
Figlio di un idraulico scozzese, Rod Stewart nasce a Londra nel 1945. Dopo aver tentato diversi lavori, dal becchino al giocatore di calcio professionista, è la musica che cattura definitivamente il suo cuore. Rod esordisce all'inizio degli anni Sessanta, suonando nei club della scena R&B di Londra, fino a quando la sua voce roca e particolare giunge all'orecchio del mitico cantante Long John Baldry, che lo avvicina una notte mentre sta suonando alla stazione. A questo incontro fanno seguito periodi di collaborazione con gruppi pionieristici come gli Hoochie Coochie Man, gli Steampacket e i Jeff Beck Group, fino ai cinque anni turbolenti con i Faces, i cui eccessi a base di alcol, stanze d'albergo distrutte e groupies sono ormai entrati nella leggenda. In questa vita intensa e sregolata, Rod ha trovato il tempo di scrivere moltissime canzoni, tra cui capolavori come Maggie May, nel 1971, che lo impone come star, di iniziare una carriera da solista di grande successo, di vendere circa duecento milioni di dischi, di essere ammesso per ben due volte alla Hall of Fame e di tenere il più grande concerto di tutti i tempi. Non male, come dice lui, per uno con una rana in gola. E poi c'è la vita privata: matrimoni, divorzi e relazioni con alcune delle donne più belle del mondo - Bond girls, star del cinema e top model - e la terribile esperienza di un cancro alle corde vocali che ha rischiato di fargli perdere tutto.
Figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, Clelia (1557-1613) sposa nel 1571 Giovan Giorgio Cesarini, gonfaloniere del Popolo romano. Sullo sfondo di una Roma festaiola quanto violenta, cinica e spregiudicata, la bellissima Clelia si muove tra un marito che la tradisce e un padre deciso a servirsi di lei per le sue aspirazioni alla tiara. Riuscirà a piegare questa figlia caparbia e indomita solo facendola sequestrare e rinchiudere nella Rocca di Ronciglione. Costretta a sposare in seconde nozze il marchese di Sassuolo, nel 1587 Clelia verrà "esiliata" nel feudo padano, da dove farà ritorno a Roma solo dopo l'assassinio del marito (1599). La storia di una donna ribelle e affascinante, un eloquente ritratto della corte papale e dell'aristocrazia romana negli anni della Controriforma.
"Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita," dice Philip Roth nell'unica, vera intervista televisiva che abbia mai accettato di realizzare, un regalo per i suoi ottant'anni a una platea sconfinata di fan rimasti agghiacciati dalla rivelazione che il Portnoy di Newark non avrebbe più scritto una riga. "Philip Roth. Una storia americana" sono sessanta minuti di cruda realtà per l'uomo che da oltre mezzo secolo racconta all'America e al mondo la tragicommedia della vita, trentuno libri e una gran quantità di pseudonimi per un'epopea di crudeltà, feroce ironia, paranoia, sesso, amore, sullo sfondo del Supremo Epilogo che attende tutti noi. L'ultima risata di un uomo che ha messo la parola Fine alla sua carriera di scrittore. O no?
Dal 1968 al 1981 Edoardo Boncinelli ha dedicato tutte le sue energie ad allevare drosofile, quei "moscerini della frutta" che sono l'incubo di ogni cucina ma che hanno fra gli scienziati molti estimatori. La biologia era allora in un momento di lenta e inesorabile trasformazione. La ricerca mirava a comprendere i meccanismi che regolano l'espressione dei geni, che sarebbero stati scoperti uno dopo l'altro in un'esaltante epopea scientifica. Boncinelli questa avventura l'ha vissuta da protagonista e sul filo dei ricordi la ripercorre nei suoi snodi cruciali, a cominciare dalla scoperta dei geni architetto dell'uomo, frutto di un'intuizione fortuita avuta chiacchierando con un collega. È il primo passo di un viaggio che lo porterà a indagare le dinamiche dello sviluppo del cervello e ad addentrarsi nel complesso e affascinante universo delle neuroscienze. È la vita di uno scienziato animato fin da bambino da una inesauribile sete di conoscenza, quella che si dispiega nelle pagine di questo libro, intessuta di faticose e inebrianti giornate in laboratorio ma anche di affetti e amicizie saldissime. Una vita assaporata sullo sfondo delle città più amate - Firenze, Napoli, Trieste - ma anche di un mondo girato freneticamente per condividere le proprie conquiste con la comunità scientifica. La ricerca attiva ha con gli anni lasciato il posto al pensiero e alla riflessione, ma questo "ribelle esorbitantemente disciplinato" non ha rinunciato a dare il suo contributo.
