
Per elaborare una "teologia" che non abbia più al proprio centro soltanto l'uomo, ma, assieme a lui, l'animale, e ogni essere vivente, ci voleva un teologo come Paolo De Benedetti. Il cui pensiero si articola non intorno ad assiomi, evidenze, certezze. Ma intorno al "forse". Al dubbio. Alla logica dei "doppi pensieri". Solo chi, come lui, ha un senso così forte della precarietà dei giudizi umani e della imperscrutabilità di quelli divini, può arrivare a elaborare una teologia che metta continuamente in discussione se stessa: fino a spostare il centro della propria attenzione dalla creatura umana, che lo ha da sempre altezzosamente occupato, alle creature "minori", che sempre sono state ai margini. (Gabriella Caramore)
DESCRIZIONE: La storia dell’Occidente, per la sua matrice ebraico-cristiana, può esser vista come una variazione dei significati assunti da due categorie, apocalisse ed escatologia. Partendo dalla loro rigorosa definizione – escatologia come attesa della fine del mondo e apocalisse come rivelazione del Regno – l’autore si sofferma su due autori emblematici delle origini del cristianesimo, Paolo, e della fine della cristianità, Sergio Quinzio. Se nelle Lettere di Paolo possiamo sorprendere i vari significati assunti nel cristianesimo antico dal termine escatologia – attesa di un ritorno imminente del Signore, spiritualizzazione di quest’attesa, fino all’«escatologia aoristica» della Lettera ai Colossesi, dove si parla di una salvezza compiuta –, in Quinzio abbiamo il consumarsi, nella sua paradossalità, della tensione apocalittica: il ritardo del ritorno del Signore diviene in lui appello alla promessa di redenzione, non rassegnandosi alla sua smentita storica. Attraverso Paolo e Quinzio, si può leggere in filigrana la storia di un’eredità religiosa che, nata per giudicare il mondo, ne è divenuta parte tra fedeltà, inevitabili tradimenti, e nostalgia delle origini. Un’eredità che ha nella carità (nell’agápe) un modello quanto mai prezioso per vivere con e per gli altri in un mondo dove le catastrofi non annunciano una rivelazione prossima, ma il persistere di una sofferenza ingiustificata.
COMMENTO: A partire da Paolo, l'autore mostra i vari significati di escatologia e apocalittica nella tradizione biblica occidentale. Un libro per tutti.
SALVATORE NATOLI è ordinario di filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. Tra le sue opere, pubblicate da Feltrinelli: Ermeneutica e genealogia; L’esperienza del dolore; La felicità; Dizionario dei vizi e delle virtù; Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente; Parole della filosofia o dell’arte di meditare. Presso la Morcelliana: Dio e il divino. Confronto con il cristianesimo (2 ed.); Libertà e destino nella tragedia greca; Guida alla formazione del carattere (3 ed.); Sul male assoluto. Nichilismo e idoli nel Novecento; Edipo e Giobbe. Contraddizione e paradosso (2 ed.).
DESCRIZIONE: Un celebre passo di San Tommaso, nella Summa contra Gentiles, afferma che Dio non può violare il principio di non contraddizione. Una convinzione non solo della teologia cristiana ma di gran parte della filosofia occidentale, da Parmenide ad Emanuele Severino, in cui il principio di non contraddizione scalza Dio come fondamento primo e afferma l’eternità di ogni ente. Una convinzione messa in discussione dai lavori di Carlo Arata, a partire da Ego sum qui sum. La Gloria di Dio, e ripensata analiticamente nei saggi di questo nuovo libro. Saggi ove l’autore non solo discute, con rigore teoretico, l’ontologia neoparmenidea di Severino, mostrandone tanto l’acume logico quanto le aporie, ma anche il pensiero di Gustavo Bontadini. Per Arata, se preso sul serio, Dio è «l’esaustività di ogni significato», non tollera alcun condizionamento e si sottrae di diritto alla normatività del principio di non contraddizione. Una prospettiva che mette in discussione ogni forma di teologia razionale, e, ponendo un aut aut tra Dio e la filosofia, invita la stessa filosofia a riflettere sui suoi princìpi primi.
COMMENTO: Un libro che mostra come l'autentico pensiero di Dio - nella sua Signoria - debba andare al di là delle leggi della logica che governano il pensiero ocidentale. Confrontandosi con Emanuele Severino, è insieme un testo di filosofia e di alta spiritualità.
CARLO ARATA è professore emerito di filosofia teoretica dell’Università di Genova. Ha insegnato Istituzioni di filosofia all’Università Cattolica di Milano e, successivamente, Filosofia Teoretica presso le Università di Macerata e di Trieste. Fra le sue pubblicazioni: Lineamenti di un ontologismo personalistico (Marzorati, Milano 1955), Persona ed evidenza nella prospettiva classica (Marzorati, Milano 1963), Evidenza ed essere (Marzorati, Milano 1964), Discorso sull’essere e ragione rivelante (Marzorati, Milano 1967), L’aporetica dell’intero e il problema della metafisica (Marzorati, Milano 1971). Presso la Morcelliana: Ego sum qui sum. La Gloria di Dio, Brescia 2004.
