
Nel luglio del 2008 il “New York Times” riferiva in prima pagina di uno sconvolgente ritrovamento: un’antica tavola, un grosso e pesante pezzo di pietra con 87 righe incise in ebraico. Risaliva a prima della nascita di Cristo e conteneva una profezia, l’annuncio di un Messia che sarebbe risorto tre giorni dopo la morte.
È solo uno dei tasselli con cui Daniel Boyarin, fra i più noti talmudisti viventi, ci spiega che la storia del Nazareno non rappresenta affatto, come da secoli si ritiene, un momento di rottura con il senso religioso ebraico. La percezione convenzionale di una netta divisione tra cristiani ed ebrei, diffusa tanto da una parte quanto dall’altra, non tiene conto di una natura comune profondamente e radicalmente unitaria. Gesù era un ebreo osservante, un ebreo che mangiava kosher. Si era presentato nel modo in cui molti ebrei si aspettavano che facesse il Messia: un essere divino incarnato in un uomo. All’epoca dei fatti, del resto, la questione non era: “Giungerà il Messia?”, ma solo “Questo falegname di Nazareth è Colui che aspettavamo?”. Alcuni cedettero di sì, altri di no. E oggi noi chiamiamo il primo gruppo cristiani e il secondo ebrei, anche se, in principio le cose non stavano così. Con una sorprendente rilettura del Nuovo Testamento e l’aiuto delle più recenti scoperte e delle Antiche Scritture, Il Vangelo ebraico risale alle origini di una divisione millenaria che oggi, secondo Boyarin, dobbiamo avere il coraggio di capire e superare, andando oltre le convenzionali semplificazioni.
“La visione di Boyarin è rivoluzionaria. Eppure, quelli che racconta sono solo fatti storici”
The Washington Post
“Quest’affascinante ricostruzione della storia di Gesù cambierà l’idea delle persone sulle origini del cristianesimo e sul suo complicato rapporto con l’ebraismo”
Elliot Wolfson, professore di Lingua e Storia ebraica all’Università di New York
Daniel Boyarin
Professore di Cultura talmudica e di Retorica all’Università della California, è riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori studiosi di Talmud e come grande divulgatore della cultura ebraica. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo A radical Jew (University of California Press, 1997), Border Lines (University of Pennsylvania Press, 2006), Socrates and the Fat Rabbis (University of Chicago Press, 2009) e, in Italia, Morire per Dio (Il Nuovo Melangolo, 2008). Vive a Berkeley, in California.
JACK MILES
Professore di Letteratura inglese e di Studi Religiosi all’Università della California, è l’autore di Dio: una biografia (Garzanti, 1996) per il quale ha vinto il Premio Pulitzer. Collabora con il “New York Times”, il “Washington Post”, il “Los Angeles Times” e il “Boston Globe”. Tra le altre sue pubblicazioni ricordiamo anche Gesù: una crisi nella vita di Dio (Garzanti, 2003).
Il testo più completo, documentato e aggiornato sui risultati delle indagini storiche e delle ricerche scientifiche sulla Sindone. Il libro esamina la compatibilità della Sindone con i Vangeli canonici e rintraccia altri riferimenti nella letteratura apocrifa. Ne ricostruisce la storia verosimile fino all'imperatore bizantino Giustiniano II che nel 692 batte alcune monete d'oro e d'argento su cui rappresenta un volto di Gesù estremamente simile a quello della Sindone. Ne segue il percorso in Anatolia e poi a Costantinopoli... Fino all'ostensione del 2010.
