
Dio si presenta alle porte del Paradiso e vede due file: una sterminata, con migliaia di uomini, e una composta da un solo uomo. Allora domanda a quelli della fila enorme: «Chi siete voi?» «Siamo gli uomini che per tutta la vita si sono fatti comandare a bacchetta dalle mogli». Poi si gira verso l’altra fila: «E tu cosa ci fai lì?» «E che ne so?, è mia moglie che mi ha detto di mettermi qui!» Non sono un atleta. Ho cattivi riflessi. Una volta sono stato investito da un’auto spinta da due tizi. Non c’è niente di più serio dell’umorismo. Soprattutto di quello ebraico, al cui immenso patrimonio Woody Allen, come molti altri comici, deve la sua comicità caustica e rivelatrice. Nessuno viene risparmiato – nemmeno se stessi – in questa raccolta di storielle tratta dall’imprescindibile Bibbia dell’umorismo ebraico del rabbino e filosofo francese Ouaknin, il sancta sanctorum che custodisce quel graffiante e inconfondibile humour, e presentata ora da Moni Ovadia: madri, mariti, mogli, figli, rabbini, spacconi, insolenti, ruffiani, medici, pazienti, psicanalisti e idioti. Un villaggio universale dove ciascuno non farà fatica a riconoscere qualcun altro – purché non ci sia uno specchio... Senza tralasciare il principale protagonista dell’umorismo ebraico: Dio in persona, ovviamente. Perché come tutti sanno, da Abramo a Woody, l’ebreo ride con Dio o contro Dio, ma mai senza Dio. Caustiche, ironiche, tenere, tragiche, indulgenti, lucide, paradossali, e terribilmente comiche, queste storielle e battute yiddish sono uno scandaglio dell’animo umano, di cui portano a galla con un guizzo le verità deposte sul fondo, per alleggerirlo. Perché se in ebraico la malattia è definita come pesantezza dell’essere e la salute come leggerezza, la cura è innanzitutto una: ridere. «Ho dodici anni. Vado alla sinagoga. Chiedo al rabbino qual è il significato della vita. Lui mi dice qual è il significato della vita, ma me lo dice in ebraico. Io non lo capisco, l’ebraico. Lui chiede seicento dollari per darmi lezioni di ebraico». Woody Allen
"Da molti anni - in realtà da tutta la vita - mi occupo dei Vangeli. Ma quello che devo dire subito è che i Vangeli non hanno ancora smesso di stupirmi. E non perché vi trovi sempre cose nuove, ma perché vi trovo sempre cose belle, non importa se ripetute. Mi è sempre piaciuta una figura che nei presepi di una volta non mancava mai. Era la figura di un piccolo uomo con la mano alla fronte a modo di visiera, che guarda meravigliato la grotta dove è deposto il Bambino. Mi pare che questa sia la figura del vero cristiano: tutto incantato, quasi immobile, di fronte allo spettacolo di un Dio che si fa bambino per rivelare la profondità del suo essere uomo e, al tempo stesso, l'imprevedibile novità del suo essere divino." Le parole di Bruno Maggioni sono la più efficace introduzione a questo libro, che ci restituisce la novità del messaggio cristiano. In Gesù - nelle sue parole, nei suoi gesti - si rivela un volto di Dio sorprendentemente moderno e universale, capace di provocare e coinvolgere anche l'osservatore più distaccato e lontano.
Come fu letto il Vangelo di Matteo dagli "hoi exo" - "quelli di fuori", come li chiamavano le comunità cristiane -, greci per nascita e per cultura, che lo scoprirono nella loro lingua comune, la koiné, così chiara e naturale, nonostante il sostrato aramaico ipotizzato dagli studiosi? Ce ne fornisce un'idea la traduzione di Enzo Mandruzzato, che aderendo con assoluta fedeltà al testo greco di Matteo ne fa risaltare la purezza remota, la ruvidezza e arcaicità. Per la sua notevole diversità rispetto alle versioni canoniche, essa può sconcertare e suscitare anche obiezioni di carattere filologico, ma ha indubbiamente il merito di consentire al lettore di avvicinarsi, come per la prima volta, all'archetipo testuale del "buon messaggio" - nel quale Cristo è ancora "l'Unto", la Chiesa "comunità", il battesimo "immersione" -, di riscoprire il senso e la sonorità originari delle parole che una millenaria stratificazione di traduzioni ha arricchito di profondi significati teologici, ma ha privato nel contempo della loro freschezza sorgiva. Nell'apparato di note che completa il volume, il curatore chiarisce le scelte linguistiche del suo lavoro e fornisce, insieme a informazioni sul contesto storico-geografico, i riferimenti veterotestamentari necessari alla comprensione di quella che può essere considerata come la prima grande sistemazione narrativa, operata da Matteo sulla scorta di Marco, delle sparse testimonianze orali e scritte della vita di Gesù.
