
DESCRIZIONE: L’«amore di Dio», in virtù dell’ambivalenza del genitivo (soggettivo o oggettivo), può indicare tanto il chinarsi dell’alto verso il basso proprio dell’agape divina, quanto il dirigersi del cuore umano verso il proprio Signore.
Il comando di amare rivolto dal Signore al proprio popolo ha un riferimento, antico e pregnante, al linguaggio della politica del Vicino Oriente e soprattutto, come sempre quando si evoca un patto, il soggetto interessato è collettivo.
È altrettanto certo che un mal diretto amore di Dio può andare contro l’uomo: da sempre la valutazione del martirio, anche quando si tratta di una violenza subita, è posta su un sottile crinale in cui pochissimo spazio la separa dal primato di un amore di Dio che dovrebbe riuscire a valere più del sangue versato. Tuttavia questo martirio è tutt’altra cosa dalla declinazione dello pseudo-martirio terrorista, ma anche nell’aberrazione resta traccia di un’ambivalenza più antica: nei Maccabei si manifesta la resurrezione dei morti come l’unico premio adeguato per chi offre al Signore la vita del proprio corpo; nell’islam si prospetta l’immediato godimento paradisiaco offerto allo shahid; nel cattolicesimo la canonizzazione del martire avviene in virtù del suo stesso morire.
Nella moderna coscienza occidentale si avverte però in modo profondo la falsità di ogni preteso amore di Dio che, sotto qualunque aspetto, vada a scapito dell’uomo. Non vi può essere vero amore di Dio quando, nel nome del Signore, si va contro gli esseri umani: «non c’è altro comandamento maggiore di questo» (Mc 12,31).
SAGGI DI : Paolo De Benedetti - Benedetto Carucci Viterbi - Khaled Fouad Allam - Moshe Idel -Fabrizio Lelli - Giuseppe Lorizio - Amos Luzzatto - Stella Morra - Anne-Marie Pelletier - Paolo Ricca - Francesco Rossi de Gasperis - Jean-Louis Ska - Piero Stefani - Alberto Ventura.
DESCRIZIONE: L’amore del prossimo, per il prossimo. Comando, regola o precetto o norma, di origine divina o umana, esso ha una valenza universale, derivata dalla fede oppure da un’esigenza di uguaglianza e giustizia universalistica che nasce comunque e sempre dalla considerazione della persona umana – che mi sta vicina, che mi sta lontana – come specchio o altra forma di me stesso e quindi soggetto e oggetto di uguali diritti e doveri; una convinzione che ha una lunghissima storia, continuamente lacerata dai processi di inclusione/esclusione, ma rimasta continuamente viva, aperta, sempre pronta a richiedere la consapevolezza e l’impegno di tutti e in ogni angolo della terra.
Una convinzione che, come ricorda Paolo De Benedetti, riconosce oggi quattro tipi di prossimo: se stesso; l’altro; tutto il creato; Dio. Dunque questo prossimo porta le mie stesse sembianze, oppure è tutto il creato, dal sasso alla nuvola, con esso dobbiamo imparare o re-imparare a convivere in pace, in quel rapporto di berakà, di benedizione (o di francescana laudatio) che conduce alla custodia (non al dominio) e al rispetto dell’intero universo. E poi c’è Dio, nei cui confronti si gioca quel difficile e misterioso rapporto di “immagine e somiglianza”, da cui può derivare il comando dell’amore, ma non la capacità degli esseri umani di essere sempre all’altezza di questo amore, gli uni con gli altri.
SAGGI DI : Paolo Branca - Paolo De Benedetti - Pelio Fronzaroli - Marco Grazioli - Amos Luzzatto - Salvatore Natoli - Gianfranco Ravasi - Yann Redalié - Maria Teresa Spagnoletti - Piero Stefani.
