
Dice l'Eterno Spirito: "Io ero quando nulla era ed Io sarò quando rimarrà unicamente il Cielo. Io sono l'ispiratore della creazione dell'uomo al quale fu donato il mondo per sua delizia, il mondo in cui, dagli oceani alle stelle, dalle vette alpine agli steli, è il mio sigillo. Io sarò che porro sulle labbra dell'ultimo uomo la suprema invocazione: "Vieni, Signore Gesù".
La definizione del genere letterario agiografico ha sempre costituito un problema storiograficamente controverso, in ragione del carattere peculiare di queste fonti - che un'autorevole tradizione pone alla stessa altezza della proclamazione della Parola - e della complessità della loro redazione, che trasforma un accadimento storico - la sequenza del martirio - in un evento teologico - la perfetta imitazione di Cristo condotta sino a una piena comunione con Lui -, evento che trova quale luogo di celebrazione la liturgia. Il Martyrium Polycarpi può ben essere assunto quale archetipo di questa funzione ecclesiale: nel documento princeps dell'agiografia cristiana, I'eredità della riflessione tardogiudaica sulla morte violenta del giusto che nell'apocalittica trova la sua più alta espressione - viene elaborata in un contesto squisitamente cristologico, attraverso un processo in cui la figura del martire si dissolve nel simbolo della croce. La stessa 'coordinata agiografica' del testo, che situa la morte del vescovo smirneo in un giorno di 'grande sabato', deve allora essere letta non già come una mera indicazione cronologica, ma piuttosto come una cifra ermeneutica che perfeziona il rapporto di partecipazione tanto del martire a Cristo quanto del martirio alla Pasqua. La pregnanza del sabato nella Bibbia, non meno che nell'elaborazione teologica, paleocristiana, comporta un arricchimento di questa dinamica: nella direzione di un'escatologia che individua nello stesso 'giorno del Signore'...
Questo volume si propone di presentare la figura del Nazianzeno «vista dall’interno»: le situazioni e gli eventi attraverso ai quali egli passò sono inquadrati nella storia documentaria, ma sono anche esaminati con particolare attenzione, come furono da lui percepiti: la biografia è ricca solo quando è radicata nell’autobiografia. Le confidenze di Gregorio vengono pertanto approfondite nelle loro radici e le sfumature vagliate quali testimonianze della sua arte ed umanità. È questo il messaggio che costituisce il suo valore ed il suo significato di «classico»: illuminò con felice penetrazione i suoi drammi personali, ritrasse i suoi smarrimenti ed i suoi aneliti, osservò gli uomini che lo circondavano: tutto colse con l’acutezza che solo la superiorità dell’ingegno e l’eccellenza dell’arte forniscono. La sua attualità è così diventata anche la nostra, in nome della perennità della natura umana, e la sua esperienza si riflette a chiarificazione di chi viene in contatto con lui.
Francesco Trisoglio, già titolare della cattedra di Storia Bizantina e di quella di Storia della civiltà e della tradizione classica presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, ha pubblicato, in Italia ed all’estero, un centinaio di saggi e volumi sui classici greci (i tragici) e latini (Cicerone epistolografo, Virgilio, Orazio, Ovidio, Plinio il Giovane), su Filone d’Alessandria, sui Padri della Chiesa greci (Melitone di Sardi, Eusebio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo, Palladio di Elenopoli) e latini (Cipriano, Ambrogio, Gaudenzio da Brescia, Girolamo) e sugli scrittori bizantini (gli storici e Procopio di Cesarea), soffermandosi particolarmente su Plinio, Gregorio, Procopio e sul Christus Patiens. Il suo interesse precipuo verte sull’arte, sulla personalità e sul messaggio che i singoli scrittori hanno trasmesso.
Il papa Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint ha posto a tema della riflessione ecumenica la questione del ministero papale nella Chiesa. Si tratta, scrive il papa, di "curare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio d'amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (Ut unum sint, n. 95). Per questo il papa propone che si indaghi circa "una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova" (ibi). Il papa invita, cioè, a progettare un'immagine storica del primato, che consenta la formazione di un consenso universale. Per le chiese che accettano l'invito, significa entrare in una fase di ripensamento della propria tradizione teologico-canonica, in vista di un cambiamento della propria prassi, che sia rispettoso delle loro convinzioni di fede, ma tenda anche ad annullare o, perlomeno, a diminuire la distanza che oggi le separa. È un impegno che naturalmente vale per tutti i cristiani, ma forse spetta in primo luogo ai cattolici. Questo libro intende, perciò, offrire un contributo di risposta alla domanda: quali sono, nell'ambito della tradizione cattolica e in dialogo con le altre tradizioni cristiane, gli sviluppi auspicabili nella forma di esercizio del primato, perché esso possa meglio corrispondere alla sua funzione in seno ad una cristianità che tende all'unità?
