
Francesco Traniello, Riforma dello Stato e riforma della Chiesa; - Francesco Coccopalmerio, Diritto e diritti nel pensiero filosofico e giuridico di Rosmini; - Michele Nicoletti, Diritto e morale nella Filosofia del diritto di Antonio Rosmini; - Andrea Nicolussi, Rosmini e il diritto di famiglia. Appunti di un giurista del ventunesimo secolo; - Markus Krienke, Famiglia e sussidiarietà. Un confronto tra la Filosofia del diritto di Rosmini e le Grundlinien der Philosophie des Rechts di Hegel; - Nicola Ricci, La "prossimità" come fondamento delle relazioni umane nella fi losofi a morale di Antonio Rosmini; - Salvatore Muscolino, La difesa rosminiana del costituzionalismo; - Francesco Conigliaro, La "società teocratica" e le sue ragioni nel pensiero di Antonio Rosmini; - Carlo Fantappiè, Lo statuto giuridico dei fedeli nella società teocratica; - Alberto Peratoner, Il "saldissimo fondamento" dalle proprietà inclusive. La Società teocratica in Antonio Rosmini, termine e condizione di un'ontologia del diritto.
Henri de Lubac pubblica Le drame de l’humanisme athée nel 1944, nel contesto di una Francia occupata dalle truppe tedesche. L’opera non è un testo accademico. Si tratta, piuttosto, di un lavoro militante che si inquadra nella fattiva e coraggiosa partecipazione alla resistenza, da parte dell’autore, alla dominazione nazista.
Se si esclude Dostoevskij, e in parte Kierkegaard, che svolgono il ruolo di figure positive, i tre autori presi in considerazione nel volume, Feuerbach (e dietro di lui: Marx), Nietzsche, Comte, rappresentano i tre avversari del momento. Se la critica al marxismo risulta sfumata, per motivi facilmente comprensibili data la rilevanza della componente comunista nell’opposizione ai nazisti, quella a Nietzsche è manifestamente volta contro il neopaganesimo germanico, padrone della Francia.
Il libro assumeva, da questo punto di vista, un chiaro significato politico; era un’opera di “resistenza”, ideale innanzitutto, al compromesso delle menti e dei cuori, che il neopaganesimo, ateo e liberticida, chiedeva ai cristiani.
La nuova edizione di un testo classico di Henri de Lubac, nel quale l'autore analizza lo sviluppo dell'ateismo, attraverso la filosofia di grandi pensatori quali Feuerbach, Nietzsche, Comte e Dostojeskij.
HENRI DE LUBAC (1896-1991), gesuita e professore di Teologia fondamentale presso le Facultés Catholiques di Lione, è stato uno dei maggiori teologi del ’900. Per Morcelliana ricordiamo: Il pensiero religioso del padre Teilhard de Chardin (1965); La preghiera di Padre Teilhard de Chardin (1965); Teilhard de Chardin missionario del nostro tempo (1967); La Sacra Scrittura nella tradizione (1969); Pluralismo delle Chiese o unità della Chiesa? (1973). Un profilo dell’autore si trova in I. Morali, Henri de Lubac (Morcelliana, 2002).
"La storia è radicalmente segnata dall'evento Gesù Cristo. Da questo assunto, giustificato con numerose ricerche sul cristianesimo primitivo, si è sviluppato tutto il percorso esegetico-teologico dell'alsaziano Oscar Cullmann, uno dei più apprezzati studiosi del Nuovo Testamento anche in ambito cattolico, al punto di essere chiamato come osservatore al Concilio Vaticano II. A fronte delle tendenze di matrice bultmanniana e barthiana che rischiavano di dimenticare la dimensione storica della salvezza, egli con tenacia e acribia filologica ha sempre difeso l'agire storico di Dio, che fissa un punto di svolta e orienta al futuro escatologico temporalmente inteso. La fedeltà agli scritti del Nuovo Testamento determina anche il suo impegno ecumenico e la sua visione dell'unità delle diverse tradizioni cristiane, nessuna delle quali deve essere annullata, essendo suscitate dallo Spirito". (Giacomo Canobbio)
Come può definirsi oggi una "filosofia cristiana" e quale può essere la sua originalità rispetto alla tradizione? Come andare oltre l'obiezione di Heidegger che la definisce una contraddizione in termini, un "ferreo ligneo"? Motivo di queste pagine sono questioni antiche, le cui origini si trovano nella patristica e nella scolastica medievale nutrite dei concetti del pensiero greco, e la cui acme si osserva nel consumato dibattito moderno sul rapporto tra ragione e fede. Correlato è il tema della libertà: essa si oppone alla fede in quanto dono della grazia, oppure è condizione della stessa verità della religione cristiana? Svolgendo questo interrogativo il saggio offre i lineamenti per una metafisica che coniuga pensiero contemporaneo e classicità. la prospettiva indicata è quella di un realismo fenomenologico: superare il soggettivismo e il relativismo affermando nell'atto del conoscere, capace appunto di cogliere l'essenza delle cose, l'esistenza di verità oggettive e necessarie.
