
Giovanni Scoto Eriugena, un irlandese, fu tra 1'846 e 1'870 al centro della vita intellettuale alla corte di Carlo il Calvo, "l'imperatore filosofo". Tradusse dal greco il corpus di Dionigi l'Areopagita, Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore; rinnovando la terminologia filosofica d'Occidente. Scrisse il de divina praedestinatione e il Periphyseon. Fuse la tradizione platonica col cristianesimo, così che il platonismo diventò, in lui, la forma naturale della rivelazione cristiana; e incarnò gli sviluppi più arditi della teologia negativa. Egli ricerca il Primo Principio, che fonda l'Essere e sta al di sopra dell'Essere: tenebra che irradia luce. "Tutto ciò che si comprende e si sente non è altro che apparizione del non apparente, manifestazione dell'occulto, affermazione della negazione, comprensione dell'incomprensibile, parola dell'ineffabile, accesso dell'inaccessibile." Il mondo nel quale viviamo è un paradosso vivente. Da un lato, è divino: "questa pietra e questo legno per me sono luce"; non c'è frammento di realtà, per quanto umile e insignificante, che non partecipi dell'eterno raggio divino. Al tempo stesso, il mondo è radicalmente altro da Dio: opacità, caduta, ombra, separazione. Quanto all'umanità, il suo rappresentante più alto, Giovanni evangelista, è superiore alle gerarchie angeliche: come un'aquila spirituale vola con le ah veloci della più inaccessibile teologia, sollevandosi sopra ciò che può essere compreso dall'intelligenza, fino a spingersi all'interno di ciò che trascende ogni significato. Scritta probabilmente tra 1'805 e l'870 e molto diffusa nel Medioevo, L'Omelia sul Prologo di Giovanni è uno dei capolavori della lingua latina: un testo filosofico-poetico che ha la concentrazione degli scritti presocratici e taoisti; una piccola gemma radiosa, che raccoglie in sé i misteri della teologia trinitaria, della creazione, della natura, dell'eterno e del tempo, e della via mistica a Dio.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Nota al testo
Omelia di Giovanni Scoto
COMMENTO
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La civiltà carolingia. Restaurazione politica e restaurazione culturale.
"Dopo che Gesù Cristo, Dio e signore nostro [...] è tornato gloriosamente e trionfalmente alla sede della maestà paterna, per sconfiggere in tutta la terra le cupe tenebre dell'ignoranza, ha ripartito per tutto il mondo i luminari innumerevoli dei santi dottori, risplendenti della luce della predicazione evangelica: affinché, come il cielo si orna di stelle fulgenti, che però sono illuminate tutte da un unico sole, così anche i vasti spazi terrestri risplendessero di santi dottori, illuminati tuttavia dall'eterno sole, destinati, per la preveggenza della divina grazia, a rischiarare le cieche tenebre dell'ignoranza con lo splendore della vera fede e con il glorioso nome di Cristo."*
In questa luce di cosmica Aufklärung, in cui l'ignoranza e l'orrore delle sue tenebre sono il nemico più potente della parola evangelica, il maestro e creatore della nuova civiltà carolingia, Alcuino di York, colloca l'incontro storicamente decisivo del sovrano franco Clodoveo e del santo Vedasto. Al di là del valore topico di certe immagini, le ricorrenti metafore della luce, che nell'opera di Alcuino annunciano le speranze di una spirituale rinascita, affidata al magistero dei santi, esprimono forse la consapevolezza storica che il mondo cristiano, e quindi - nella prospettiva altomedievale - l'umanità intera, hanno attraversato un oscuro passaggio, una zona di rischio. A questa oscurità Alcuino contrappone, con sincero entusiasmo, i valori infine recuperati della eruditio e della sapientia cristiana, quella continuità di linguaggio che soltanto la scrittura può trasmettere: nella costruzione del regno di Dio nel mondo, come si esprime un autore contemporaneo, il liturgista Amalario di Metz, le strutture sono costituite dai maestri e dagli allievi, come una pietra sull'altra, in ordine ascendente.