DESCRIZIONE: Il noto esegeta e studioso protestante di teologia biblica Gerhard von Rad in questo suo breve ma denso saggio riprende uno degli episodi più sconvolgenti dell’Antico Testamento, quello del sacrificio di Isacco chiesto da Dio ad Abramo. Accanto all’esposizione esegeticamente approfondita che ne offre con chiarezza e sobrietà, l’Autore, mostrando grande apertura culturale, presenta con concisione quattro interpretazioni del racconto, dalle quali la profondità abissale di questo momento “numinoso” della Sacra Scrittura appare nel riflesso di personalità tanto diverse e lontane nel tempo, quali Lutero, Kierkegaard e il filosofo polacco contemporaneo Leszek Kolakowski, da un lato, e Rembrandt dall’altro, del quale sono riprodotte quattro opere illustranti il sacrificio di Abramo. Dalle potenti intuizioni del Riformatore, pur legato ad una spiegazione “storica” del passo della Genesi, agli sviluppi inquietanti, filosofici e teologici, letterariamente intensi, di Timore e tremore del pensatore danese, alla cruda parodia, in chiave politica attualizzata, del filosofo polacco, alle variazioni grafiche e pittoriche, grevi di umanità e vibranti di fede biblica, del genio olandese, una ricchezza insondabile di significazioni e di stimoli si schiude da queste antichissime pagine scritturistiche.
COMMENTO: Un classico dell'intrepretazione biblica della vicenda di Abramo e Isacco, scritto dal maggiore esegeta del '900.
GERHARD VON RAD (1901-1971) ha insegnato all’Università di Heidelberg ed è stato tra i maggiori esegeti dell’Antico Testamento. Fra le sue opere, pubblicate da Paideia: Teologia dell’Antico Testamento, 2 voll. (Brescia 1972-1974); Genesi. La storia delle origini (Brescia 1993); Deuteronomio (Brescia 2004). Per Marietti: La sapienza in Israele (Genova 1975).
La definizione del rapporto con la filosofia è stata costante nella teologia di Barth. Se nella Lettera ai Romani - al di là della contrapposizione frontale alla saggezza del mondo - emerge una precomprensione kierkegaardiana, e quindi filosofica, della fede, in questo scritto del 1960 Barth determina con rigore e originalità la relazione tra le due discipline. Mentre la filosofia, partendo dall'aldiquà, cerca di elevarsi al fondamento per ritornare con sguardo nuovo al mondo creaturale, la teologia ha come dato preliminare la Parola di Dio, da cui discende per giustificare l'esistenza delle creature. Una differenza di metodo irriducibile, che tuttavia può metter capo a una feconda conflittualità che aiuti l'una e l'altra a "risvegliarsi", a non idolatrare i propri risultati - proprio perché tanto la filosofia quanto la teologia hanno a cuore la verità: l'umanità e Dio, l'umanità di Dio.
Come può definirsi oggi una "filosofia cristiana" e quale può essere la sua originalità rispetto alla tradizione? Come andare oltre l'obiezione di Heidegger che la definisce una contraddizione in termini, un "ferreo ligneo"? Motivo di queste pagine sono questioni antiche, le cui origini si trovano nella patristica e nella scolastica medievale nutrite dei concetti del pensiero greco, e la cui acme si osserva nel consumato dibattito moderno sul rapporto tra ragione e fede. Correlato è il tema della libertà: essa si oppone alla fede in quanto dono della grazia, oppure è condizione della stessa verità della religione cristiana? Svolgendo questo interrogativo il saggio offre i lineamenti per una metafisica che coniuga pensiero contemporaneo e classicità. la prospettiva indicata è quella di un realismo fenomenologico: superare il soggettivismo e il relativismo affermando nell'atto del conoscere, capace appunto di cogliere l'essenza delle cose, l'esistenza di verità oggettive e necessarie.
Chiedere scusa è un'esperienza talmente quotidiana da aver perso il nesso profondo con il perdono, che invece mantiene l'aura di un concetto religioso, attinente alla sfera del sacro e al senso del peccato. Da una fenomenologia di tale esperienza, emerge in queste pagine la stretta correlazione tra la colpa e il male, la giustizia e il perdono, come si declinano nel pensiero ebraico: alla riconciliazione, che prende il nome di shalom, fanno da contrappunto i temi della teshuvà, espiazione e perdono, e del tiqqun, la restaurazione dell'ordine infranto del mondo. Un'analisi cui corrisponde, nella Bibbia, il lessico della misericordia che, per Paolo De Benedetti, si declina in tre momenti emblematici: la meditazione-confessione della presenza di Dio nella storia; l'uscita, individuale e collettiva, dal peccato; la promessa messianica.
DESCRIZIONE: La prospettiva della fede è il primo dei Due discorsi edificanti dell’anno 1843, qui tradotto dalla nuova edizione critica danese degli scritti di Kierkegaard. La “prospettiva” è appunto quella di un credente che vuole aiutare un altro uomo ad avere fede anzitutto liberandolo dai dubbi di origine razionale. Non è direttamente Cristo l’oggetto di queste pagine, né il cristianesimo, ma anzitutto un contenuto teoretico: l’uguaglianza, evangelica, di tutti gli uomini di fronte al Padre – un’assoluta trascendenza irriducibile all’immanenza del soggetto. Questo significa che se la fede non può essere chiusa dentro il cerchio dell’umano dubitare, viceversa non può dirsi un fatto separato da quel dubitare, ma piuttosto un cammino, che si svolge attraverso il mondo e con Dio.
COMMENTO: La prospettiva della fede è il primo dei Due discorsi edificanti di S. Kierkegaard, datati 1843. Questa è la prima edizione italiana, condotta sull'edizione critica danese. Un testo che merita attenzione per il ricorrere dell'Anno della Fede, voluto da Joseph Ratzinger.
Di SOREN KIERKEGAARD (1813-1855) è in corso di stampa presso Morcelliana la quarta edizione riveduta e ampliata dei Diari.
UMBERTO REGINA, già ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Verona, per Morcelliana ha pubblicato: La vita di Gesù e la filosofia moderna (1979); L’uomo complementare (1988); Servire l’essere con Heidegger (1995); Kierkegaard (2005); e curato: con E. Rocca, Kierkegaard contemporaneo (2007); di S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore (2009) e Briciole filosofiche (2012).