietà linguistica e disciplinare: questo il lascito maggiore dell’umanista aretino, ciò su cui si cerca qui di gettare qualche luce, con contributi dedicati alla fortuna italiana ed europea – non univoca e costante, ma comunque straordinaria – di Petrarca attraverso i secoli, a partire già dai suoi tempi e dall’età, l’Umanesimo, che più di altre riconobbe in lui un autentico maestro di studi, per giungere all’epoca del trionfo della letteratura volgare e, infine, ai giorni nostri.
Rimasto sostanzialmente sconosciuto assieme alla sua poesia per oltre un secolo, Hölderlin si è trovato al centro di una grande attenzione nella stagione che ha assistito alla fine del vecchio ordine europeo, in particolare a partire dal 1914, anno in cui sono stati pubblicati i suoi testi inediti. Un’attenzione che continua ancora oggi e che coinvolge nell’indagine della sua opera un numero sempre maggiore di discipline. Non a caso è autore studiato e citato da papa Francesco.
Il volume offre un’interpretazione di alcune delle poesie di Hölderlin che mettono in luce un progressivo movimento di rottura con le idee fino ad allora dominanti nel panorama della cultura occidentale. Il congedo da quelle idee si può riassumere nella separazione del divino dal mondo e dal linguaggio umano, con il lascito di un silenzio minaccioso. È qui che la narrazione cristiana assume un nuovo significato rispetto alla ricerca di un linguaggio adeguato per nominare il divino. Proprio nel congedo da tutte le idee dominanti e nella ricerca di un nuova modalità espressiva risiede l’attualità dell’opera di Hölderlin.
Sommario Introduzione. I. Le poesie a Hölderlin. 1. «Empio e dissacrato», Hermann Hesse. 2. «... il dio che precorre fuori di quella morte ti spingeva», Rainer Maria Rilke. II. Le poesie di Hölderlin. 3. Quand’ero fanciullo. 4. Il congedo. 5. Ritorno a casa. Ai parenti – mancano i sacri nomi. Epilogo e panoramica. Note.
Note sull'autore Jakob H. Deibl insegna al Dipartimento di «Ricerca sulle basi fondamentali della teologia» della Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Vienna.
Il saggio evoca, da Dante, al Manzoni, ai poeti contemporanei, la presenza, nella creazione poetica e nella memoria collettiva, di Maria “manto di misericordia”. Non è un mito antico e oggi desueto: i due secoli a noi più vicini, il XIX e il XX, dalla proclamazione dogmatica dell’Immacolata Concezione (1854) a quella dell’Assunzione (1950), hanno anzi accentuato, soprattutto lungo le sofferenze collettive delle due guerre mondiali, la meditazione mariana. Questo breve saggio vuol essere un excursus e un omaggio alla poesia nata intorno alla Donna, madre di Dio; si completa di un ricco apparato di rinvii storici, che fa del volume un piccolo scrigno della tradizione mariana.
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, «morto sul campo d’onore» oltre un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un «profeta disperato» del malessere spirituale moderno.
Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo.
È il 1980 quando Il nome della rosa esce in libreria e si impone all’attenzione di tutto il mondo. Si tratta di un romanzo avvincente, ricco di questioni sottili, per intendere le quali occorre uno strumento agevole ed efficace. Sotto la lente del critico non cadono solo gli aspetti letterari, ma anche i contenuti filosofici e politici che riconducono il lettore al clima arroventato degli anni Settanta. Chi si nasconde sotto la maschera di fra Dolcino? E il riso di cui tanto si discute è un valido antidoto contro qualunque fanatismo, o è una strategia che consente di ripristinare la narrativa popolare di ieri? Rispondere a simili domande significa entrare nella fucina di un grande intellettuale come Eco e chiedergli conto di cosa sia stato il postmoderno: una delle etichette più discusse lungo il tardo Novecento, ma che solo nella vicenda di Adso e Guglielmo sembra trovare un’applicazione esemplare.
Il volume presenta alcuni preziosi scritti di J.R.R. Tolkien tradotti per la prima volta in italiano che rivelano ancora una volta l’eccezionale ampiezza e complessità del mondo mitologico creato dall’autore del Signore degli Anelli: La conversazione fra Manwë ed Eru (1959); La Reincarnazione degli Elfi (1959-1966); Alcune note sulla “rinascita” fra gli Elfi (1972).
La raccolta è dedicata al tema della reincarnazione degli Elfi, il popolo immortale della Terra di Mezzo, e più precisamente a come rendere credibile il meccanismo dell’eterno ritorno post mortem degli Elfi.
Tolkien in questo si è trovato davanti a ciò che lui stesso definì un vero e proprio dilemma: la reincarnazione degli Elfi «sembra un elemento essenziale per i racconti, ma come la si realizza? 1) Rinascita? 2) O ricostruzione di un corpo imitato equivalente (quando quello originale è stato distrutto)? O entrambe?».