Se, come è stato osservato, la caratteristica più peculiare dell'alto Medioevo è quella di essere un'età senza scuola, il rischio che l'Occidente romano-barbarico sembra aver corso fra il VII e l'VIII secolo è soprattutto quello della perdita della scrittura, di quelle arti della parola e del discorso che erano state uno dei fondamenti della civiltà antica. Mentre l'aspirazione più profonda e radicale della tradizione cristiana, quella di costruire un uomo totalmente nuovo, libero dai condizionamenti della cultura profana, aveva finito per coincidere con il più affascinante e solenne dei fenomeni storici, la progressiva degradazione di un grande insieme come l'Impero d'Occidente, il rischio era stato quello di una non rimediabile perdita della stessa parola divina, del verbo cristiano consegnato per sempre a una scrittura sacralizzata, e all'ormai ricchissimo patrimonio esegetico, che ne aveva elaborato i complessi strumenti di interpretazione.
La volontà di continuità sarà espressa però dalla cultura ecclesiastica nella forma storicamente più decisiva, attraverso quella restaurazione dell'istituzione imperiale, che condizionerà comunque lo sviluppo dell'Europa del Medioevo. Restaurazione determinata e condizionata a sua volta da un insieme complesso di fenomeni: in primo luogo dal fenomeno macroscopico della ricostituzione, ad opera della dinastia dei Pipinidi, di un grande dominio territoriale al centro dell'Europa, dall'interesse della Chiesa e della cristianità occidentale di conservare quella unità, che in effetti solo l'eccezionale personalità politica di Carlo sarà
in grado di garantire, con le sue conquiste militari, con la sua geniale e tenace opera di recupero culturale. Oggetto di questo recupero, attraverso precise disposizioni legislative, è prima di tutto il fondamentale strumento intellettuale della lingua latina, chiave d'accesso a tutto il patrimonio della cultura scritta, il cui apprendimento e uso appare indispensabile per formare una gerarchia ecclesiastica in grado di svolgere le sue funzioni. I formulari delle Interrogationes responsionis, che ci tramandano lo schema di una sorta di esame annuale, a cui i vescovi avrebbero dovuto sottoporre i primi elementi della gerarchia, i parroci, costituiscono lo strumento attraverso il quale l'autorità sovrana si preoccupa di controllare la conoscenza della pratica liturgica, e possibilmente la comprensione del suo significato. Le formule ricorrenti, legere et intelligere, scire et intelligere, nascere et intelligere, sembrano, quasi paradossalmente, ricalcare il linguaggio della corrispondenza di una raffinata personalità intellettuale come Alcuino, che si adopera a diffondere, nella sua vasta cerchia di amici e di allievi, la pratica di un cristianesimo colto, nutrito di lettura e di meditazione.
Se resta ancora problematica la definizione in termini di "rinascita" di questo decisivo momento storico-culturale, caratterizzato piuttosto da un'evidente volontà di restaurazione, di continuità con il passato "costantiniano", cristiano-imperiale, evidente e determinante appare il consapevole disegno dei sovrani, soprattutto di Carlo Magno, di organizzare le strutture amministrative del regnum utilizzando le istituzioni ecclesiastiche, valendosi di quel contributo dell'episcopato e della sua grande tradizione, che aveva costituito uno degli elementi di forza del potere dei Franchi.
Verso la fine del primo secolo, un cristiano, che era stato relegato nella piccola isola di Patmos, fu tratto "in spirito" nel regno di Dio. Come Isaia, Giovanni varcò le porte dei cieli, che si aprirono davanti a lui con un mortale fragore di cardini. Non fu un sogno, né un lampo: ma una visione folgorante che si impresse nei suoi sguardi, colmò il suo cuore e venne trascritta nelle pagine di un piccolo libro dolce come il miele, amaro come l'assenzio.
