
L’autore ha svolto in questa opera un ampio e ricco lavoro un dovizioso commento alla "Lumen Gentium" attraverso l’insegnamento di Giovanni Paolo II, che – nelle catechesi del mercoledì: dal 1991 al 1997 – “rilesse” la Costituzione conciliare, alla luce dell’esperienza e degli sviluppi intanto avvenuti. Questa ricerca ha preso vita durante i corsi di ecclesiologia tenuti ai seminaristi. Segno d’un insegnamento vivo, fecondo, approfondito e chiaro.
Chi fu Egidio Foscarari? Per molti oggi il suo nome è quello di un personaggio minore del Cinquecento religioso. In realtà, le questioni che fu chiamato ad affrontare lo videro impegnato, spesso con ruoli di primo piano, su alcuni dei fronti più caldi del momento. Domenicano e teologo, partecipò ai lavori del Sant'Ufficio per la stesura del primo Indice romano e, negli ultimi anni di vita, fu incaricato di compilare il Catechismo tridentino e di riformare il Breviario e il Messale. Principale collaboratore di Giovanni Morone alla chiusura del concilio di Trento, venne riconosciuto da tutti come uno dei più autorevoli membri dell'assemblea. Quando fu destinato come vescovo alla diocesi di Modena, cercò di riassorbire con mitezza il dissenso religioso spendendosi per una riforma della Chiesa incentrata sul rigore morale e la povertà. Ciò nonostante, l'Inquisizione lo processò e continuò a ritenerlo un pericoloso fiancheggiatore di eretici, di cui bisognava in ogni modo cancellare il ricordo.
Nei decenni centrali del Cinquecento era in corso in tutta Europa una battaglia per il controllo delle coscienze che, con la nascita di varie confessioni, avrebbe ridisegnato il volto della cristianità occidentale. Anche in un territorio come Modena, operosa città dedita ai traffici e alla mercanzia, i colpi di coda di quegli eventi fecero sentire il loro peso. La comunità ereticale, sviluppatasi nel cuore della futura capitale estense, vide commercianti, lanaioli, frati e maestri di scuola farsi promotori di nuove dottrine talvolta pericolosamente vicine al radicalismo di gruppi guardati con crescente sospetto. Il "contagio" non risparmiò nemmeno i più alti ranghi del clero cittadino che, come accadde per vari esponenti del Capitolo della cattedrale, osteggiò l'operato riformatore dei vescovi. Attraverso documenti inediti, quasi un filo rosso sopravvissuto ai secoli, vengono ricostruite le vite di uomini e donne chiamati a rispondere di una fede ripensata, criticata o a volte persino rigettata del tutto.
Uno studio sui collaboratori e collaboratrici di San Paolo, quarantadue persone in tutto, che va oltre l'interesse biblico-storico. Insieme al servizio del Vangelo puo essere uno dei tratti fondamentali della nuova evangelizzazione.
Una lettura al femminile della Dei Verbum 8 circa la Tradizione nella Chiesa. Il Concilio Vaticano II evidenzia la presenza di un approccio al femminile attraverso due donne del Nuovo Testamento. Da un lato Maria di Nazaret la cui caratteristica di conservare nel cuore le parole del Figlio indica la dinamica della Tradizione della Chiesa, dall'altro lato la donna della parabola matteana che mette il lievito in tre staia di farina, aspettando che tutta fermenti. Come mai, però, la "memoria" di questa donna è scomparsa? Proprio a partire dalla metafora della donna e del lievito si può passare a un significativo recupero del femminile nella Chiesa e a un affrancamento della donna da persistenti pregiudizi verso la riscoperta e il riconoscimento del ruolo della donna nella Chiesa.
La Chiesa cattolica attinge abbondantemente alle risorse pubbliche dello Stato italiano: ogni anno milioni di euro vengono dirottati dal governo centrale e dagli enti locali, che si sono fatti di recente ancor più solerti. Questo tuttavia non impedisce al Vaticano pesanti incursioni nella vita pubblica del nostro paese: è pressoché impossibile che un provvedimento legislativo venga approvato senza il suo benestare; e quando accade, le resistenze della Chiesa cercano di impedirne l'applicazione. È una situazione abnorme, che trova il suo fondamento nel Concordato siglato l'11 febbraio 1929 da Pio IX con Benito Mussolini, che lo stesso pontefice aveva definito "l'uomo della Provvidenza". Quel patto venne accolto dalla Costituzione repubblicana attraverso l'articolo 7. Infine nel 1984 il Concordato fu rinnovato dall'accordo tra Craxi e Giovanni Paolo II. Oggi il trattamento privilegiato di cui gode il Vaticano non ha più alcun fondamento giuridico, argomenta Michele Ainis: l'articolo 7 era una norma provvisoria, e oggi è un farmaco scaduto. Oltretutto quelle dei vertici della Chiesa si configurano come vere e proprie ingerenze di uno stato straniero nei nostri affari interni. Infine, in una società sempre più complessa, i privilegi concordatari creano inevitabilmente una disparità di trattamento rispetto a cittadini italiani che seguono altre fedi (e soprattutto a quelli che non si sentono affiliati ad alcuna chiesa).