I cinque poemi che compongono il Libro delle Lamentazioni formano un'opera letteraria unitaria e, di conseguenza, i singoli poemi devono essere letti seguendo il filo che li unisce. Anche se è possibile che all'origine dei poemi non vi sia un solo autore e soprattutto che l'autore del capitolo 3 possa essere diverso dall'autore degli altri capitoli, l'opera, come ora si trova nel Canone biblico ebraico, presenta un marcato carattere unitario determinato dall'uso della medesima forma metrica (la qinah, "lamentazione"), dal linguaggio e dalla riflessione sul tema tragico della caduta di Gerusalemme. Lo stesso autore del terzo poema, che è in stretto contatto con la scuola di Isaia, potrebbe essere il curatore della redazione finale del libro. È comunque significativo che le questioni lasciate aperte nel Libro delle Lamentazioni abbiano trovato risposta nel Libro di Isaia, in particolare nei capitoli 40-54. Il Libro di Isaia, nella seconda parte, fornisce una risposta all'aspirazione alla sopravvivenza così evidente nel Libro delle Lamentazioni anche avvalendosi delle stesse formulazioni verbali. Molti rabbini e alcuni esegeti moderni hanno notato una somiglianza di linguaggio e di temi tra il Libro delle Lamentazioni e la parte del Libro di Isaia comunemente attribuita a un anonimo profeta dell'esilio, chiamato Deutero-Isaia, in particolare nell'invito «Consolate, consolate il popolo mio, dice il tuo Dio» (Is 40,1), ma quasi mai e solo in modo indiretto hanno sostenuto che ci sia un vero rapporto tra i due testi.
Per essere testimoni del Gesù vivo, dobbiamo "Ricordare" che è stato condannato a morte perché è sempre stato dalla parte dei piccoli, dei peccatori, dei poveri, delle donne, contro tutte le forme di oppressione e di morte. Questo riassume "tutto" quello che le Scritture dicevano di Gesù e che le comunità di Luca non dovevano assolutamente dimenticare. E' la memoria viva della misericordia di Gesù (il suo cuore dalla parte dei miseri), che sarà presente in ogni pagina del Vangelo e che ci "ricorderà"che per questo Gesù è stato crocifisso. Mai dimenticarlo! Il "Vivente" porterà per sempre i segni del suo martirio/testimonianza che le nostre comunità devono dare, se vogliamo essere seguaci sul cammino del "Vivente". Il cammino e i tavoli sono gli spazi e i momenti che manifestano la misericordia di Gesù alle comunità di Luca e alle nostre. Con lui cammineremo, saremo suoi commensali per riuscire ad essere, con lui, segni della misericordia divina. Senza aver più paura della croce.
È stimolante e straordinario sapere che, dopo 2000 anni, Paolo, figura appartenente ai tre mondi diversi degli Ebrei, dei Greci e dei Romani, sollevi ancora discussioni su alcuni temi come la superiorità di Pietro o Paolo, la sua conversione o chiamata, il suo essere ebreo o cristiano, la sua continuità con il Cristianesimo o la sua discontinuità con l'Ebraismo. Nel presente testo si discute di quanto è successo a Paolo sulla via di Damasco. Lo scopo di questo modesto studio è sondare la relazione intercorrente tra Paolo e Luca nella prospettiva di Luca. Il nocciolo della ricerca è la constatazione del fatto che Paolo sia rimasto un ebreo e abbia influenzato le comunità cristiane per mezzo della sua missione. In termini più ampi, l'obiettivo del suddetto studio è dare risalto all'universalità della missione paolina e alla testimonianza della persona di Gesù Cristo offerta dal santo. Qual è il pensiero di Paolo? Perché tace così tanto? Infine, si tratta di una conversione o di una chiamata?
Senza alcuna soggezione per la complessità dell'argomento l'autore, con un approccio volutamente canonico, esamina il versetto di Gv 18:28 caposaldo della cronologia alternativa cosiddetta giovannea, proposta ed affermata a partire dalla prima metà del secolo scorso: "era l'alba ed essi non vollero entrare nel Pretorio per non contaminarsi e (poter) mangiare la Pasqua" - dal quale risulterebbe la cena di Gesù precedente il banchetto pasquale - mostrandone l'incoerenza: gli accusatori di Gesù avrebbero avuto tutto il tempo ed il modo di purificarsi. Infatti, per la legge di purità, la tradizione ebraica e la prassi in uso al tempo di Gesù, la contaminazione sarebbe durata solo un giorno, cioè fino al tramonto, e tolta con le abluzioni precedenti la cena pasquale. Argomentazione rafforzata dall'ulteriore incongruenza con la spiegazione del fatto che fornisce lo stesso evangelista: prima dell'alba o dopo non importava affatto, perché i giorni venivano computati a partire dalla sera. Il versetto deve perciò avere un significato differente da quello di consueto attribuito, tutto da scoprire.
