
DESCRIZIONE: Da tempo la ricerca storico-religiosa e antropologica ci ha insegnato che la mitologia non è una prerogativa del mondo greco, e soprattutto che il “mito” – quale forma del pensiero espressa mediante la figura e il racconto – è almeno in certi casi emblematici la maniera forse unica possibile per dare rilievo ai temi nodali dell’esistenza umana, per rappresentare quanto vi è di enigmatico nel rapporto dell’uomo con ciò che sta al fondo dell’esperienza, con Dio. Vi sono però culture religiose, come quelle di tipo monoteistico a cominciare dal giudaismo, che sono refrattarie al pensare mediante il mito perché ciò è giudicato incompatibile non solo con la loro visione di Dio, ma anche e soprattutto con il ruolo in essa svolto dalla morale.
Il mito tuttavia si può scorgere nella preistoria del testo biblico, e talvolta riconoscere come materiale inerte riciclato in un lavoro redazionale che comunque ne ha provveduto a neutralizzare o a snaturare il significato originario in vista di finalità diverse. Un esempio quanto mai interessante di questo lavoro demitizzante della Bibbia è fornito proprio dal racconto sul giardino di ‘Eden – con i suoi protagonisti, Dio Adamo ed Eva, e i suoi eventi, il peccato e la cacciata – alla cui indagine è dedicato questo libro.
COMMENTO: Il racconto del Paradiso terrestre e del peccato originale in una innovativa lettura filosofica, nella quale la relazione tra Dio e il Serpente assume nuovi significati.
ALDO MAGRIS insegna Filosofia della religione all’Università di Trieste. Tra le sue pubblicazioni: Carlo Kerényi e la ricerca fenomenologica della religione (Milano 1975), L’idea di destino nel pensiero antico (Udine 1984-85); Plotino (Milano 1986); Fenomenologia della trascendenza (Milano 1992); presso la Morcelliana: La logica del pensiero gnostico (1997); Il Manicheismo. Antologia dei testi (2000), La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003).
"Ogni traduzione è un'interpretazione, come lo è già la comune lettura. Chi legge è vincolato alla fissità del testo - non può cambiarlo: ne viene interrogato, ma al tempo stesso lo interroga.
Questa singolare circolarità rende diverso chi legge e insieme diversifica il testo, ne moltiplica i sensi".
Bastino queste parole di Salvatore Natoli per introdurre alla versione del Qohelet di Amos Luzzatto: il libro della Bibbia più discusso da teologi e filosofi, perché tocca i dilemmi dell'esistenza umana, mostra qui un altro suo volto, femminile. Chi era Qohelet? Perché il suo nome porta una desinenza femminile?
"Perché Qohelet, almeno 'quel' Qohelet che parla, è proprio donna", spiega Luzzatto: "una donna sapiente, forse un'allieva del re Salomone, che gli fa da portavoce in vecchiaia".
La nuova traduzione del Qohelet qui presentata è una riflessione ebraica sui suoi enigmi: gioventù e vecchiaia, vita e morte, divenire ed eternità. Un libro sapienziale, appunto, perché ha per oggetto la ricerca (capire la realtà), l'utilità (scienza pratica), la rettitudine (il giusto fare) e la verità (scienza, fede, etica).
Una lettura biblica che insieme offre elementi per un pensiero ebraico al banco di prova di problematiche etiche e anche scientifiche.