Rahner afferma che il discorso metafisico di Tommaso d'Aquino riguarda anche la capacità conoscitiva dell'uomo, e perciò deve comprendere la conoscenza della natura dell'uomo, della sua anima, della sua facoltà intellettiva, ossia l'antropologia e la psicologia aristotelica. Il carattere trascendentale riconosciuto in questo discorso non vuole indicare in alcun modo un limite kantiano, ma solo sottolineare che la considerazione del pensato richiede la considerazione del pensante. La legge dell'essere è infatti la stessa legge del logos e del logos l'uomo può avere un'esperienza originale e per ciò fondante: nei modi della coscienza si possono in definitiva riconoscere le condizioni per l'apparire dell'essere. D'altra parte la reciprocità di essere e logos implica anche che l'essere sia logicamente anteriore alla conoscenza, non come conseguenza, ma come principio del conoscere. In altri termini si può anche dire che la conoscenza è originariamente riconoscenza.
Gli Scritti sulla grazia, mai pubblicati mentre Pascal era in vita, furono composti probabilmente tra il 1655 e il 1656. Sia che l'occasione fosse dovuta alla richiesta di spiegazioni e consigli di un amico, sia che si trattasse di organizzare il materiale teologico per l'imminente scontro con i gesuiti, essi rimangono uno dei testi esemplari di quella vocazione, al tempo stesso didattica e speculativa, che ne fa un modello di limpidezza e profondità. La grazia, intesa in senso strettamente agostiniano, diventa in queste pagine il cuore di una battaglia che, sulla soglia della modernità, ha come posta il senso stesso del messaggio cristiano.
In tempi che vedono anche la lingua della predicazione e della catechesi cristiana afflitta in misura non lieve dalla frammentazione tipica della cultura postmoderna, il tentativo di offrire un’intelligente introduzione alla fede va salutato con soddisfazione. È questo il caso del saggio di Pierluigi Lia, che si propone di disegnare una visione complessiva e coerente del mistero cristiano. La sintesi unificante viene conseguita, in modo agile e originale, attorno alla nozione di ‘forma’, sviluppando un orientamento teologico, quello sensibile alle istanze ‘estetiche’, che si va dimostrando sempre più pertinente ed efficace. Qui non si allude certo a un inconcludente estetismo, ma ci si riferisce al disporsi bello della realtà cristiana verso lo sguardo semplice che si fa guidare dal manifestarsi della verità. Al cuore dell’identità cristiana, quale forza che ne plasma la forma, sta la rivelazione di Dio, il suo splendore, apparso una volta per sempre nella pasqua di Gesù. Nel Figlio, nella sua sorprendente vicenda terrena, Dio realizza l’intenzione di far conoscere la propria verità. In rapporto a questa figura acquistano collocazione sensata e ordinata le linee essenziali che costituiscono l’identità cristiana e che qui vengono conseguentemente rilette: la deformazione dell’immagine originaria dell’uomo a causa del peccato, la rinascita dall’alto del credente che si va così conformando all’immagine del Figlio, la figura della Chiesa come segno vivo del destino a cui tutti gli uomini sono chiamati. L’itinerario che l’autore fa in tal modo percorrere si rivela nitido e persuasivo, capace di accompagnare la riflessione di chi si avventura a riscoprire l’insieme inviolabile del mistero cristiano.
Pierluigi Lia, teologo, è stato a lungo docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel suo lavoro dedica particolare attenzione alle relazioni tra l’intelligenza propria della fede cristiana, la filosofia e l’estetica. Oltre a numerosi articoli e contributi in opere collettive ha pubblicato: Libertà incatenata e trascendenza. Note per una fenomenologia della coscienza credente, Milano 1995; Forza di Dio è solo quella che dona la vita. Percorsi di riflessione teologica a proposito della speranza cristiana, Milano 1996; L’incanto della speranza. Saggio sul canto dei Misteri di Ch. Péguy, Milano 1998; La pietà Rondanini. Una lettura del Mistero pasquale, Milano 1999; Et incarnatus est. Sguardi sul mistero cristiano, seduzione dell’intelligenza e passione del cuore, Milano 2000.
Quale fu il rapporto tra Giovanni Battista Montini e l’Università Cattolica? Quando ebbe inizio? E come si svolse, prima negli anni dell’avvio dell’Università e degli incarichi romani di Montini, poi in quelli dell’episcopato milanese e infine in quelli da pontefice? Risposte a tali interrogativi possono venire da questo volume, che contiene i testi dei discorsi e dei messaggi pronunciati o scritti da Montini, poi papa Paolo VI. L’antologia procede in ordine cronologico, a partire dagli anni giovanili, durante i quali Montini aderì al gruppo di studenti bresciani de «La Fionda». Seguono gli interventi del periodo milanese (1955-1963) e quelli del pontificato (1963-1978). Di seguito sono raccolti gli scritti montiniani che contengono l’espressione della sua idea di università e, in appendice, i messaggi per la Giornata dell’Università Cattolica. Apre la raccolta un duplice profilo di Montini, tracciato dai curatori a partire tanto dall’indagine del rapporto specifico con l’Università Cattolica, quanto dalle riflessioni di ordine generale in materia universitaria. Carlo Ghidelli è nato a Offanengo (CR) nel 1934. Sacerdote, laureato in teologia, è membro Consigliere del Segretariato per l’unità dei Cristiani e per anni è stato Assistente Ecclesiastico Generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha tradotto e commentato gli Atti degli Apostoli e ha collaborato alla traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente; da anni lavora alla revisione della Bibbia CEI. Presso Vita e Pensiero ha pubblicato La Parola e le Scritture. Introduzione al Nuovo Testamento (1981). Dal gennaio 2001 è divenuto vescovo di Lanciano-Ortona.