«Tra la novità e la speranza, tra lo stupore e l'incertezza, con la profonda certezza che Dio sostiene con il suo Spirito le nostre lotte e la nostra resistenza. Sperimentiamo in questi tempi difficili che il nostro Dio continua a camminare con noi perché è il Dio con noi, il Dio che è venuto a condividere la nostra stessa fragilità, il Dio che non ci lascia mai soli. La Parola di Dio è diventata in questi tempi difficili, ancora più "Buona Notizia", facendoci capire che Dio non ci abbandona mai, ma ci accompagna sempre, nel meraviglioso viaggio che è la vita. Se nel secolo scorso il teologo tedesco Johann Baptist Metz aveva iniziato un grande dibattito teologico partendo dalla domanda: "Come parlare di Dio dopo Auschwitz"?, e decenni dopo, Gustavo Gutiérrez della realtà peruviana aveva offerto il suo contributo a partire dalla domanda "Come parlare di Dio da Ayacucho?", ora penso che sia il momento di riformulare la domanda, partendo da cosa ci sta lasciando in eredità questo tempo.» (dall'introduzione)
Maria Maddalena è stata un'invenzione delle più emancipate della storia evangelica. Compare in tutte le svolte cruciali della vita di Gesù. Si mostra e rivela; perfino troppo e troppo spesso, secondo i gusti degli evangelisti e dei primi apostoli, a cominciare da san Paolo, che cercherà incessantemente di farla dimenticare. Innalzata a figura della Chiesa, Maria Maddalena non perde nulla dei suoi "equivoci" e della sua "felice polisemia". È pietra di paragone di una certa pratica della fede, un modello. È un piccolo compendio di vita spirituale, un vademecum della conversione che ricorda che "le questioni relative alle origini e ai fini ultimi passano per la donna."
Una ricerca esegetica sull'origine orale dei Vangeli.
Il Concilio Vaticano II, riprendendo alcuni testi della tradizione patristica, ha sottolineato la sacramentalità della Parola di Dio, ribadendo come il credente, quando accoglie la Parola in un contesto liturgico, incontri sempre un volto, una presenza, un’esperienza: quella di Dio che, in Cristo, si è fatto Verbo.
Parola ed Eucarestia sono come i due occhi con i quali Dio incontra l’uomo e l’uomo incontra Dio.
Testo unico nel suo genere, il presente volume approfondisce il tema della venerazione della Parola di Dio da un
duplice punto di vista: quello dell’ebraismo e quello del cristianesimo, partendo dagli usi liturgici della tradizione ebraica e di quella cristiana.
La tradizione antica, ebraica e cristiana, non ha esitazioni in merito: la Parola è uno dei luoghi principali della Presenza di Dio e, per tale ragione, va trattata con rispetto, amore e dedizione.
Frutto del Colloquio che ha inaugurato un progetto di ricerca pluriennale sui testi del Nuovo Testamento "within Judaism" (ovvero come letteratura giudaica), il volume discute i cambiamenti di paradigma in atto nell'esegesi neotestamentaria e nella storiografia delle origini cristiane e del giudaismo del Secondo Tempio. Se, da un lato, mette in discussione l'efficacia euristica della metafora della "separazione delle vie" per rappresentare il complesso processo di identificazione e differenziazione dei credenti in Gesù nell'arco temporale che vede la genesi dei testi neotestamentari, dall'altro suggerisce l'opportunità di guardare alla storia della relazione tra giudei e seguaci di Gesù (giudei o meno sul piano genealogico), nel mondo greco-romano, come storia intrecciata e condivisa che meglio può essere rappresentata attraverso il ricorso a una molteplicità di metafore (ad es. quella delle "reti", come nella network perspective) e a modellizzazioni flessibili e complesse. Esamina criticamente l'uso di classificazioni anacronistiche o di nozioni essenzialiste di identità e di etnicità, considerando i testi del NT espressione di uno dei possibili diversi modi di "negoziare" l'identità giudaica e i suoi confini in epoca romana, quello appunto dei seguaci di Gesù. Emerge il potenziale culturale e teologico di un processo di ricezione dei testi del Nuovo Testamento inversamente proporzionale a quello che, a partire dalla tarda antichità, ne ha interpretato il messaggio in termini sostitutivi.