La risposta emerge da riflessioni condotte da Tolkien per decenni e che riguardano gli aspetti materiali, psicologici e filosofici della vicenda. In chiusura, un saggio a firma di Michaël Devaux, che ha curato la prima edizione francese di questi scritti, pubblicati nel 2014 dalla rivista “La Feuille de la Compagnie”.
Un'opera agile e completa nello stesso tempo. A ogni inizio di secolo, o periodo letterario di autonomo rilievo, vengono offerti ampi quadri introduttivi che forniscono un affresco compiuto dei fatti culturali di spicco, in modo che gli argomenti prettamente letterari trovino un'adeguata cornice storico-concettuale. Particolarmente approfondita è la sezione relativa al Novecento, in genere piuttosto trascurata in gran parte dei manuali correnti: varcata la soglia del terzo millennio appare abbastanza assestato il quadro del secolo passato e molti degli scrittori e poeti di un periodo assai ricco trovano uno spazio adeguato alla loro importanza, mentre lo sguardo viene esteso anche agli ultimi decenni, secondo una prospettiva inedita. Nel complesso, questa non è un'opera compilativa ma, se così si può dire, d'autore, perché non è rifatta su altre letterature, ha una sua organica linea interpretativa e anche un suo peculiare stile espressivo, senza concessioni ideologiche e con molta attenzione posta alle metodologie critiche più innovative.
"Ogni grande movimento di questa terra" scrive Hitler nelle prime pagine del "Mein Kampf" "deve la propria crescita ai grandi oratori e non ai grandi scrittori." Eppure, osserva: "Per l'esposizione armonica e coerente di una dottrina occorre che i suoi principi fondamentali siano fissati per sempre". Nel 1924 Hitler ha bisogno di trovare ascolto presso i suoi sostenitori. Dal carcere di Landsberg, in cui è rinchiuso per alto tradimento dopo il putsch fallito, ridefinisce gli obiettivi del movimento, ne progetta l'evoluzione. Mette nero su bianco la sua visione del mondo. Questo saggio, basato su fonti archivistiche finora inaccessibili, dissipa la confusione sul delirante manifesto di Hitler ripercorrendo la sua evoluzione dalla prima stesura alle controversie attuali, facendo luce sulla sua genesi ammantata di leggende e individuandone le fonti. Le informazioni autobiografiche, per esempio, non sono affidabili: il padre non era un oppositore della monarchia austroungarica, ma un funzionario doganale ripetutamente promosso per i suoi servigi e la sua lealtà. E poi, da dove derivò l'antisemitismo di Hitler? Quali crimini del regime nazionalsocialista si ispirarono direttamente al "Mein Kampf"? Leggendo il libro era forse possibile prevedere quale metodo di sterminio sarebbe stato utilizzato ad Auschwitz? E come reagì il pubblico? Come si sviluppò il dibattito dopo il 1945? Fu davvero un "bestseller mai letto"?
Di nessun altro uomo vissuto prima di Petrarca abbiamo una così vasta messe di informazioni biografiche, diceva Ernest H. Wilkins. Ma precisava che tali informazioni si fondano per lo più su lettere e altri scritti petrarcheschi. Bisognerà allora chiedersi: che cosa sappiamo di lui con certezza? La verità è che ogni scrittore mira a diventare, per usare le parole di Ortega y Gasset, «romanziere di se stesso, originale o plagiario». E, come dimostra l'affascinante indagine di Francisco Rico, Petrarca non sfugge alla regola: anzi, la incarna in sommo grado. Il che significa non solo che l'autoritratto che egli va componendo nel tempo è ispirato a exempla illustri, ma che nulla di quanto ci dice è letterale e innocente. Dietro ogni data, dietro la semplice menzione di un giorno della settimana (il venerdì, ad esempio, giorno marcato per eccellenza), si cela una fitta rete di rispondenze, una raffinata simbologia – e un audace disegno: trasformare i momenti vissuti o immaginati in frammenti di un racconto unitario capace di sottrarli alla corrosione del tempo. Ma Petrarca si spinge ancora più in là nella costruzione di un'esistenza ideale: grazie a Rico, lo vediamo infatti applicare la dispositio persino alla vita non scritta, modellarla come un testo, mettendo in atto ciò che non scrive – o, se vogliamo, facendo letteratura con le proprie azioni.
"Poesia religiosa nel Novecento" avvia una prima indagine su un argomento ancora poco esplorato, dove gran parte dello scavo filologico e critico rimane ancora da fare. Sempre sul filo dell'analisi testuale, otto poeti italiani fra i più significativi del Novecento vengono qui letti alla luce dei loro percorsi esistenziali e del rapporto fra la loro opera e la fede (o l'assenza di fede). I saggi, quasi capitoli di una monografia a più voci, vertono su Giovanni Pascoli, Clemente Rebora, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Margherita Guidacci, Mario Pomilio, Antonia Pozzi, David Maria Turoldo.