Come si tramandarono i ricordi sulla figura di Gesù? Perché tali memorie rimasero fissate in narrazioni biografiche? Quali fasi condussero alla formazione dei quattro Vangeli e alla loro canonizzazione in Scrittura? A questi quesiti, e ad altri ancora, tenta di rispondere Santiago Guijarro Oporto, il quale traccia le tappe di un percorso che descrive la genesi e il processo di formazione dei Vangeli, a partire dalla tradizione orale - nata in Terra d'Israele dall'interazione tra Gesù e i suoi discepoli e seguaci e sviluppatasi negli anni successivi alla morte del Cristo e alla scomparsa degli apostoli (30-70 d.C.) - fino alla composizione vera e propria di narrazioni appartenenti al genere letterario biografico di chiara provenienza ellenistica (dalla fine del i secolo d.C. a metà del ii). Tra esse furono poi selezionati quattro scritti (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), considerati maggiormente portatori dell'evangelo - la "buona notizia" - che vennero distinti dagli altri e messi in relazione tra loro in seno alle comunità cristiane. La ricostruzione di questo lungo processo getta le basi per nuovi interrogativi e nuove indagini, per meglio comprendere la scelta di un genere - che ha condizionato anche l'interpretazione di ciò che era narrato - e l'identità di Gesù.
Chiamare implica che qualcuno parli e qualcun altro ascolti e risponda: uno schema che si declina nella Bibbia in molteplici modi. La "chiamata" è parola di Dio, di Gesù, dei profeti; può essere "invocazione" o può indicare una "vocazione"; implica l'irrompere di un mutamento (con la risposta "Eccomi!" di Samuele) e l'adeguamento a una condotta di vita, ma anche l'"obiezione" (di Mosè, di Isaia...). Pagine celebri della Bibbia - rilette qui in chiave esegetica, spirituale, storico-filosofica - diventano il luogo in cui sorprendere significati talvolta inattesi di una Parola che, oltre la lettera, investe la nostra vita. Come il tema del discernimento e del lavoro alla base delle comunità monastiche: modelli di vocazione, che ancora ci interpellano.
Del libro profetico di Giona, contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, fa eco la domanda che Dio rivolge al profeta: "non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?". L'incapacità dei pagani di discernere fra bene e male rinvia al tema della giustizia, che sta alla base dell'ebraismo. Attraverso il commento a questo libro biblico, la riflessione sui concetti di giustizia e colpa, sulla dimensione messianica, sul tema della lamentazione, e l'esposizione delle "novantacinque tesi" su ebraismo e sionismo, i cinque testi (1917-1923) di Scholem qui raccolti fungono da guida per comprendere l'essenza del giudaismo. Pagine che fanno luce sulla prospettiva teologico-filosofica dell'autore, che conduce dall'analisi delle fonti e della storia ebraica allo studio della Qabbalà, la sua fondamentale tradizione mistica.
Mentre le guerre assumono sempre più la forma di "guerre di religione", Tobie Nathan - tornando alle radici bibliche, in particolare alla Genesi - mette in discussione la prospettiva, oggi universalmente accettata, che considera tutti gli dèi come espressione della stessa idea di Dio. Una visione che esprime un falso spirito interreligioso ed evidenzia soltanto i limiti di un approccio ingenuo alla pace: «il dio degli ebrei è diverso dal Dio dei cattolici, da quello degli ortodossi, da quello dei protestanti, da quello dei musulmani sunniti, da quello dei musulmani sciiti, dalla galassia delle divinità indiane, dalle moltitudini di Buddha...». Abbiamo veramente un solo Dio, anche se chiamato in modo diverso? Secondo Tobie Nathan gli uomini sono simili, ma i loro dèi diversi. Lavorando su questa ipotesi, Quando gli dèi sono in guerra ci invita a formulare nuove proposte per costruire veramente, insieme, la pace.
Che cosa induce gli uomini a obbedire alle leggi? Quali sono i fondamenti ultimi dell'ordine politico? Secondo Voegelin la religione è il fattore che tiene insieme le società, la chiave di volta dell'esistenza umana, che si muove in una tensione perenne tra la precarietà della vita terrena e l'eternità dell'essere assoluto. La tradizione cristiana parla di creaturalità, ovvero lo stare in relazione con l'originario divino, ma al contempo segnati dalla finitezza e dalla morte. Se per Voegelin la crisi profonda che ha investito l'Occidente negli ultimi secoli nasce dal ripiegamento su se stessi, un percorso di ascesa è possibile grazie all'esperienza, descritta da Platone, dell'essere attratti fuori da sé, che corrisponde alla forza della grazia e all'attrazione del Cristo di cui parla il Vangelo. Religione e filosofia non sono in contraddizione, ma rivelano il nucleo dell'individuo come essere umano: la tensione verso Dio, l'invalicabile limite della persona.