Il tema scelto per questo volume è diventato acuto negli ultimi decenni, soprattutto a causa di due fattori: la crescente consapevolezza dei limiti del metodo storico-critico e la diffusione di letture fondamentaliste. I due fattori si innestano nell'assunzione di nuovi metodi di lettura che fanno riferimento alla narratologia, alla semiotica e alla retorica. Tali metodi non rendono obsoleto il metodo storico-critico. Ma l'interpretazione è atto complesso, come gli studi recenti sull'ermeneutica hanno messo in evidenza e già la cultura classica aveva rilevato. In quanto complesso, è atto "aperto" il cui scopo è di "aprire" il testo per fargli svelare la molteplicità di significati che racchiude. L'interpretazione della Scrittura però non può non rispettare il carattere di questo libro: da qui il limite del necessario metodo storico-critico. Se da esso non si può prescindere, esso non basta. Il suo carattere di attestazione della rivelazione comporta che si legga la Scrittura come "lettera" rivolta da Dio al popolo/Chiesa e quindi da accogliere nella fede. In queste pagine si cerca di offrire un contributo alla comprensione e alla soluzione del problema dell'interpretazione della Scrittura che è nato con la Scrittura stessa.
DESCRIZIONE: Questo libro è una pietra miliare nella moderna ricerca ebraica sul Nuovo Testamento e nella descrizione ebraica di Gesù di Nazaret. È decisamente superiore, con il suo argomentare stringente, alle pur non poche pubblicazioni apparse negli ultimi anni sul tema «Gesù ebreo». Flusser riporta quello che era diventato un «Gesù storico» astratto, inaccessibile, nella dimensione della storia reale, gli restituisce un volto storico concreto. E fa questo come ebreo: per lui Gesù è innanzitutto una figura della storia dell’ebraismo. Con ciò Flusser rende d’altra parte un servizio decisivo anche ai cristiani: mostra loro che la salvezza in cui essi credono non è solo il «messaggio» relativo a un avvenimento fuori dalla storia, cui non è possibile accedere. La verità cristiana dipende da questa verità storica e deve prenderne atto se non vuole ridursi a pia autosuggestione. Flusser rende un servizio anche al dialogo tra cristiani ed ebrei in quanto questo non deve essere soltanto un dialogo tra convinzioni diverse, ma può e deve procedere anche in una seria ricerca comune sul materiale storico. Un fine del dialogo deve essere anche trovare la verità storica su Gesù di Nazaret: soltanto questa può costituire un punto di partenza solido alla fede cristiana in Gesù il Cristo.
(dalla Prefazione di Martin Cunz)
COMMENTO: La riedizione del più importante libro ebreo su Gesù.
DESCRIZIONE: Il numero dei libri su san Paolo è incalcolabile, tuttavia pochi sono divenuti così noti come quello di Holzner, che ha avuto in Germania 25 edizioni ed è stato tradotto in 8 lingue. “Ne L’apostolo Paolo Holzner ci offre più che uno studio psicologico o un profilo della teologia paolina, anche più che un’agiografia nel senso tradizionale. La specificità di questo libro sta nell’accuratezza e maestria con cui egli delinea l’immagine dell’Apostolo delle Genti sullo sfondo del paesaggio dell’antichità, della grande e minore politica a lui contemporanea, soprattutto però su quello della storia della civiltà, della cultura e della religione della sua epoca, e in tal modo la fa comprendere sia nei suoi rapporti con le realtà anteriori che nel suo elemento di novità. Sotto la sua penna sorge un Paolo nel quale la connotazione di ‘santo’ in senso ufficiale non è affatto innata, come in tanti altri santi, un Paolo che, insignificante, anzi un po’ repulsivo all’esterno, pieno di ardore vulcanico all’interno, deve veramente ‘combattere’, ‘lottare’, ‘correre’ per raggiungere il trofeo della vittoria. Ed emerge un teologo per il quale il pensare teologico è passione bruciante e intima vita, e dal quale nulla è più lontano che trastullarsi da giocoliere con concetti astratti” (Karl Adam).
COMMENTO: Nell'anno di Paolo la più bella e la più classica biografia su di lui scritta in una nuova edizione.
