
È un dato di fatto. Nel mondo attuale l'esperienza della fede tende a non essere più al centro della vita delle persone. Viene piuttosto considerata una delle molte potenziali fonti di significato, e oltretutto non delle più attraenti. Ma la partita è persa? O si possono trovare terreni e modi che, accogliendo la sensibilità contemporanea, aiutino a riappropriarsi di quel desiderio di senso che il modo di vivere prevalente è portato a spegnere? E la sfida che Michael Paul Gallagher raccoglie in questo libro, mettendosi alla ricerca appassionata di un nuovo programma di nutrimento e riflessione spirituale che parli la lingua dell'uomo contemporaneo e ne tocchi il cuore. L'idea, brillante e originale, è quella di fornire delle vere e proprie 'mappe della fede', dei tracciati disegnati e lasciatici in eredità da dieci grandi pensatori cristiani, scelti per l'attenzione speciale che hanno rivolto alle esigenze del loro tempo e per la peculiare creatività delle loro proposte. Dieci autori che, ciascuno con le sue sottolineature specifiche, hanno assunto fino in fondo la sfida della modernità e ora della postmodernità. E hanno risposto muovendosi nell'orizzonte dell'umano, indagando la possibilità del credere prima ancora che i suoi contenuti, dando alla loro ricerca quello spirito di dialogo e "simpatia immensa" verso il mondo che Paolo VI, chiudendo il Concilio, aveva rivendicato nei confronti di un umanesimo profano e rinunciatario.
'Amore' è una parola magica, che sollecita pensieri positivi di realizzazione e, nella nostra società secolarizzata, sembra evocare l'ultimo luogo d'incanto in un mondo disincantato, l'ultimo rifugio del mito. Ma se andiamo a vedere cosa c'è dietro questa parola da tutti considerata il lasciapassare verso la felicità, scopriamo un intreccio fitto e nebuloso di stereotipi, di aspettative idealizzate, di desideri egocentrici. In una parola, di 'miraggi'. È per chiarire questi meccanismi e per restituire al nostro desiderio d'amore la sua prospettiva legittima che Xavier Lacroix ci conduce con mano sicura e piglio divertente attraverso gli stereotipi del neoromanticismo. È vero che 'basta amare'? Ma l'amore cos'è? Desiderio, tenerezza, passione, volontà? Conta solo l'effervescenza dell'innamoramento o l'alleanza coniugale? Ripercorrendo le strade dei miti classici e di quelli contemporanei, da Tristano e Don Giovanni ai film e alle canzoni, appoggiandosi alle voci e alle idee più illuminate del nostro tempo, Lacroix arriva a disegnare il volto vero dell'amore. Il desiderio di amore che la nostra anima contemporanea confusamente sente come vitale rimanda all'esperienza fondante in cui la relazione con l'altro diventa il luogo della rivelazione a se stessi. Mirando gratuitamente e generosamente al cuore dell'amato, alla sua interiorità, alla sua sostanza carnale e spirituale, finisco per incontrare il me più vero. Il miraggio si trasforma e si rivela. Diventa miracolo.
Non bisognerebbe mai smettere di leggere Péguy.. Oggi ci fa bene cominciare, almeno. La passione per l'inesauribile approfondimento della verità, la dedicazione religiosa alla qualità della parola e della scrittura, il rigore etico come tratto estetico che onora la dignità dell'uomo, l'incondizionato affetto per l'umano comune e la tenace avversione per tutto quanto lo avvilisce, una fede libera da vincoli ideologici per un Dio innamorato dell'uomo e della sua terra..di tutto questo la sua opera è testimonianza appassionata. Di tutto questo il nostro tempo patisce un'indigenza resa ancor più dolorosa dalla mancanza di parole che ci aiutano, almeno, a decifrarle, a dare nome alla nostalgia di ciò che abbiamo perduto, a coltivare la speranza di ritrovarlo.
Quasi tutti i 27 libri che compongono il Nuovo Testamento recano nella prima pagina l’espressione «perdono dei peccati». Non è quindi possibile avvicinarci alla rivelazione cristiana senza imbatterci in qualche modo nel perdono e nella sua origine, che è il Padre di misericordia, sempre aperto a un nuovo inizio nella relazione con gli uomini, anche quelli più distanti. Essere perdonati è dunque una delle caratteristiche più nitide dell’esistenza cristiana. Ma perdonare appare impresa difficile per le nostre forze, legati come siamo al risentimento per i torti ricevuti, ai desideri di rivendicazione, alle maglie strette del dolore subito e della memoria offesa.