Mentre leggiamo "l'Apocalisse", avvertiamo una tensione, un impeto, una passione, che hanno qualcosa di cannibalesco: furore di possedere e ingoiare dei libri e di proiettarli in un altro spazio di carta. Le immagini strappate a Isaia e a Ezechiele sembrano aggredirci negli occhi. Così questo libro, che non nasce da un'esperienza visionaria, è diventato il più grande testo visionario dell'Occidente. La letteratura ha appreso "dal1'Apocalisse" che vedere è, in primo luogo, una visione di libri. Il futuro si approssima. Tutti i presentimenti ci minacciano e stanno per diventare presenti. "Il tempo è vicino" L'ora della prova si abbatterà fra poco sul mondo intero: una drammatica imminenza, come non si era mai intesa in un'opera umana, incombe su ogni segno. Avvertiamo sulla carta la presenza dell'evento che sta per erompere davanti ai nostri occhi: le immagini ci sembrano frammenti di futuro, aeroliti di futuro, che una mano ha strappato all'ignoto del tempo.
Come i profeti biblici, Giovanni voleva che le parole della profezia fossero osservate e messe in pratica. Così fu aperto, chiaro, violento, per proclamare l'essenza del suo messaggio: l'avvento di Cristo, l'imminenza di eventi tremendi. Ma, col gesto opposto, nascose la sua rivelazione dietro un velo di enigmi. Contava sul mistero, sull'equivoco, sulla polivalenza dei significati. Sapeva che, per quanto gli interpreti traforassero il suo testo, vi sarebbe rimasto molto o moltissimo di insondabile. Sapeva che i libri chiari e aperti muoiono appena nati. Soltanto i libri scritti con la calligrafia cifrata dei cieli, solo i libri che nessuno può dissigillare completamente, continuano a infuocare per secoli i pensieri degli uomini.
In questo ampio commento "dell'Apocalisse", che può essere letto con passione da tutti, Edmondo Lupieri ha cercato di penetrarne il mistero. La sua interpretazione, fondata su una conoscenza minuziosissima della letteratura giudaica apocalittica e di Qumran, sorprenderà per la sua novità e la sua verisimiglianza.
Indice - Sommario
Premessa
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
Abbreviazioni delle opere citate
TESTO E TRADUZIONE
- Sigla
- Apocalisse di Giovanni
COMMENTO
Indice dei passi e degli autori citati
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
I. Può ancora esistere, oggi, uno spazio culturale ufficiale per "l'Apocalisse"? Se vi è un testo colmo di angeli e diavoli, di mostri e di cataclismi, di visioni celesti e ultraterrene, di viaggi spirituali in un cosmo geocentrico e pregalileiano, tale testo è proprio quello del veggente di Patmo. Non soltanto, poi, esso pare così ancorato alle categorie mentali del mondo antico, ma non vi è brano del Nuovo Testamento che sia così ricco di minacce e di scene di guerra, con il sangue degli uccisi che giunge sino alle froge dei cavalli e dove la misericordia sembra aver ceduto il passo alla spada. Anche gli stessi premi per gli eletti, infine, soprattutto quel famoso regno millenario di Cristo con i risorti sulla terra, creano problemi a chiese radicate e strutturate in questo mondo. I motivi di disagio nelle chiese cristiane di fronte al "libro delle profezie" di Giovanni, quindi, sono stati e sono numerosi e diffusi. A ripercorrere la storia dell'interpretazione del testo, pare che nelle gerarchie ecclesiali si sia sentito il bisogno di neutralizzarlo, prima ancora di permetterne l'ascolto o la lettura da parte di persone ritenute impreparate. Di converso, l'uso non controllato "dell'Apocalisse" ha sempre accompagnato fenomeni di effervescenza religiosa, spesso sfociati in attività politiche o sociali anticonformistiche, talora concluse davvero nel sangue o nel fuoco. Eppure il fascino del libro permane. La sua lingua dalla cadenza arcaica e strana, le sue immagini che si susseguono come onde di un mare mosso da venti lontani, l'incomprensibilità stessa di certe sue frasi sono altrettanti motivi di attrazione. La lettura o l'ascolto quotidiano della Bibbia sono divenuti un'abitudine di pochi, ma il mistero "dell'Apocalisse", a conclusione del Libro per eccellenza, sta, come in attesa di lettori, anche in quest'ultimo scorcio del secondo millennio cristiano.