DESCRIZIONE: Se volessimo rappresentare in un grafico gli echi e i temi biblici nella letteratura dall’Illuminismo al Decadentismo, ci accorgeremmo subito dell’impossibilità di tracciare una linea retta o abbastanza regolare, ma piuttosto dovremmo seguire una curva oscillante fra le depressioni delle stagioni di egemonia laica, nell’età giacobina e in quella positivistica, e le alture di risorgente religiosità, dal fervore romantico allo spiritualismo decadente, con i vertici toccati da Manzoni, in prosa e in versi, campione capace da solo di tener testa alla folta e valente schiera della parte avversa, da Foscolo a Carducci. L’irregolarità della linea è poi accentuata da autori che assumono una posizione aconfessionale, quando non polemica, ma che sono nutriti di letture scritturali e dialogano con l’agiografia.
Emerge in molti autori della seconda metà dell’Ottocento una perdurante forma mentis cristiana, con le debite conseguenze anche sul piano del linguaggio: prima di sposare una visione immanentistica, questi scrittori non escludono a priori la lettura e il dialogo con le Sacre Scritture. Una lettura della Bibbia i cui riflessi diversamente si scorgono nelle opere di Alfieri, Parini, Leopardi, Belli, Verga, Pascoli.
Tessere, queste, che potranno arricchire il mosaico delle riscritture del sacro che in questo libro presenta già una fisionomia tutt’altro che vaga o scontata.
COMMENTO: Da Alfieri a Pascoli, a Leopardi, a Manzoni, a Monti, a Verga un'analisi originalissima della presenza della Bibbia negli autori dell'Ottocento italiano.
PIETRO GIBELLINI insegna Letteratura italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Filologo e critico, ha curato vari classici italiani (fra cui l’edizione critica dell’Alcyone di D’Annunzio (Mondadori 1988); fra i suoi volumi critici ricordiamo Logos e mythos (Olschki 1985) e Il calamaio di Dioniso (Garzanti 2001). Per la Morcelliana ha pubblicato La parabola di Renzo e Lucia (1994) e ha diretto Il mito nella letteratura italiana (5 voll. 2003-2009).
NICOLA DI NINO collabora con i Dipartimenti di Italianistica di Ca’ Foscari e della Columbia University. Oltre a scrittori dell’Otto e del Novecento, ha studiato la letteratura romanesca, pubblicando il poema di Giuseppe Carletti, L’incendio di Tordinona (Il poligrafo 2005), la monografia Giuseppe Gioachino Belli poeta-linguista e il Glossario dei Sonetti di G.G. Belli e della letteratura romanesca (ivi 2008).
ontemporanei (da D’Annunzio a Montale, da Ungaretti a Calvino, Luzi, Pasolini...). Se in larga parte della cultura giudaica e poi cristiana è prevalso il moto verticale ascendente, uno sguardo levato verso l’Altissimo, l’Oltre, il Mistero insondabile, qui il moto sembra piuttosto discendente, teso a calare il divino nell’umano, a cercare il disvelamento del Dio nascosto dentro le pieghe dell’anima, a trovare il Cristo nel volto sofferente del prossimo. Si supplica il Dio misericordioso, più che il Dio giusto, perché guardi all’umanità, e più spesso si chiedono all’umanità sentimenti di misericordia e gesti di giustizia che vincano il fondo ferino dell’uomo, ne liberino la scintilla divina che possa riscattarci dalla disperazione, dall’insensatezza di un vivere puramente biologico, utilitario. Un moto verticale che s’incrocia con quello orizzontale della comprensione, della tolleranza, della carità.
COMMENTO: Da D’Annunzio a Montale, da Ungaretti a Calvino, Luzi, Pasolini fino agli scrittori dei giorni nostri, un'analisi originalissima della presenza della Bibbia negli autori del Novecento italiano.
PIETRO GIBELLINI insegna Letteratura italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Filologo e critico, ha curato vari classici italiani (fra cui l’edizione critica dell’Alcyone di D’Annunzio (Mondadori 1988); fra i suoi volumi critici ricordiamo Logos e mythos (Olschki 1985) e Il calamaio di Dioniso (Garzanti 2001). Per la Morcelliana ha pubblicato La parabola di Renzo e Lucia (1994) e ha diretto Il mito nella letteratura italiana (5 voll. 2003-2009).
NICOLA DI NINO collabora con i Dipartimenti di Italianistica di Ca’ Foscari e della Columbia University. Oltre a scrittori dell’Otto e del Novecento, ha studiato la letteratura romanesca, pubblicando il poema di Giuseppe Carletti, L’incendio di Tordinona (Il poligrafo 2005), la monografia Giuseppe Gioachino Belli poeta-linguista e il Glossario dei Sonetti di G.G. Belli e della letteratura romanesca (ivi 2008).