Come perdonare, allora? Come riconciliarci? Benoît Standaert, monaco sapiente, radicato nella parola biblica e nella tradizione cristiana, ci indica qui la giusta disposizione di una pratica del perdono. Guidandoci nelle parole evangeliche, portandoci nel deserto dei padri eremiti, aprendoci alla tradizione ebraica, islamica e buddista, egli ci mostra il percorso umano più autentico, che dal perdono porta alla gioia della riconciliazione, alla libertà della pace ritrovata, alla freschezza di un nuovo inizio nelle relazioni con gli altri.
Benoît Standaert, biblista di fama internazionale, è monaco benedettino a Bruges (Belgio). Tra i suoi libri, Vita e Pensiero ha pubblicato: Come si fa a pregare? Alla scuola dei salmi, con parole e oltre ogni parola (2002), Il timore di Dio è il suo tesoro (2006), Spiritualità, arte di vivere: un alfabeto (2007).
Questo volume raccoglie gli Atti del Convegno “In Principio…”. Origine e inizio dell’Universo, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione del novantesimo anniversario della sua fondazione.
Il tema si colloca nella complessa e quanto mai attuale discussione sull’origine dell’Universo e pone la questione dell’orizzonte di senso del cosmo e, in esso, dell’uomo. Affermare che l’uomo è il senso dell’Universo non è una frase a effetto. Il progresso delle scienze, proprio mentre rintraccia sempre più approfonditamente le leggi che regolano il cosmo e ne avverte con sempre maggiore consapevolezza l’intrinseca logicità e correlazione, si scopre più che mai impotente a coglierne il significato. È solo nella sua relazione con l’uomo (e quindi con Dio) che l’Universo può passare, dalla fredda e impenetrabile perfezione della visione scientifica, alla significatività della visione di fede.
Contributi di:
Stefano Alberto, Ugo Amaldi, Gianantonio Borgonovo, Evandro Botto, Franco Giulio Brambilla, Mariano Crociata, Fiorenzo Facchini, Flavio Felice, Raffaella Iafrate, Sergio Lanza, Angelo Maffeis, Pierluigi Malavasi, Alessandro Meluzzi, Lorenzo Ornaghi, Romano Penna, Piergiorgio Picozza, Roberto Radice, Giovanni Salmeri, Ambrogio Spreafico, Roberto Vignolo.
Conoscere il proprio destino, aprire uno spiraglio su quanto avviene dopo la morte è una curiosità comune a tutti gli uomini, una domanda che, pur in una cultura appiattita sul presente, assume spesso carattere di urgenza, diventa bisogno. Ricerche di senso ultimo che a volte sconfinano nell'affidarsi alla magia, agli oroscopi, a certi racconti di risvegli dal coma esprimono l'inestirpabile desiderio umano di vedere oltre l'incertezza del proprio futuro. Da questo desiderio, al quale tutte le religioni offrono una risposta, parte Giacomo Canobbio per ripercorrere quanto propone la teologia cristiana. Senza sottrarsi alle provocazioni della cultura attuale, egli si confronta con i risultati della ricerca scientifica così come con la riflessione filosofica, analizzando modelli di visione della morte e obiezioni anche autorevoli a una vita ultraterrena. Ne derivano spunti di riflessione sui 'novissimi', su destino e libertà, sull'anima umana, sulla necessità di un cammino di purificazione. E l'esito cui si viene condotti è che quel desiderio di ogni uomo di non perdere con la morte la ricchezza della vita è traccia del destino stabilito da Dio per noi: un destino di pienezza, di 'beatitudine'. La fede cristiana, ci dice Canobbio, risponde alle questioni che attengono al fine ultimo dell'esistenza umana procedendo dall'identità stessa di Dio, che è sommo bene e non può che destinarci al bene.
Finalmente come Dio! Come Dio? Finalmente?
Essere come Dio è tentazione antica come la consapevolezza di essere uomo: sentimento variamente articolato che l'uomo non possa aspirare a nulla di meno e che a nessun altro spetti giudicare ciò che è bene o male. È dunque paradossale l'entusiasmo irresponsabile per la 'morte di Dio': Nietzsche aveva ben detto che non c'era di che entusiasmarsi a buon mercato. In ogni caso, se Dio è morto, essere come Dio diviene problematico; anche essere al suo posto, perché lì la morte ormai incombe. Il nostro non sembra esser più il tempo dell'ebbrezza su nessuno dei due fronti, piuttosto il tempo del disinganno, magari risentito, dell'uomo che ha provato ad essere come Dio e che stenta ad essere dignitosamente uomo. Tempo di fragilità dolorosa dell'uomo che, tuttavia non rinuncia all'arroganza con cui, dopo aver detto "penso quindi sono", dice "sono quindi voglio e posso" mosso da aspirazioni di sempre più piccolo cabotaggio. Ci chiediamo se, per qualificare la propria identità, l'uomo non possa far altro che muovere i suoi passi ripetendosi ossessivamente: penso quindi sono, mi sento quindi… Sono… Finalmente… Come Dio. Forse dovrebbe riconoscersi nello sguardo di un compagno di strada, ritrovarsi nella confidenza della sua voce. Forse un Dio amante dell'uomo, che per essere con l'uomo non si sottrae nemmeno alla morte, sarebbe un buon compagno di strada per un diverso incedere alla scoperta della sua dignità.