"L'Apocalisse" è un testo controverso, difficile da maneggiare: una sorta di esplosivo che costituisce sempre un rischio per l'incauto manipolatore. Anche la critica moderna, nata dalle battaglie illuministiche, ha infine generato teorie interpretative contrapposte e inconciliabili, che a tratti ricalcano le antiche opposte interpretazioni ecclesiastiche. Il fatto è tanto evidente che, negli studi biblici contemporanei, l'esegesi "dell'Apocalisse" è divenuta uno degli obiettivi eletti per gli assalti della critica cosiddetta "postmoderna". Nata dal convincimento che la scienza di tipo positivistico abbia fallito i propri scopi in ogni ramo dello scibile umano, giacché i risultati di ogni indagine sedicente scientifica altro non sarebbero che le proiezioni soggettive del ricercatore, la critica "postmoderna" appare come un'entità multiforme e difficile da analizzare. Essa ha tuttavia spinto ai limiti estremi un processo di relativizzazione di ogni altra forma di ricerca, creando una sorta di nuova apocalisse culturale: non a torto il "postmoderno" è stato paragonato a una specie di mostro che procede inghiottendo ogni altra espressione del patrimonio culturale preesistente, facendosi beffe della ragione e preparandosi alla sublime e definitiva voluttà di inghiottire sé stesso. Coerenza infatti esige che i criteri usati nella demolizione della scienza moderna siano applicati anche ai metodi "postmoderni", non meno soggettivi e relativi di quelli sedicenti razionali e scientifici: la qual cosa dovrebbe condurre al silenzio.
2. In tale temperie culturale, che scopi può prefiggersi un'edizione commentata "dell''Apocalisse"? Abbandoniamo subito le velleità di una lettura che pretenda di spiegare assolutamente tutto. Nella fattispecie "dell'Apocalisse", le letture in cui tutto viene fatto quadrare non quadrano affatto, ma derivano di solito dalla precomprensione del commentatore, mosso da esigenze teologiche o da convincimenti personali che spesso raggiungono livelli monomaniacali.
Questo vuole essere un commento aperto, che proporrà soluzioni nuove e spero convincenti, ma che cercherà sempre di mostrare i nodi interpretativi, rifuggendo dalla tentazione di risolverli tagliandoli. Lo scopo principale del mio lavoro consiste nel condurre il lettore il più vicino possibile a quello che oggi riteniamo fosse il modo di pensare di un giudeo seguace di Gesù nel I secolo d.C. A questo è dedicata l'Introduzione. Il mondo è quello di Gesù di Nazaret, Giovanni Battista, Paolo di Tarso; ma è anche lo stesso di molti altri, a cominciare dagli esseni ultraosservanti di Qumran per finire con Giuseppe, che divenne lo storico ufficiale dei Flavi, cioè proprio di quei generali romani che questo mondo incominciarono a distruggere. Né si trattava di una realtà monolitica o chiusa in sé stessa, ma ricca di permeabilità culturali a tratti sconcertanti. Lo mostra la vicenda di Giuseppe Flavio. Quasi un simbolo appare Berenice, ebrea e "regina" dei giudei, sorella e amante di Agrippa II (ultimo dei piccoli re giudei riconosciuti dai Romani), che divenne amante anche di Tito, sino a seguirlo sul Palatino e a rischiare di divenire imperatrice.