DESCRIZIONE: Génesis in greco, prima di indicare il racconto biblico della creazione, allude a ciò che diviene e il latino natura significa “quello che dovrà nascere”, in una visione dinamica della vita e dell’universo. E il nesso tra passato-presente-futuro di ogni racconto si coglie nell’ebraico toledot – storie, letteralmente “generazioni” – che implica un costante pensiero rivolto a coloro che verranno. Ogni narrazione delle origini è un discorso di “natura”, proprio per la natura proiettiva del discorso. Fino a Galileo – alla sua condanna – e a Darwin, libro della Natura e libro della Scrittura dovevano, potevano coincidere. Poi i due libri divergeranno sempre più, fino al 1859, quando esce L’origine delle specie di Darwin. Ne derivò il cosiddetto “conflitto epistemologico” che oppone sino ad oggi scienza e fede, scienza e Bibbia. Eppure il rapporto tra Bibbia e scienza non può più porsi in questi termini: come infatti vi è una scienza della natura che procede secondo i propri canoni, per quanto complessi e riformabili, così vi è una scienza esegetica che ha ormai alle spalle una lunga storia, ben diversa dal letteralismo interpretativo, il quale dimentica, come già diceva Maimonide, che la Genesi non insegna come Dio ha creato il mondo, ma come dal mondo si va a Dio.
COMMENTO: Che rapporto c'è tra Bibbia a scienza? Che cosa dicono sul piano cosmologico le pagine bibliche rispetto alla ricerca scientifica sulle origini e la costituzione dell'universo? A queste domande cercano di rispondere alcuni dei maggiori specialisti, tra esegesi biblica e prospettive scientifiche.
SAGGI DI : Paolo De Benedetti - Stefano Ferluga - Giulio Giorello - Pietro Greco - Amos Luzzatto - Giuliano Pancaldi - Alberto Piazza - Gian Luigi Prato - Pietro Redondi - Piero Stefani.
BIBLIA, Associazione laica di cultura biblica, da più di vent'anni si propone un compito di alta divulgazione e conoscenza biblica.
L'aggettivo "laico" che figura nella sua titolazione allude alla dimensione accogliente dell'Associazione, di cui fanno ugualmente parte cristiani di ogni confessione, ebrei e agnostici, purché interessati al dialogo, allo studio dei testi criticamente e scientificamente fondato.
Per questo da sempre articola la sua azione in seminari, convegni, viaggi di studio, che si tengono in ogni parte d'Italia e all'estero, cui sono invitati a partecipare i maggiori specialisti italiani e stranieri.
Per dare maggiore visibilità e diffusione al suo lavoro, alla ricchezza dei materiali raccolti, l'Associazione ha deciso di avviare la pubblicazione di: I libri di Biblia/Studi e I Libri di Biblia/Testi.
Nella prima serie si presentano i risultati più significativi dei convegni annuali; nella seconda si pubblicano libri anticotestamentari, neotestamentari, deuterocanonici, apocrifi, accompagnati da un saggio introduttivo e da un'appendice storico-critica.
DESCRIZIONE: Il libro della Sapienza è il prodotto letterario più recente dell’Antico Testamento. Gli ebrei della diaspora che parlavano greco l’hanno letto con piacere, così come hanno fatto anche con altri libri deuterocanonici. Da loro la Chiesa cristiana l’ha recepito inserendolo nel proprio canone. Nelle Chiese protestanti non fa parte dei libri canonici, ma di quelli apocrifi.
La natura della «sapienza» anticotestamentaria, che ha dato il nome al nostro libro ma anche a un vasto blocco letterario (letteratura sapienziale), si può descrivere all’incirca in questo modo: madre e maestra di tutte le arti, scienze e virtù; figlia di Dio, salvatrice del mondo, colei che accompagna nella vita, che aiuta e sostiene nelle difficoltà, fondamento della religione. Spesso è caratterizzata come persona («la signora sapienza»).