Che ci troviamo di fronte a una svolta epocale nella civiltà umana, tutti lo avvertiamo, più o meno lucidamente: come mai in passato, oggi l’individuo cerca di costruirsi da sé, insofferente a ogni limite, sia esso la tradizione o la natura. Una sorta di mutazione antropologica sta cambiando le strutture profonde dell’umano, esito sempre più appariscente della postmodernità. Giuliano Zanchi ne illumina il meccanismo coerente, implacabile e potente nei suoi diversi risvolti, da quello scientifico a quello economico, politico ed estetico. Di fronte a questo sogno estremo di emancipazione, la coscienza cristiana si sente profondamente turbata. Essa oscilla tra un rifiuto arroccato sulle vestigia di un passato glorioso e una resa spesso inconsapevole allo spirito del tempo. La grande bussola del Concilio Vaticano II, che negli anni Sessanta aveva restituito slancio e idealità a un cattolicesimo alle prese con le sfide moderne, sembra aver perso le sue capacità magnetiche. Eppure il credente sa di non poter restare umano separandosi dalla storia. Semplicemente perché il Dio di Gesù Cristo ad essa si è legato per sempre. I discepoli pertanto accompagneranno queste «prove tecniche di manutenzione umana» con una cordialità non acritica, mettendo in gioco la propria antica sapienza a proposito dell’umano: «La presenza cristiana», ci ricorda Zanchi, «è chiamata, proprio mentre la civiltà sembra impegnata in un lungo esodo verso mete ancora incerte, a riaffermare la sua irrinunciabile affezione per una forma comunitaria della vita evangelica impiantata nel cuore dell’esistenza comune, umilmente a fianco della costruzione umana collettiva, decisa a scegliere sempre per propria dimora il luogo dove gli umani hanno le loro case, la loro vita, le loro speranze».
Giuliano Zanchi, licenziato in Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, è Segretario generale della Fondazione «Adriano Bernareggi» di Bergamo. Si occupa di temi al confine fra l’estetica e la teologia. Ha pubblicato Lo spirito e le cose (Vita e Pensiero, 2003); La forma della chiesa (2005); Nella luce dell’essere: conversazioni sul caso Van Gogh (2005), Il destino della bellezza (2008), Salomone e le formiche. La legge di tutti i giorni (Vita e Pensiero, 2010), Il Genio e i Lumi. Estetica teologica e umanesimo europeo in François-René de Chateaubriand (Vita e Pensiero, 2011).
Se c’è una cifra in cui il nostro tempo si riassume emblematicamente, è il drammatico venir meno dell’orizzonte della speranza: la vita appare schiacciata sul presente e sulle sue necessità, il futuro ha cessato di rappresentare una promessa capace di mobilitare desideri, energia, prospettive di azione. In un tempo di crisi radicale come quello che stiamo vivendo, il cristiano non può sottrarsi a un compito, quello di tenere viva la speranza, essenziale alla qualità umana stessa dell’esistenza. Ma la speranza non è facile da vivere, per nessuno, neppure per un cristiano. Essa infatti chiede lo sguardo lungo, cioè il coraggio della pazienza, che sa sopportare e non si lascia piegare da nessuna difficoltà. L’uomo paziente è l’uomo che si muove entro ampi orizzonti e sa attendere a lungo, come il contadino, dopo la semina. La speranza è affidata a un terreno la cui vitalità è nascosta. L’attesa è lunga, ma anche certa. Il cristiano fonda infatti la sua speranza nella memoria del Dio di Gesù Cristo: il seme del suo Regno è deposto nella terra della storia umana e certo porterà frutto. Questa visione di fondo ispira il libro di Bruno Maggioni, le sue riflessioni sugli aspetti fondamentali del cristianesimo, pensate per aiutare la lettura evangelica di questo tempo difficile, in cui i cristiani sono chiamati a vivere e testimoniare una speranza che non delude.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato Teologia e Scienze bibliche all'Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. E' docente di Introduzione alla Teologia presso l'Università Cattolica di Milano.