Esordisce nel 1962 con un documentario contro la pena di morte. In seguito gira due film sullo stesso tema, rivedendo le proprie posizioni. Incrocia Alfred Hitchcock, improvvisa un musicarello con Sonny e Cher, conquista la fiducia di Harold Pinter. William Friedkin è il regista di successi epocali da Oscar come Il braccio violento della legge e L esorcista, ed è responsabile di alcuni dei fallimenti più costosi della storia di Hollywood. Dirige opere liriche, film a basso costo, telefilm. La sua carriera è unica, nel cinema americano e non solo. E unica è anche la sua autobiografia. "Mi chiedo che cosa mi attragga così ossessivamente verso temi inquietanti," dice di sé. Ma a differenza di tanti suoi colleghi, non coltiva il mito di una vocazione autoriale. Non che non sia cinefilo: dopo tutto è un ragazzo di Chicago folgorato da Quarto potere e dalla nouvelle vague. Ma in questa autobiografia mostra, con grande onestà intellettuale, che il cinema è un'impresa faticosa e spesso dominata dal caso. Errori grossolani si possono rivelare provvidenziali; mentre l'impulso di un attimo può compromettere mesi di lavoro. Più che celebrare i propri trionfi, Friedkin è interessato a svelare i retroscena, le occasioni perdute, le scelte sbagliate e le coincidenze fortuite, la follia propria e altrui. Riconosce la propria hybris, con la serenità di chi ha alle spalle una carriera avventurosa e imprevedibile, e ha saputo ogni volta ripartire da capo.
«Tardi ho conosciuto Arturo Carlo Jemolo; l’ho incontrato al tramonto della sua lunga esistenza terrena.
Non che la sua persona mi fosse sconosciuta prima di quegli anni Settanta del Novecento, nel corso dei quali ebbi la ventura di una frequentazione con lui sempre più assidua. Soprattutto mi era nota la sua attività di storico e di commentatore di costume. Già da ragazzo, infatti, il suo nome mi era familiare: circolava negli ambienti che frequentavo. In particolare ne sentivo parlare da mio nonno e da mio padre, in un contesto di considerazione per l’uomo e lo studioso, ma sostanzialmente critico per il pensiero». (G. Dalla Torre)
Giuseppe Dalla Torre (Roma, 1943) ha insegnato Diritto ecclesiastico e Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Attualmente insegna Diritto canonico nella Libera Università «Maria Ss. Assunta» - LUMSA di Roma, di cui è Rettore. Nelle nostre edizioni ha pubblicato tra l’altro Il primato della coscienza. Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea e Le frontiere della vita. Etica, bioetica e diritto, ed ha curato il volume collettaneo Lessico della laicità.
Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l'incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un'odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l'ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età.Questa è la sua storia.