La ricerca recente si è applicata a chiarire i numerosi enigmi che il libro solleva, dato che la sua retorica filosofica, spesso oscurata dall’ambiguità, e la qualità allusiva di molti dei suoi riferimenti rendono difficile determinare il suo significato preciso. Tra i problemi principali affrontati si segnalano: l’unità di autore e di composizione del libro che, pure accolta dal quasi unanime consenso, sulla base soprattutto dell’analisi della struttura letteraria, trova ancora talune contestazioni; il genere letterario, che ha visto anzitutto la proposta, accolta anche dal presente commentario, di collegare l’opera alla tradizione del discorso protrettico.
Il presente commento si innesta bene in questo dibattito offrendo un contributo peculiare. Qui l’Autore mette a disposizione di un più largo pubblico i risultati della sua rigorosa ricerca, senza indugiare su questioni tecniche che potrebbero dissuadere il lettore non specialista; nello stesso tempo la linearità della presentazione e la sicura padronanza delle tematiche successivamente proposte dall’opera consentono di cogliere il messaggio che resta perennemente valido.
COMMENTO: Una nuova traduzione con commento al libro della Sapienza, uno dei volumi più controversi dell'Antico Testamento, perché incrocio tra cultura ebraica e filosofia greca.
ARMIN SCHMITT (1934-2006) è stato ordinario di Teologia biblica ed Esegesi dell’Antico Testamento all’Università di Regensburg e tra i maggiori studiosi del Libro della Sapienza. In suo onore è stata fondata a Bibburg la «Armin Schmitt Stiftung für biblische Textforschung». Tra le sue opere: Prophetischer Gottesbescheid in Mari und Israel: eine Strukturuntersuchung (Kohlhammer, Stuttgart 1982); Das Buch der Weisheit: ein Kommentar (Echter, Würzburg 1986); Wende des Lebens. Untersuchungen zu einem Situations-Motiv der Bibel (Walter de Gruyter, Berlin-New York 1996); Der Gegenwart verpflichtet. Studien zur biblischen Literatur des Frühjudentums (Walter de Gruyter, Berlin-New York 2000).
DESCRIZIONE: Come proporre una lettura dell’Apocalisse di Giovanni, oltre la sua superficie letteraria di testo di rivelazione? Il tentativo di questo libro di coglierne il senso più profondo di resoconto autobiografico di un’esperienza visionaria, costruita e descritta secondo schemi e modelli letterari ben precisi, trasforma fisicamente Giovanni in profeta, e lo investe dello status e dei poteri riconosciuti a un profeta.
Ciò che Giovanni ha creduto di vedere, la sua interazione con le figure che gli sono apparse, sono espressi nel testo, nel suo linguaggio, nella sua retorica, nelle sue interpretazioni, e non sono altrimenti raggiungibili. Affrontare la relazione di un’esperienza visionaria complessa significa affrontare insieme a un processo rituale un progetto retorico, di trasformazione della realtà. Un processo che investe direttamente la rappresentazione di Gesù di Nazareth.
L’esperienza di Giovanni è interpretata come contatto e comunicazione con Gesù di Nazareth: quest’irruzione della presenza del Maestro, nel farsi corpo e poi testo, recupera formule e parole che le tradizioni conosciute da Giovanni a lui attribuivano, e ne “vede” i gruppi di seguaci riprodurne il destino di Messia-profeta escatologico perseguitato, ucciso e rapito in cielo.
La memoria del Nazareno è così attualizzata nel suo ruolo di guida sperimentato nell’autorità divina del testo e nella leadership incarnata e reclamata da Giovanni, mentre l’identità dei suoi seguaci è ridefinita proprio alla luce della sequela del Maestro.
COMMENTO: La recezione della figura di Gesù nell'Apocalisse di Giovanni in un'analisi che ne evidenzia lo spirito, la memoria e le profezie.
DANIELE TRIPALDI svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale dell’Università di Bologna. Si occupa principalmente di storia delle origini cristiane e Gnosticismo, con interesse particolare per gli scritti di rivelazione. È membro del comitato di redazione di «Adamantius».