Il testo greco riproduce con poche varianti la più recente delle edizioni critiche "dell'Apocalisse" e la più usata negli studi. In senso proprio, sarebbe onesto dire che non possediamo una vera edizione critica di alcun libro del Nuovo Testamento. Quello che noi abbiamo è un'armonia, ricostruita oggi, fra i testi di diverse edizioni antiche, la cui storia possiamo ipoteticamente tracciare a ritroso fino a un periodo compreso fra il II e il IV secolo d.C. Si tratta di un testo teorico, che nessun antico ha mai avuto fra le mani e che corrisponde a quello che noi pensiamo possa essere stato scritto dall'autore, sulla base dei manoscritti che ci sono giunti. Che siano giunti tali manoscritti, e non altri con testi certamente diversi, è un fatto del tutto casuale, dipendente da motivi esterni: ad esempio il non essere andati distrutti in un incendio o l'essersi trovati in un luogo asciutto. Possiamo comunque considerarlo un buon punto di partenza, non dissimile da quello delle altre opere antiche, quasi tutte ricostruite a tavolino in epoca moderna o contemporanea. Eventuali strepitose scoperte di manoscritti (l'improbabile è già accaduto un paio di volte in questo secolo, a Qumran e a Nag Hammadi) ci porterebbero probabilmente altre varianti, sulla cui validità sarebbe difficile decidere; certamente molte differenze emergerebbero nell'aspetto esteriore del testo.
Gesù e un uomo raggiungono la riva di un fiume e si siedono a mangiare. Consumano due dei tre pani che hanno. Gesù si alza, va a bere al fiume, torna e, non trovando la pagnotta, chiede all'altro chi l'abbia presa. "Non so", risponde. Ripartiti, Gesù vede una gazzella con due piccoli, ne chiama a sé uno, lo uccide, ne arrostisce una parte e ne mangiano. Poi dice al piccolo di gazzella: "Con il consenso di Dio, alzati!", e quello si alza e se ne va. Allora si rivolge all'uomo: "Per Colui che ti ha mostrato questo prodigio, ti chiedo: chi ha preso la pagnotta?"; e quello risponde: "Non lo so". Giunti a un corso d'acqua, Gesù prende l'uomo per mano e i due camminano sull'acqua. Gesù domanda: "Per Colui che ti ha mostrato questo prodigio, ti chiedo: chi ha preso la pagnotta?". L'altro risponde di nuovo: "Non lo so". Arrivati in un deserto, Gesù prende a raccogliere della sabbia: "Con il consenso di Dio, diventa oro", dice, e così accade. Gesù lo divide in tre parti: "Un terzo a me, uno a te e uno a chi ha preso la pagnotta ". Quello replica: "L'ho presa io!". E Gesù: "Allora è tutto per te!".
È una delle tante storie incantevoli che fanno parte del vero e proprio "vangelo musulmano" contenuto in questo libro: e prosegue poi verso una conclusione sorprendente. Ma il Gesù dell'islam è nello stesso tempo più semplice e più complesso di quanto non emerga da essa. R)mi, il più grande mistico persiano, scrive: "Il corpo è simile a Maria: ognuno ha un Gesù dentro di sé. Se sentiremo in noi i dolori, il nostro Gesù nascerà ". 'Ôsa Ibn Maryam, Gesù figlio di Maria, è infatti uno dei maggiori profeti dell'islam: che, fin dal Corano, ne tramanda molte parole. Riletture plurisecolari del Gesù dei Vangeli e degli apocrifi, esse ci restituiscono un Gesù musulmano, o un Gesù che parla all'islam, e a noi: "Beato colui che guarda con il cuore, ma il suo cuore non è in ciò che vede".