Scritto nel 1943 subito dopo la destituzione di Mussolini ma pubblicato solo nel 1999, "II 25 luglio" è il racconto in cui Luce d'Eramo, appena diciottenne, si è misurata per la prima volta con la Storia e con le sue urgenze etiche e pratiche: l'euforia e lo sgomento che divisero gli italiani, San Lorenzo e il Verano sotto le bombe alleate. Pur immersa attivamente nel presente di fatti gravi, nell'incredulità e negli improvvisi dubbi di una giovane universitaria di fede fascista, la narrazione sceglie lucidamente il passato remoto "per obiettivare la storia appena vissuta proiettandola indietro nel tempo". Avvenimenti e riflessioni di questo racconto "nudamente autobiografico" già schiudono tutto il coraggio che pochi mesi più tardi avrebbe portato Luce d'Eramo ad affrontare in solitudine la durezza dei campi di lavoro tedeschi e del lager di Dachau e la caduta della dittatura nazista, per incamminarsi verso la sua personale ricerca della verità.
Suor M. Consolata Betrone (1903-1946), Monaca Clarissa Cappuccina nel Monastero Sacro Cuore a Moncalieri (To), seguì i passi di S. Teresa di Lisieux nella via dell'infanzia spirituale. Il Cuore di Gesù le manifestò la Piccolissima via d'amore, via spirituale fondata sulla confidenza incessante nella misericordia Divina per tutti i peccatori con l'invocazione "Gesù, Maria vi amo, salvate anime".
"Nella storia della pittura il nome di Manet ha un significato a parte. Manet non è soltanto un grandissimo pittore: in rotta con coloro che l'hanno preceduto, aprì il periodo in cui stiamo vivendo, armonizzandosi con il mondo attuale, il nostro, e in dissonanza con il mondo in cui visse, che scandalizzò. La pittura di Manet operò un subitaneo cambiamento, un sovvertimento corrosivo a cui converrebbe il nome di rivoluzione, se non desse luogo a un equivoco: il cambiamento visibile dello spirito di cui questa pittura è il segno differisce almeno per l'essenziale da quelli che la storia politica registra. Tale cambiamento ha peraltro un aspetto duplice. Da un lato, una tela di Manet rompeva di per se stessa con quell'idea della pittura che era allora radicata negli spiriti. Non meno sorprendente è l'altro aspetto del cambiamento a cui la pittura di Manet risponde. Mai prima di lui era stato così radicale il divorzio tra il gusto del pubblico e la mutevole bellezza che l'arte rinnova attraverso il tempo. Manet apre la serie nera; è a partire da lui che la collera e il dileggio del pubblico hanno così apertamente designato il rinnovarsi della bellezza. L'unità relativa del gusto dell'età classica era in quel momento compromessa: il romanticismo l'aveva spezzata, suscitando reazioni irose. Delacroix, Courbet, e lo stesso Ingres, così profondamente classico, avevano suscitato ilarità. Ma l'Olympia è il primo capolavoro di cui la folla abbia riso di un immenso riso."
"Nel millenovecentosessantuno Jurij Gagarin volò nello spazio, e io andai a scuola." Inizia così il primo dei diciassette capitoli con i quali l'istrionico regista Emir Kusturica apre il proprio album di famiglia e racconta la sua storia. Senza risparmiare nessuno, né se stesso né gli altri. Ci sono voluti quindici anni per mettere insieme autobiografia, cronaca e storie degne dei suoi migliori film, e raccontare una vicenda autentica, emozionante, sorprendente e provocatoria, nella quale si riflette la storia della seconda metà del ventesimo secolo. L'infanzia, la Sarajevo degli anni sessanta, Tito e Charlie Chaplin, l'amore per la futura moglie Maja e la scuola di cinema a Praga, Fellini, Ivo Andric' e Dostoevskij, i primi lungometraggi - "Ti ricordi di Dolly Bell?", "Papà... è in viaggio d'affari" e "Il tempo dei gitani" -, l'America, Johnny Depp e "Arizona Dream", "Underground" e la guerra, la fine della Jugoslavia e quella di suo padre, la morte di Dio, quella dei rapporti con i vecchi amici e con Sarajevo, Milosevic' e la malattia della madre. Autobiografia di un artista geniale, "Dove sono in questa storia" è sì il "diario politico di un idiota", secondo le parole dello stesso autore, ma soprattutto il racconto sincero della sua storia personale, l'adattamento letterario del film della sua vita.