Tra le sue pubblicazioni: La porta del cielo. Forme e contesti di trasmissione di una parola extra-canonica di Gesù tra Ps.-Ippolito, Ref. 5, 8, 21, e Afraate, Dem. 4, 5 (in collaborazione con E. Stori), in: «Adamantius» 15 (2009); La trasmissione delle parole di Gesù. Scandalo e prova, perseveranza e salvezza: appunti di una ricerca in corso (in collaborazione con E. De Luca, M. Rescio, E. Stori, L. Walt) in: ASE 25/2 (2008); Per una definizione del genere letterario dell’Apocalisse di Giovanni: appunti sul testo in: ASE 25/2 (2008); Il genere letterario dell’Apocalisse di Giovanni: introduzione allo stato della ricerca in: «Adamantius» 14 (2008).
Viene spontanea la domanda perché mai dedicare energie allo studio di una traduzione della Bibbia, quella greca, se abbiamo l’originale ebraico. In effetti, la Bibbia dei Settanta, spesso oggi chiamata semplicemente la Settanta, non è che la Bibbia tradotta in greco a partire dal III sec. a.C. e in uso presso tutti quegli ebrei stabilitisi nel mondo occidentale che ormai non conoscevano più l’ebraico: sembra, dunque, una delle tante traduzioni, sia pure la più antica.
In realtà, le cose non stanno proprio così: fra il testo ebraico trasmesso dalla tradizione manoscritta medievale e il testo greco ci sono differenze che hanno resistito a ogni sforzo di essere spiegate come derivanti da libertà o ignoranza dei traduttori. È cosa nota fin da quando Agostino e Girolamo discutevano se era meglio correggere i malandati testi latini allora correnti sulla base del testo ebraico (Girolamo) o di quello greco (Agostino). Girolamo la spuntò introducendo il concetto apparentemente ovvio di Hebraica Veritas contro Agostino che insisteva sul fatto che la Bibbia greca era la Bibbia delle chiese cristiane.
Documenti ebraici che l’archeologia ha portato alla luce recentemente – i manoscritti di Qumran – ci hanno fatto toccare con mano che esistevano, sia pure poco numerosi, testi ebraici sicuramente precristiani che erano il modello da cui fu fatta la traduzione greca. Ormai la Settanta non interessa perché era una traduzione, oltre a tutto molto libera, dell’originale ebraico, ma perché è il testimone di un testo ebraico scomparso dalla tradizione ebraica e diverso da quello trasmesso come il testo ebraico.
Così la Settanta ci porta dall’ambiente cristiano ed ebraico alessandrino dentro il cuore della cultura ebraica precristiana. Quale ambiente palestinese tramandava una Scrittura diversa da quella diventata canonica? Mentre si moltiplicano, a partire dalle scoperte di Qumran (circa la metà del XX secolo), gli studi sulla letteratura ebraica apocrifa, parallela a quella diventata canonica, adesso un nuovo testo letterario si aggiunge a sollecitare i nostri interessi: gli ebrei avevano più di una Bibbia e i cristiani dei primi secoli fecero loro la Bibbia diversa da quella trasmessa dagli ebrei. Gli autori stessi del Nuovo Testamento conobbero, oltre al testo ebraico canonico, anche quello della Settanta.
Natalio Fernández Marcos con grande chiarezza traccia il quadro attuale della ricerca e apre lo sguardo su prospettive che toccano la nostra stessa cultura cristiana di oggi. Non resta che sperare che si possa leggere anche in italiano la Bibbia greca, che in ogni caso è la Bibbia delle chiese ortodosse.
(Paolo Sacchi)
COMMENTO: Una limpida introduzione su come si sia affermata la celebre Bibbia dei Settanta (Septuaginta), ovvero la prima traduzione in greco della Bibbia ebraica.
NATALIO FERNANDEZ MARCOS specialista di Filologia biblica, è uno dei maggiori esperti della Bibbia greca e del giudaismo ellenistico. Dirige, insieme a M.V. Spottorno Díaz-Caro, la traduzione spagnola della Septuaginta (Sigueme, Salamanca); già pubblicato il I vol., Pentateuco, in corso di stampa il II vol., Libri storici. In italiano: La Bibbia dei Settanta. Introduzione alle versioni greche della Bibbia (Paideia, Brescia 2000).