Eric Voegelin (1901-1985) filosofo statunitense di origine tedesca si è occupato di filosofia politica e di storia della filosofia moderna. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo "Ordine e storia" (2 volumi, Vita e Pensiero, 2009-2015)
Paolo Sacchi, grande figura di ebraista e storico di fama internazionale, ben noto per la ricchezza del suo lavoro sulla Apocalittica e la "Bibbia dei Settanta", ritorna qui a interrogarsi su Gesù e dunque sui Vangeli. Focalizzandosi sul Vangelo di Marco, tenta di capire che cosa Marco abbia voluto dire mettendo in bocca a Gesù l'enigmatica e ancor oggi discussa espressione "Figlio dell'Uomo", che va intesa a partire dal rapporto dell'evangelista con la tradizione apocalittica: «Gesù si autorivela come Figlio dell'Uomo perché Dio lo rivela come Figlio di Dio». Tale rivelazione dà anche il significato all'Ultima Cena, dove Gesù stringe il suo Patto, con la promessa di risurrezione, con i discepoli e quindi con tutti gli uomini. Sono pagine che sorprendono il lettore, perché, come scrive l'autore, «nello scorrere degli anni ho amato sempre più Gesù. Ho studiato la sua vicenda con un entusiasmo particolare che vorrei comunicare al lettore con parole che, pur nella freddezza dell'esposizione, lo lasciassero trapelare».
Gesù è stato un rivoluzionario, un capo politico sfortunato nella sua iniziativa di ribellione antiromana, oppure un difensore dell'ordine stabilito? Oscar Cullmann, di fronte alle teorie scientifiche contrastanti del suo tempo, ha voluto in questo libro - edito per la prima volta nel 1970 e più volte ristampato - esaminare sul piano puramente storico ed esegetico l'atteggiamento di Gesù sulle questioni fondamentali del culto ebraico, del problema sociale e di quello politico. Gesù attende un Regno che non è di questo mondo ponendosi oltre l'alternativa tra ordine stabilito e rivoluzione. Sebbene non risparmi le critiche più aspre alle istituzioni esistenti, altrettanto nettamente respinge le tendenze politiche rivoluzionarie del suo tempo: nel loro ideale, che mescola il messianismo religioso alle aspirazioni politiche, vede una, se non la tentazione diabolica per eccellenza e proclama la necessità prioritaria assoluta della conversione personale del cuore. Una pietra miliare nel dibattito sul Gesù storico.
Adam e la sua donna sono con il cuore attento alla “voce” dei passi di Dio, sanno che arriverà all’appuntamento della loro amicizia. E aspettano… ma ora nel loro cuore è morta la gioia dell’attesa, sono ansiosi, timorosi, paurosi… E ascoltano la “voce del suo camminare”, eppure Dio viene a piedi nudi, senza calzari… La prima parola di Dio ascoltata da un uomo è: verso dove sei? Dio apre la sua bocca e pone un interrogativo, che non vuole umiliare, ma aprire al dialogo, perché la domanda esige una risposta, è un appello.
Verso dove sei…, verso dove stai andando? Qual è la direzione della tua vita? A Caino Dio dirà: «Dov’è tuo fratello?», ad Adam chiede: «Verso dove sei?». All’ora nona Adam morto nel cuore fugge da Dio. All’ora nona di un venerdi sul “cranio di Adamo” Dio in Cristo Gesù morirà per salvare l’uomo. E non scenderà dalla croce, né fuggirà…
Verso dove sei? Storie di incontri, di sguardi, di parole dette e di silenzi eloquenti. Verso dove sei? Storia di una Parola che pro-voca, ferisce, guarisce. Eppure è Parola da ascoltare e incidere nel cuore fino alla trafittura di costati induriti, sanguinanti, lacerati, partorienti sangue d’amore e acqua di nuova vita.