I detti islamici di Gesù - che segue Le parole dimenticate di Gesù, in una serie intesa a offrire un quadro completo delle immagini di Gesù nelle varie tradizioni - è un libro dal fascino particolare: racconta l'unico caso di una religione mondiale che sceglie di adottare la figura centrale di un'altra, finendo per riconoscere questa figura come costitutiva della propria identità.
Marcione, un armatore originario del Ponto, verso il 140 d.C. giunse a Roma e divenne un membro di spicco della comunità cristiana locale. Ben presto, però, la sua teologia lo portò alla rottura con i capi di quella comunità: infatti predicava un'irriducibile incompatibilità fra il Dio delle Scritture ebraiche e quello annunciato da Gesù, e professava una particolare interpretazione delle Lettere di Paolo. Marcione e i suoi seguaci leggevano la vita di Gesù in un peculiare «Vangelo» che in seguito verrà denominato «Vangelo di Marcione»: era molto simile al Vangelo di Luca, anche se più breve. Gli scrittori cristiani ostili a Marcione lo ritenevano il frutto di una manipolazione di quello di Luca, operata dall'eresiarca in accordo con la sua personale teologia; secondo alcuni studiosi moderni, al contrario, si trattava di un Vangelo indipendente sulla base del quale soltanto in seguito sarebbe stato confezionato quello di Luca. Il Vangelo di Marcione, condannato come eretico, spari dalla circolazione; ma alcuni scrittori ecclesiastici ne hanno tramandato diversi stralci. Andrea Nicolotti ne propone qui una ricostruzione, integrando le parti mancanti e presentando per la prima volta in lingua italiana un testo che cerca di avvicinarsi all'originale perduto.
Il libro dei Numeri, a lungo trascurato, è oggi spesso al centro dei dibattiti sul Pentateuco. Lo studio porta a vari livelli il proprio originale contributo alle attuali ricerche. Anzitutto dal punto di vista metodologico, tentando con competenza e destrezza di superare la dicotomia che separa le discipline storiche e quelle esegetiche. Combina poi diversi metodi, utilizzando in prevalenza quello storico-critico, ma anche gli studi linguistici e l’analisi narrativa, facendo dialogare metodi diacronici e sincronici.
Il volume ha inoltre il pregio di essere scritto in uno stile chiaro e piacevole, tale da poter «interessare non solo gli specialisti dell’esegesi del Pentateuco o del libro dei Numeri, bensì tutti coloro che vogliono conoscere meglio un capitolo importante della storia d’Israele e raccogliere ragguagli essenziali sulla missione del sacerdozio e del presbiterato nella comunità postesilica» (dalla Presentazione di J.-L. Ska).
Sommario
Presentazione (J.-L. Ska). Prefazione. Introduzione. I. La questione dell’autorità in Israele tra VI e IV sec. a.C. Inquadramento storico. 1. Gerusalemme, Giuda e Babilonia. 2. Gerusalemme, Giuda e la Persia. II. Studio esegetico di Nm 11*; 16. 3. Nm 11*. l’elezione dei settanta anziani. 4. Nm 16. una sfida all’autorità. Conclusione. Bibliografia. Indici
Note sull'autore
Francesco Cocco (1975) è francescano conventuale della provincia di Sardegna. Ha compiuto gli studi filosofico-teologici in Assisi, conclusi con il baccalaureato in teologia (1994-1999); presso il Pontificio Istituto Biblico ha conseguito la licenza (2002) e il dottorato con la presente ricerca.