Gian Enrico Manzoni è nato a Manerbio (BS) nel 1952. Insegnante di Letteratura latina e greca nel Liceo Arici di Brescia, è divenuto nel 1993 docente di Letteratura latina nella Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica. È membro dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia e del consiglio di amministrazione dell’EULO. Ha pubblicato presso Vita e Pensiero alcuni studi su autori latini come Elvio Cinna, Cornelio Gallo, Quintiliano e Plinio il Vecchio. Per l’Istituto Paolo VI di Brescia ha pubblicato l’edizione critica dei Discorsi e scritti milanesi di Giovanni Battista Montini.
Un teologo di fama mondiale descrive l'identità del pensiero cattolico. In un'epoca caratterizzata da un cristianesimo generalizzato e dalla tendenza verso un vago 'cristianismo', questo libro vorrebbe trasmettere, al contrario, una visione complessiva e concreta della vita cattolica a partire dalla sua forma e struttura. Alle tendenze verso un pluralismo dell'indifferenza si contrappone così l'immagine di un'unità organica e chiaramente costituita in grado di riunire dinamismo e ordine, tensione e armonia, mistero e adesione alla realtà. Il profilo qui proposto ha il merito di far percepire quella 'bellezza' del mondo della fede cattolica che pare oggi dimenticata, ma che può essere, in realtà, ancora attraente per l'uomo contemporaneo. Il libro contiene un'intervista a Benedetto XVI.
Esercizio per infermi è un breve manuale in 38 capitoli del teatino Lorenzo Scupoli (1529-1610), più noto per il Combattimento spirituale (Venezia 1589), che ha conosciuto una notevole fortuna editoriale ed è stato più volte ristampato anche in anni recenti. Rifacendosi alle medioevali artes moriendi, questo libretto si offre come guida in grado di offrire suggerimenti concreti (in particolare al sacerdote) su come comportarsi con le persone che stanno per morire. Dal punto di vista filologico, la presente edizione si basa su un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli finora mai preso in considerazione. Questo testo infatti, vulgato col titolo Modo di consolare ed aiutare gli infermi a ben morire, non è mai stato stampato singolarmente nel corso dei secoli, ma sempre come opera minore dello Scupoli.
Paola Barni (1971) si è laureata in Lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Lavora a Milano come insegnante e collabora con varie case editrici. Tra le sue pubblicazioni, anche due raccolte poetiche.
Proposto per la prima volta in traduzione italiana, questo testo di Michel de Certeau venne pubblicato in Francia nell'autunno 1969. E' dunque uno dei suoi primi libri, che alla lettura odierna non risulta datato, ma si carica di una valenza speciale, divenendo una sorta di introduzione ai temi che il grande autore francese andò poi sviluppando nel corso degli anni, in particolar modo l'esperienza cristiana e la dinamica dei percorsi individuali nello stesso spessore del corpo sociale.
Nell'Aprile del 1802, alla vigilia di un Concordato che avrebbe ristabilito i rapporti fra la Santa Sede e la Francia di Napoleone, Chateaubriand dava alle stampe il “Genio del Cristianesimo”, un'apologia della fede cattolica il cui argomento di fondo era l'evidenza estetica della verità del cristianesimo: la bellezza delle forme culturali che il cristianesimo ha assunto nella storia non è che il riflesso della verità dei suoi fondamenti. L'apologia sarebbe diventata in pochissimo tempo il libro più letto d'Europa, offrendo un contributo essenziale alla rianimazione del religioso nella Francia postrivoluzionaria. Associato alla liquidazione novecentesca del fenomeno romantico, l'apologia estetica di Chateaubriand sarebbe stata poi a lungo riposta nello scaffale delle opere prive di una dignità storica. Nemmeno la cultura religiosa e teologica sarebbe stata capace per molto tempo di vedervi qualcosa di più che un ingenuo e impreciso catechismo estetico. Ma agli occhi della teologia di oggi, istruita dalle istanze del pensiero contemporaneo, il tema estetico celebrato nel “Genio del Cristianesimo” torna a suscitare interesse. Rimesso sui binari di transiti storici non convenzionali, può essere riletto come un'opera densa di importanti sollecitazioni teoriche che la teologia dell'epoca non aveva saputo riconoscere, ma che dal punto di vista delle svolte teologiche contemporanee, appaiono chiare e pertinenti.