Verso dove sei? Lectio di Parola nei racconti feriali di umana esistenza; parole della Voce che ancora cerca, interroga, insegue, desidera abbracciare e lasciarsi incontrare; voci della Parola accolta, invocata, gridata, tratteggiata al crocevia di una speranza possibile.
Verso dove sei? Quindici lectio di umana avventura in compagnia della Voce di sottile silenzio, che schiude ancora il cuore all’aurora dell’Amore nei solchi solitari di uomini e donne, chiamati a dare germoglio alla solidarietà di coscienze abitate, unificate, illuminate dalla carne della Parola.
Mario Russotto è Vescovo di Caltanissetta dal 2003. Già docente di Ebraico, Greco ed Esegesi dell’Antico Testamento presso l’Istituto Teologico di Ragusa, ha insegnato anche Metodologia ed Ermeneutica Biblica presso la Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo. Membro della Commissione Episcopale della CEI per la famiglia e i giovani. Giornalista pubblicista, ha scritto numerosi articoli di carattere teologico e pastorale su diverse riviste italiane. Ha tenuto anche molti corsi biblico-teologici in Italia e all’estero, in modo particolare nei Paesi Scandinavi, negli USA, in Messico, Cuba, Polonia, Estonia e Inghilterra. È autore di molte pubblicazioni, sempre di carattere biblico.
I quattro volumi che il teologo domenicano Marie-Dominique Philippe (1912-2006), fondatore della "Comunità san Giovanni", ha dedicato al Quarto Vangelo sono un commento integrale al testo evangelico, come quelli di sant'Agostino e di san Tommaso, che presuppone e utilizza. Non sono un'analisi ermeneutica, puramente filologica, del testo sacro, ma una meditazione della parola di Dio, per cercare di intendere le in- tenzioni dello Spirito Santo ed avviare il lettore alla preghiera. Questo volumetto è parallelo al precedente La vita di Maria secondo Marie-Dominique Philippe, dello stesso autore, con il quale si integra e che completa, ma non segue più l'ordine storico degli avvenimenti, bensì, dopo un'approfondita spiegazione del Prologo, che rappresenta il vertice della riflessio- ne giovannea, li raggruppa attorno a quattro centri di riferimento: i colloqui, da quello con Nicodemo a quello con Pilato, i pranzi, da Cana all'Ultima Cena, i discorsi, da quello sul pane di vita all'istituzione dell'Eucarestia, i segni, cioè i miracoli. Ne risulta un modo nuovo per meditare il Vangelo.
L’icona della tenda, in ambedue i Testamenti, copre una serie di significati che possiamo raccogliere in questo ordine: la tenda come abitazione di Dio e come luogo privilegiato della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la tenda come luogo di incontro tra Dio e Israele, come pure tra Mosè e il suo Dio, la tenda come abitazione degli uomini (segnatamente la tenda come abitazione dei giusti e degli empi), la tenda come immagine del corpo umano che prima o dopo dovremo abbandonare. Di fronte a questa dovizia e varietà di significati potremmo sentirci smarriti ma, per fortuna o per grazia, abbiamo ricevuto un criterio di interpretazione che ci porta al cuore della rivelazione biblica e della fede ebraica e cristiana. La tenda è e deve essere considerata anzitutto come “luogo”: non in senso materiale bensì nei suoi risvolti spirituali e mistici. È il luogo dell’appuntamento che il Signore Dio rivolge a tutti noi; è il luogo dell’incontro nostro con lui; è il luogo nel quale possiamo sperimentare che cosa significa essere per Dio figlio, amico e sposa.