Il libro dei Dodici Profeti Minori - Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia - è da qualche tempo oggetto di attenzione da parte di molti esegeti, soprattutto di lingua tedesca e inglese. Rispetto alla lettura che affronta i vari libri singolarmente, in ambito esegetico sono infatti maturate domande che riguardano l'unità del libro e che ne studiano la forma finale in prospettiva canonica. Lo studio costituisce una sorta di introduzione e di commento al libro dei Dodici Profeti Minori. Si tratta del primo lavoro sul tema apparso in lingua italiana, considerato che al momento non esistono monografie che affrontino i Dodici con tale approccio. Il percorso proposto, di tipo esegetico-teologico è suddiviso in tre parti. La prima ha lo scopo di presentare di motivi che giustificano la lettura unitaria del libro dei Dodici. La seconda offre almeno un saggio di lettura esegetica tratto da ognuno dei singoli profeti minori. La terza approfondisce alcuni temi di carattere teologico, presenti in uno o più profeti, e riprende la questione più generale relativa alla forma del libro dei Profeti Minori.
Il volume suggerisce un percorso metodologico per lo studio della tipologia, fondato prevalentemente sull’analisi narrativa. Si occupa dunque di tipologia anzitutto come di un fenomeno letterario, nel quadro dei procedimenti intertestuali che riguardano figure bibliche e che comportano una progressione rivelativa evidenziabile tramite lo studio della funzione narrativa del testo precursore nel testo d’arrivo. Tale progressione costituisce anche, sul piano retorico, un appello alla fede del lettore.
Questo studio prende posizione, in modo argomentato e fondato, anche in merito all’accusa di supersessionism (sostituzione) rivolta al Vangelo di Giovanni, tema particolarmente importante per il dialogo ebraico-cristiano e per la teologia.
Sommario
Sigle e abbreviazioni. Prefazione. Introduzione. I. Questioni metodologiche sulla tipologia alla luce di 1Cor 10,1-13. II. La tipologia: breve storia della ricerca. III. Percorso metodologico. IV. Le nozze di Cana (Gv 2,1-11). V. L’acqua viva donata da Gesù (Gv 4,4-42). VI. Il pane della vita e la manna esodica (Gv 6,1-71). VII. Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 19,16b-42). VIII. Analisi del compimento tipologico. Bibliografia. Indice dei nomi.
Note sull'autore
Davide Arcangeli è docente stabile di Nuovo Testamento all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Marvelli di Rimini. Collaboratore delle riviste Parole di Vita e Annale Parola e Tempo, ha pubblicato di recente Testimoni del servo. La «Chiesa in uscita» degli Atti degli Apostoli. Con schede di lettura popolare (Il Ponte 2015).
Il volume approfondisce un aspetto della vita sociale e politica del popolo di Israele dal VI secolo a.C. all’inizio del II secolo d.C.: la monarchia di Davide, associata al rilievo che la figura del sovrano assume sia nelle Scritture sia nel contesto messianico.
Il racconto prende le mosse dalla violenta distruzione dello stato giudaico e dalla soppressione della dinastia davidica e termina con le rivolte contro l’Impero romano in Giudea e nella diaspora; l’attenzione si focalizza sul ruolo del re nella memoria collettiva e nella vita politica, oltre che sulla sua figura eroica presente in scenari escatologici fondati sulla restaurazione di un passato idealizzato.
Il libro illustra infine i tentativi per ripristinare la dinastia sotto la dominazione babilonese e persiana ed esamina il modo in cui la figura di Davide catalizza la resistenza spirituale e fisica contro Roma, la nuova Babilonia, prima delle rivolte del 66-73 d.C. e di Bar Kokhba sessant’anni dopo.
L'Apocalisse sviluppa una delle cristologie più ricche ed elaborate dell'intero Nuovo Testamento. Se si considera, infatti, il solo dato statistico le attribuzioni cristologiche del libro sono di gran lunga superiori a molti altri scritti. Ugualmente le sfumature e la valenza dei diversi appellativi dati a Gesù presentano una vasta gamma di significati e implicazioni di carattere cristologico, ecclesiale, sociologico, escatologico e culturale in genere. Questo studio affronta aspetti che attraversano l'intera opera fornendo uno sguardo d'insieme sulla persona di Cristo. In particolare, vengono presi in esame i titoli «Figlio dell'uomo» e «Cristo-Agnello», i temi del giudizio e del regno, la metafora matrimoniale come immagine del rapporto di Gesù con la Chiesa. Infine, a partire dalla prima qualifica cristologica «il martire fedele», si rilegge la vicenda di Cristo morto e risorto in rapporto alla Chiesa e si considera l'intera rivelazione dell'Apocalisse nella sua valenza cristologica.