La riflessione dell'intera vita di padre Sertillanges è riassunta in questa sua ultima opera, rimasta incompiuta, che affronta la ponderosa tematica del male. È su questo che il domenicano riflette, da storico del pensiero e da meditativo, perché non diventi una paralizzante malattia dello spirito - rischio del periodo in cui scriveva, successivo alla seconda guerra mondiale, ma anche di ogni tempo di crisi, compreso il nostro. Il primo volume espone criticamente la storia del problema del male: dalla preistoria all'antico oriente, da Grecia e Roma classiche al pensiero cristiano, da Cartesio e Kant al pessimismo francese, fino all'esistenzialismo. Nel secondo l'autore presenta la visione cristiana della teodicea: l'origine del male, il problema capitale dei rapporti fra Dio e la sua creazione e il peccato originale come spiegazione del male. Si sforza di rispondere alle obiezioni sollevate dall'insuccesso iniziale di Dio, dallo scacco della riparazione, dalla protesta dell'abisso e dal prezzo della libertà. Ma è il richiamo alla meditazione nell'ultimo capitolo, "Il mistero", a offrire più di ogni altro il timbro con il quale il pensiero di Sertillanges incrocia la questione, le lotte con cui si è tentato di fronteggiarla e il grido degli uomini.
IL TESTO DI Marie-Dominique Chenu qui presentato, dato alle stampe per la prima volta da Morcelliana nel 1963, nel pieno fermento del Concilio Vaticano II, esprime la presa di distanza del teologo dl modello di Chiesa costantiniana, intesa come complesso mentale, istituzionale e spirituale di lungo periodo. Il tentativo di ritrovare il primato della Parola soprattutto nello stile di vita radicale di Gesù fa di queste pagine un classico in grado di parlare alla Chiesa di oggi. La prospettiva dello storico, Mauro Pesce, mostra l'attualità e la pregnanza della riflessione di Chenu: uno sguardo sulle origini del cristianesimo, al di là delle opposte interpretazioni del Concilio come svolta o sostanziale continuità nella Chiesa.
Chiedere scusa è un'esperienza talmente quotidiana da aver perso il nesso profondo con il perdono, che invece mantiene l'aura di un concetto religioso, attinente alla sfera del sacro e al senso del peccato. Da una fenomenologia di tale esperienza, emerge in queste pagine la stretta correlazione tra la colpa e il male, la giustizia e il perdono, come si declinano nel pensiero ebraico: alla riconciliazione, che prende il nome di shalom, fanno da contrappunto i temi della teshuvà, espiazione e perdono, e del tiqqun, la restaurazione dell'ordine infranto del mondo. Un'analisi cui corrisponde, nella Bibbia, il lessico della misericordia che, per Paolo De Benedetti, si declina in tre momenti emblematici: la meditazione-confessione della presenza di Dio nella storia; l'uscita, individuale e collettiva, dal peccato; la promessa messianica.
"Mi metto, idealmente, di fronte a un interlocutore incredulo che, giustamente, a buon diritto, mi domanda le ragioni del mio credere in Cristo. A questo interlocutore dovrò rivolgermi con 'dolcezza e rispetto' così come mi suggerisce Pietro, il primo papa. Devo infatti pensare che chi mi sta di fronte è forse più vicino a Dio di quanto lo sia io che cerco di convertirlo. Potrebbe essere più vicino in ragione di una sua maggiore carità che esercita nei confronti di quei poveri, affamati, infermi, carcerati, nei quali, secondo il vangelo (Mt 25), il Cristo e cioè Dio di fatto è presente. Potrebbe anche trattarsi di un inquieto ricercatore di assoluto, titubante sulla soglia della fede cristiana e disponibile a varcarla, ma soltanto in modo motivato e responsabile. Mi chiedo se potrò essere di aiuto a questi miei 'compagni di viaggio' per raggiungere insieme la meta che attende tutti noi, la verità che dà significato al nostro esistere nel mondo e nel tempo." (dalla Premessa)
Il tema del rapporto fra platonismo e cristianesimo è stato introdotto e sviluppato a partire dalla prima età moderna, declinandosi perlopiù come antiplatonismo. Questo volume, attraverso un'analisi storica, dopo aver delineato i tratti fondamentali di tale recezione critica degli studi patristici si sofferma sul controverso concetto di "platonismo cristiano", cercando di mostrare, con approccio filologico ai testi, l'influsso profondo della tradizione platonica nell'elaborazione di alcuni motivi centrali della riflessione cristiana. Questioni come la comprensione dell'uomo e di Dio, la concezione del Fondamento divino della realtà e la Trinità, sono assunte in queste pagine come punti decisivi di osservazione del confronto avvenuto fra la teologia cristiana dei primi secoli e la filosofia greca, in una dialettica di sfida e trasformazione.
I filosofi cosiddetti dialogici, pur nelle differenze con cui si presentano, hanno in comune il concetto di parola e la relazione con un Tu. La preghiera, come interpellanza, è una particolare parola che consente uno straordinario dialogo personale con Dio: in quanto relazione tra l'io umano e il Tu divino, la preghiera può pertanto considerarsi una cifra peculiare della filosofia dialogica. Seguendone le tracce attraverso pensatori eterogenei - da Rosenzweig e Levinas a Weil e Zambrano, da Picard, Buber, Ebner a Guardini il volume cerca di ricomporre i molteplici significati che la preghiera come evento dialogico assume. Una lente sotto la quale è possibile cogliere l'essenza dialogica dell'uomo, e con ciò la sua stessa apertura sull'infinito.