La lectio divina è una «lettura spirituale», una «lettura orante» della Parola di Dio, che vuole «riaprire all'uomo l'accesso al Dio che parla nella Bibbia e ci comunica il suo amore perché abbiamo la vita in abbondanza» (Verbum Domini 2). È una pratica antica, che affonda le sue radici nella tradizione monastica. Come può essere però compatibile con le esigenze dell'esegesi moderna e dell'attuale vita cristiana? Dom Bernardo Olivera, già abate generale dell'Ordine dei Cistercensi, la ripropone in questo piccolo ma appassionato libro non come un metodo scientifico, ma come uno strumento che lui stesso ha appreso dall'esperienza e affinato nel corso del tempo: una lettura delle Scritture che mira non all'informazione ma alla formazione, non alla conoscenza ma alla libertà della persona e alla sua trasformazione. Dom Bernardo ci guida in una profonda e coinvolgente immersione nella Parola rivelata così com'è stata compresa dalla tradizione: da essa il lettore ritornerà al presente arricchito della sapienza del passato e saprà orientare al meglio il proprio futuro.
Gli scritti che compongono questo libro parlano di costruttori, cantieri, personaggi ed episodi a volte citati solo di sfuggita nella Bibbia, ma in seguito illuminati dalle interpretazioni del Talmud, dall'esegesi dei Padri della Chiesa, dagli studi dei teologi o dalle visionarie raffigurazioni degli artisti. Si affacciano così dalle pagine della Scrittura Besalèl, il costruttore dell'arca dell'Alleanza, prediletto dal Signore e antenato di Gesù; Sheerah, la bisnipote del patriarca Giacobbe, unica donna ad aver mai costruito, secondo la Bibbia, una città; i muratori della torre di Babele e gli scalpellini di re Salomone. E anche i mattoni con cui furono costruite le città del faraone, i legni che rivestirono il tempio di Gerusalemme e il legno impiegato per la croce di Cristo; i cantieri dei falegnami di Nazareth e quello della più antica chiesa del mondo. Da questi racconti emergono, spesso intrecciati tra loro, la potenza spirituale del simbolo e il filo concreto della storia.
Con questo Frédéric Manns - considerato uno dei maggiori esperti del Nuovo Testamento e del Giudaismo - non si propone di scrivere una biografia di Gesù in senso «storico-critico»; il suo scopo, piuttosto, è di ricollocare i Vangeli nel loro contesto originale. Sottolineare l'ebraicità di Gesù (Yehoshuà') può sembrare superfluo a qualcuno, ma molti cristiani sembrano ancora ignorare questo dato di fatto e restano così culturalmente estranei alle proprie radici. Yehoshuà nasce nella Palestina controllata dai romani. La sua predicazione si svolge in un periodo in cui Israele, che pure subisce il fascino della civiltà ellenistica, è agitato da sussulti messianici: nella società dell'epoca è particolarmente diffusa, a tutti i livelli, la speranza di un intervento divino che liberi il paese dalla dominazione straniera. Di fronte alle opere e alle parole del giovane maestro nazareno, gli ebrei reagiscono talvolta con entusiasmo, talaltra con scetticismo. È un profeta? È il messia? O è semplicemente uno dei tanti impostori ed esaltati che si manifestano in quel tempo di tensione politica e spirituale? Con un ritmo incalzante, il racconto di padre Manns rievoca la vita di Gesù sullo sfondo dei riti, delle speranze e delle delusioni degli ebrei del I secolo, senza trascurare i dubbi dei discepoli, l'ambiguità dei saggi, e la crescente diffidenza delle autorità nei confronti del rabbi galileo, fino al dramma del suo arresto e della sua crocifissione.
L'Evangelo, cioè la «buona novella», non comincia con il Nuovo Testamento, ma con Genesi, il primo libro della Bibbia: la creazione è la «buona notizia» iniziale, con cui prende avvio la storia dell'umanità. Questa è la premessa da cui parte Paolo Ricca nel condurre la riflessione contenuta in questo volume. Nel suo percorso tra Antico e Nuovo Testamento, a rivelarsi è il rapporto tra Dio e tutto ciò che esiste, fra Dio e l'uomo e tra l'uomo e le altre creature; è il valore unico, insostituibile della vita; è la contemplazione del creato e delle sue meraviglie; è lo stupore davanti al miracolo sempre nuovo della vita che si rinnova e alla fecondità inesauribile della madre terra, che fedelmente fa germogliare e nutre semi e piante; è la libertà che Dio ha voluto per tutte le creature. Riferimento imprescindibile per ogni generazione e fonte di una sapienza profonda a cui bisogna saper attingere, la Bibbia non soltanto illumina la storia e l'identità millenaria dell'umanità, ma può animare e sostanziare il rapporto dell'uomo con il presente e il futuro, fornendo spunti di riflessione per quelli che sono gli interrogativi esistenziali più urgenti.