Autore di numerosi libri, con Vita e Pensiero ha pubblicato: Le parabole evangeliche (1992), Padre nostro (1995), La pazienza del contadino (1996), La brocca dimenticata (1999), Davanti a Dio (2 voll., 2001-2002), Il seme e la terra (2003), Un tesoro in vasi di coccio (2005), Come la pioggia e la neve (2006), Come l'erba che germoglia (2009).
Tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo, in Italia, quasi tutte le diocesi, numerose parrocchie, ordini religiosi e confraternite hanno istituito i propri musei. Le diocesi ne hanno istituiti e ne gestiscono più di 200, gli altri enti ecclesiastici circa 600. Lo scopo di questo notevole impegno della Chiesa è duplice: conservare il patrimonio culturale e renderlo visibile al grande pubblico. Così, nell'arco di qualche decennio, in modo assai discreto, in tutte le regioni sono 'spuntati' piccoli e piccolissimi musei, testimoni della storia religiosa e artistica che in Italia è stata così ricca e varia. La rete degli 800 musei ecclesiastici italiani, tuttavia, è ancora scarsamente visibile ed è oggi poco conosciuta e studiata. Questo libro si propone di documentare la recente fioritura di musei ecclesiastici italiani analizzandone le principali caratteristiche: la storia, la consistenza, la localizzazione, le condizioni di fruibilità e le forme di gestione. Particolare attenzione viene dedicata alla figura del museo diocesano che, nel vasto e articolato sistema dei musei ecclesiastici, è chiamato a ricoprire un ruolo centrale. Anche la gestione delle recenti istituzioni museali della Chiesa viene analizzata tenendo conto degli elementi di forza, senza ignorare quelli di debolezza. In appendice sono presentate le 'linee guida' dei musei ecclesiastici, contenute in un documento pubblicato dalla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa il 15 agosto del 2001.
Dio ha ancora un posto in un mondo disincantato come il nostro, in una cultura in cui la fede, quando ancora suscita qualche interesse, è considerata un segno di immaturità emotiva e intellettuale? E se quel posto esiste, come trovarlo? Come vedere le tracce del volto di Dio nell'esperienza umana? In questo suo ultimo saggio, Roger Scruton, filosofo inglese che ama parlare all'uomo contemporaneo, vuole rispondere all'indifferenza religiosa che ormai permea l'Occidente, guidandoci nella scoperta di quello che perdiamo appiattendoci su un mondo di oggetti, chiuso da un orizzonte ristretto e privo di senso, quando non calpestato e sfigurato. Attraverso una lettura colta e del pensiero filosofico e scientifico così come dell'espressione artistica dell'Occidente, prendendo esempi dalla pittura, dalla musica, dall'architettura e dai più popolari capolavori letterari, Scruton ci fa trovare le tracce del divino nel nostro mondo. Non il Dio remoto e inarrivabile dei filosofi, non l'insieme di cause senza finalità dell'universo scientifico, ma la "presenza reale" nella nostra vita quotidiana di una realtà irriducibile al mondo degli oggetti, qualcosa che riconosciamo con sicurezza come nostra esperienza fondamentale. È la percezione del nostro essere 'io' di fronte a un 'tu', l'incontro tra soggetti che si riconoscono come qualcosa di più che esseri viventi inseriti nel ciclo naturale descritto dalla scienza.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno Esperienza religiosa tenutosi presso la sede milanese dell'Università Cattolica il 17 e 18 novembre 2011 e organizzato nell'ambito del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa" promosso dal Dipartimento di Filosofia e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana. Per assicurare l'autonomia della ricerca razionale e per proteggere l'ambito religioso e della fede cristiana dai riduzionismi razionalistici è bene tenere ferma la distinzione tra filosofia e religione (e teologia). Ma vi è una seconda attenzione, legittima e completiva della prima, che merita di essere accuratamente indagata: l'unità della vita e l'atto dell'uomo credente o, più in generale, dell'uomo che cerca la verità e il senso della vita. Infatti la distinzione (anche dei saperi) trova il punto di unità nell'uomo e nella sua tensione al raggiungimento del suo fine ultimo. Queste alcune delle convinzioni dei promotori del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con le quali sono in gioco l'identità e la vita del singolo e della collettività. Tuttavia esse non hanno impedito - e anzi hanno alimentato - il confronto stretto con altre tradizioni di pensiero, nella consapevolezza che la dialettica, quanto più è intelligente e appassionata, tanto più conduce avanti nella conoscenza della verità.