La storia è una dimensione fondamentale di tutta la Bibbia. Giosuè, Giudici, Samuele e Re completano la linea del racconto del Pentateuco che, partendo dalla creazione, attraverso i patriarchi arriva alla morte di Mosè. Un arco di tempo paragonabile è abbracciato da Cronache (da Adamo al ritorno dall'esilio babilonese), mentre Esdra-Neemia proseguono la narrazione con alcune vicende dopo l'esilio. Il primo e il secondo libro dei Maccabei aggiungono notizie sulle lotte per mantenere la fedeltà all'alleanza nell'epoca ellenistica, portandoci a oltre un secolo dal tempo di Gesù. E se Rut e Tobia si soffermano su vicende familiari, inquadrate nella storia del popolo, quasi romanzi storici edificanti, Ester e Giuditta si configurano come una controstoria immaginaria, dove i deboli vincono sui forti. Il volume si colloca in una collana di testi rigorosi e agili a un tempo, rivolti soprattutto al pubblico di università, facoltà teologiche, istituti di scienze religiose e seminari.
«E voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15): attorno a questo interrogativo centrale del Vangelo, formulato da Gesù stesso, ruota l’identità di un discepolo cristiano. «Chi è lui? Questa domanda semplice e senza tempo è giunta a noi attraverso i secoli. Anche la risposta è semplice, ma non facile. Se decidiamo di ascoltare e rispondere a questa domanda di Gesù, tutto il nostro modo di vivere, di pensare e di sentire ne sarà trasformato, perché la domanda ci porta alla conoscenza del sé e la conoscenza del sé ci trasforma. Sapremo rispondere a questa domanda soltanto quando noi saremo stati semplificati da un ascolto lungo e profondo. [...] A causa della distanza esistente tra il Gesù storico e quello immaginato, i cristiani sembrano spesso più preoccupati di promuovere il loro Gesù a sostegno delle loro opinioni morali o sociali, che di scoprire chi egli in realtà sia».
Chi dite che io sia? Il volume è un gioco di variazioni su questo tema. È una lectio, una lettura spirituale di questa domanda di fronte ad alcuni grandi problemi di comprensione religiosa: la realtà storica di Gesù, il significato di esperienza e fede nella lettura delle Scritture, la conversione personale e il nome che si attribuisce alla propria identità religiosa, il cammino interiore. È un modo diverso di narrare quel racconto antico che chiamiamo Vangelo.
Sommario
Prefazione (Dalai Lama). Presentazione (card. S. Piovanelli). Introduzione. 1. La domanda chiave. 2. “E voi chi dite che io sia?”. 3. Conoscenza di sé e amicizia. 4. Cosa sono i Vangeli? 5. La vita di Gesù. 6. Il Regno del perdono. 7. Gesù e il cristianesimo. 8. La conversione. 9. Lo Spirito. 10. La meditazione. 11. Il labirinto. 12. Fasi del rapporto. La Comunità mondiale per la meditazione cristiana.
Note sull'autore
L. Freeman osb è fondatore e direttore della Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana. Fra i suoi libri ricordiamo: Luce interiore, Roma 2000, The Selfless Self; Web of Silence e Common Ground; presso le EDB ha presentato B. Griffths, Meditazione e Comunità (Quaderni di Camaldoli 8) 1999.
La Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana nasce nel 1991 e si ispira all’intuizione di John Main che nel 1975 diede il via a un Centro per la Meditazione Cristiana. Il coordinamento internazionale del movimento è a Londra, il coordinamento italiano a Brescia.
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