"Ha detto Bousset che non si conosce veramente e utilmente Dio, se non attraverso Gesù, la cui viva presenza conta a tal punto che, se la togliessimo, ne resterebbe modificato tutto il concetto del mondo. Perché egli è un elemento permanente della nostra organizzazione spirituale. In lui il mondo ha trovato la sua luce: la Luce che illumina la stessa Bellezza di Atene, purifica la Forza di Roma. E qui siamo, naturalmente, alla Vita di Gesù. Non suggeriremo i criteri con cui andrebbe scritta: e poi, ciascuno ne ha dei suoi personali. Qui si dice solo che, per scrivere la vita di Gesù, bisognerebbe prima avere molto amato e molto camminato, per giungere, freschi, alla sua raggiante presenza. Poi si aggiunge che, più la narrazione aderirà al racconto evangelico - dove quella sua vita si inventa ogni giorno - e più sarà lirica: e più avremo un Gesù vivo. Bisogna persuadersi che chi voglia ricostruire una "vita di Gesù" nulla ha da aggiungere ai Vangeli: tutto l'incanto è già lì, e tutta la pienezza. O, se qualcosa proprio si vuol aggiungere, ecco, innamoriamo la fantasia del fanciullo nel Quinto Evangelo che è la Terra Santa: il suo paese. Naturalmente in una "vita" scritta per fanciulli, dovrà aver vivo spicco l'aspetto particolarissimo di Gesù amico dei fanciulli, che spesso li chiama volentieri a Sé e li abbraccia." (Da una lettera di Ada Negri a Cesare Angelini) Età di lettura: da 8 anni.
Come fu letto il Vangelo di Matteo dagli "hoi exo" - "quelli di fuori", come li chiamavano le comunità cristiane -, greci per nascita e per cultura, che lo scoprirono nella loro lingua comune, la koiné, così chiara e naturale, nonostante il sostrato aramaico ipotizzato dagli studiosi? Ce ne fornisce un'idea la traduzione di Enzo Mandruzzato, che aderendo con assoluta fedeltà al testo greco di Matteo ne fa risaltare la purezza remota, la ruvidezza e arcaicità. Per la sua notevole diversità rispetto alle versioni canoniche, essa può sconcertare e suscitare anche obiezioni di carattere filologico, ma ha indubbiamente il merito di consentire al lettore di avvicinarsi, come per la prima volta, all'archetipo testuale del "buon messaggio" - nel quale Cristo è ancora "l'Unto", la Chiesa "comunità", il battesimo "immersione" -, di riscoprire il senso e la sonorità originari delle parole che una millenaria stratificazione di traduzioni ha arricchito di profondi significati teologici, ma ha privato nel contempo della loro freschezza sorgiva. Nell'apparato di note che completa il volume, il curatore chiarisce le scelte linguistiche del suo lavoro e fornisce, insieme a informazioni sul contesto storico-geografico, i riferimenti veterotestamentari necessari alla comprensione di quella che può essere considerata come la prima grande sistemazione narrativa, operata da Matteo sulla scorta di Marco, delle sparse testimonianze orali e scritte della vita di Gesù. Con un testo di Boghos Levon Zekiyan.
I Salmi sono la più celebre raccolta di preghiere dell'Antico Testamento e sono anche bellissime poesie nate per essere recitate e cantate. Non è dunque forse un caso che proprio su di essi si sia concentrata l'attenzione di un grande scrittore come C. S. Lewis - autore di fantasy e fantascienza, medievista e apologeta cristiano - che mette al servizio del lettore la sua sensibilità e la sua cultura per indagarli in profondità, per cercare di coglierne il contesto originario e il senso autentico. Non si tratta, però, di uno studio accademico. Come osserva Jonah Lynch nella sua prefazione, "Lewis usa un tono confidenziale e cortese, umile e simpatico. Non si presenta come un esperto: ed è questo, probabilmente, il punto di forza maggiore. Ci sono già molte opere colte di commento ai Salmi, dalle angolature più svariate. Ma come Lewis stesso scrive in apertura, non di rado capita che uno studente sia più abile del professore nello spiegare un problema a un altro principiante". Parlando così, "da dilettante a dilettante", Lewis costruisce una narrazione che affronta con chiarezza ed efficacia i grandi temi della fede, della giustizia, del giudizio, della morte, del bene e del male, restituendo alle parole di queste liriche tanto lontane nel tempo la vivezza e la freschezza originarie.
Gianluca Attanasio dà in questo volume una lettura minuziosa e profonda del Vangelo di Giovanni, che permette al lettore di immedesimarsi con la vita di Gesù e dei suoi discepoli. Ci aiuta così a scoprire la profondità di un testo ricchissimo, che rimanda sempre alla vicenda che lo ha fatto nascere e lo definisce: l'incontro con Gesù, il Figlio di Dio. Massimo Camisasca, in una lunga introduzione, rivela le scene del Vangelo che più hanno segnato il suo cuore. "Nella mia vita - scrive - ho letto molti libri, ho conosciuto tanti autori. Nessun testo però ha avuto per me l'importanza del Vangelo di san Giovanni. In nessuno ho trovato una simile penetrazione dell'esperienza dell'amore e del dolore, e soprattutto una così abissale conoscenza di Dio e dell'uomo."