I catechismi in lingua indigena prodotti dai gesuiti in America Latina tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento sono un ricchissimo e insospettabile osservatorio sull'incontro e lo scontro tra le culture nel primo periodo dell'impresa coloniale dell'Occidente, quando la confessione e l'esame di coscienza diventano centrali nel nuovo modello missionario.
Ben presto le lingue locali si rivelano particolarmente problematiche e inadeguate a progetti di conversione e di civilizzazione, poiché - secondo i gesuiti e in prospettiva missionaria - esse sono prive di concetti e categorie grammaticali, retoriche, teologico-politiche e metafisiche. Tutto ciò rende necessario produrre una «lingua generale» per intraprendere la comunicazione e la traduzione del messaggio evangelico e delle sue categorie linguistiche occidentali con il minor numero possibile di malintesi. La costruzione di questa lingua, il Tupì, detta anche «greco della terra», si realizzerà attraverso due apparati esterni alla cultura indigena: la struttura grammaticale latina e i modelli di discorso proposti dai catechismi iberici.
L'AUTORE
Adone Agnolin insegna Storia moderna e Storia delle religioni all'Università di San Paolo, in Brasile. Tra le sue pubblicazioni: O Apetite da Antropologia. O sabor antropofágico do saber antropológico: alteridade e identidade no caso tupinambá (Associação Editorial Humanitas, 2005); Jesuítas e Selvagens: A Negociação da Fé no encontro catequético-ritual americano-tupì (séculos XVI-XVII) (Humanitas, 2007); e História das Religiões: perspectiva histórico-comparativa (Paulinas, 2013).
Sacerdoti e scienziati: chissà perché, all'orecchio dell'uomo contemporaneo, questa accoppiata suona male. Il punto è che i dogmi del positivismo, sposati sia da molti ambienti liberali sia dalle dittature novecentesche, detti e ripetuti infinite volte, hanno fatto breccia nell'immaginario collettivo, nutrito da una versione banale, zoppa e antistorica dell'affare Galilei. La realtà, però, è facilmente verificabile: all'origine della scienza sperimentale moderna vi sono essenzialmente uomini religiosi, profondamente religiosi; uomini per i quali studiare la natura altro non è che cercare di leggere il libro scritto dal Creatore, andare alla ricerca delle sue tracce, delle sue orme. Senza nessuna presunzione di possedere ogni verità, di ridurre la causa prima alle cause seconde, di trasformare la scienza sperimentale in una fede, di farne una metafisica onnicomprensiva... Così è stato per Keplero, Newton, Maxwell, Volta, Galvani, Planck, e per tantissimi altri giganti del pensiero scientifico. Così è stato anche per numerosi sacerdoti che hanno contribuito con il loro lavoro alla nascita della citologia, della biologia, della genetica, della cristallografia, della geologia, dell'astronomia... Nomi a tutti noti, come quello di Gregor Mendel, e meno noti, come quello di Georges Lemaître, padre del Big Bang, o del tutto dimenticati come quelli dell'Abbé Haüy, di padre Corti, padre Venturi, padre Bertelli, padre Secchi, padre Guglielmini.
Secondo una diffusa pubblicistica di stampo laicista, dovremmo attribuire al cristianesimo la maggior parte delle sventure e delle calamità che hanno contraddistinto gli ultimi due millenni della storia occidentale: dall’Inquisizione alle Crociate, dalla compravendita della salvezza con le indulgenze alla lotta della Chiesa per il potere temporale. Ma negare l’influenza positiva che il cristianesimo ha avuto nel promuovere lo sviluppo della cultura, dell’arte e della civiltà a livello mondiale sarebbe non solo segno di pregiudizio religioso, bensì indizio di profonda miopia storica. Eppure le pseudo-inchieste che oggi vanno per la maggiore tendono proprio a ridurre il cristianesimo a un’abile mistificazione, a una accozzaglia di racconti folcloristici che avrebbe tenuto l’umanità nelle tenebre della superstizione per secoli, causando discriminazioni, persecuzioni e delitti.
Se si esamina con obiettività la storia, non possono non vedersi gli enormi contributi che il cristianesimo ha portato in tema di sviluppo della civiltà: dalla protezione dell’infanzia all’abolizione della schiavitù, dalla lotta contro la magia alla rivalutazione della figura e del ruolo della donna, dall’impegno per la giustizia sociale alle lotte per i diritti di libertà e rappresentanza politica, dalla promozione all’istruzione alla fondazione degli ospedali e delle opere sociali, fino alle più recenti battaglie in favore della vita e della famiglia.
Alla fine di questo viaggio appassionante il bilancio è nettamente in favore di quanti riconoscono che il cristianesimo ha avuto l’indubbio merito di far fiorire i valori più profondi, originali ed essenziali della nostra civiltà.

