
“E dopo sei giorni Gesù gli disse cosa fare e a sera il giovane andò da lui, indossando un panno di lino sul corpo nudo. E rimase con lui quella notte, in quanto Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E perciò, sollevatosi, ritornò dall’altro lato del Giordano.”
Dalla Lettera di Mar Saba
La risurrezione dei morti è conciliabile con l'idea dell'immortalità dell'anima? E la speranza coraggiosa e lieta che anima l'una con la serena attesa filosofica propria dell'altra? Non lo è per Oscar Cullmann, secondo cui l'errore consiste proprio nell'attribuire al cristianesimo primitivo la credenza greca nell'immortalità dell'anima. Se è innegabile che il cristianesimo successivo abbia stabilito più tardi un legame tra le due credenze, bisogna tuttavia riconoscere che proprio quanto distingue la speranza cristiana dalla credenza greca è il centro stesso della fede del cristianesimo primitivo. In questo discusso e dibattuto saggio, Cullmann risponde alle accuse dei suoi detrattori e illustra come tra le due credenze esista una differenza che, nonostante i punti d'incontro, è e resta radicale.
FARANNO DUNQUE UN'ARCA DI LEGNO DI ACACIA
L'ARCA DELL'ALLEANZA: UNA STORIA TRA FEDE E MISTERO
La narrazione del libro ci porta lontano, nell' Antico Testamento, all'alba del rapporto fra l'uomo e Dio. È sempre Dio cercare l'uomo, a desiderare un incontro diretto personale con lui. È Dio che parla per primo, senza aspettare che l'uomo preghi, si confidi o chieda. Dio comunica la sua volontà, premia e punisce, richiede fedeltà : rimprovera il tradimento. Un rapporto forte e spesso difficile: l'uomo deve fare conti con un Dio esigente e severo, che ama ma non perdona. La legge che regola questo rapporto è talmente preziosa che, per volontà di Dio, è custodita in un contenitore altrettanto prezioso, l'Arca dell' Alleanza, che accompagna cammino del suo popolo eletto in un viaggio interminable verso la terra promessa.
Ma l'Arca dell'alleanza è andata perduta. Esiste ancora? Dove si trova? Nel corso dei secoli molte sono state piste di ricerca su un possibile collocamento, con tante ipotesi ma nessuna certezza. Questo libro spazia tra ambiti religiosi, sociali, storici, scientifici e artistici nel cercare di di portare chiarezza sul misterioso simbolo della cultura religiosa ebraica. Si tratta di un libro che attraversa tempo e spazio, ripercorrendo la strada del tenace e faticoso viaggio degli Israeliti verso la fede, iniziato proprio con la costruzione dell'Arca.
"Non suscita alcuno scandalo l'idea che Gesù possa amare un suo discepolo in termini preferenziali, laddove tale termine non indichi affatto l'esclusività di un determinato discepolo, bensì una sua peculiare singolarità recettiva in ordine all'essere amato, di per sè prerogativa comune ad ogni discepolo. Gesù ama questo discepolo in una maniera singolare, nota anche agli altri discepoli, proprio per il carattere estremamente donale della sua risposta psicologico-affettiva all'acquisizione dell'essere-amato. L'amore diviene in lui uno spirituale movimento che produce nella soggettività del Maestro un costante reinvestimento moroso in quel suo discepolo così prono alla reattività donale rispetto all'amore ricevuto. L'amalgama del simbolismo ermeneutico è incapace di raggiungere la profondità di questa singolarità relazionale, poiché esso ottiene quale frutto della propria indagine unicamente una prospettiva comune a tutti i discepoli che seguono Gesù, compresi coloro che sono succeduti che ancora succedono alla storicità dell'evento della venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, cioè anche noi".
La migrazione geografica e teologica del profeta di Tisbe analizzata da un punto di vista teologico e con il contributo dell'osservazione narratologica.
Perché Giuda consegna Gesù al Sinedrio dopo averlo seguito per tre anni? Uno degli interrogativi più appassionanti del Nuovo Testamento è al cuore di questo romanzo che racconta le vicende di Gesù dal punto di vista e con la voce dell'apostolo il cui nome è diventato sinonimo di tradimento e falsità. La storia parte da Giovanni il Battista, di cui Giuda è discepolo. Unico apostolo giudeo (tutti gli altri sono galilei), è anche il solo ad aver studiato e a non essere stato «chiamato» (almeno inizialmente): per tutta la vita Giuda non ha fatto altro che aspettare il Messia per mettersi al suo servizio. Di falsi profeti ne ha incontrati tanti, ma Gesù sembra quello autentico. Giuda, così, lo segue con un entusiasmo che però, via via, va scemando: ai suoi occhi Gesù non si comporta come il Messia sperato, anche se compie miracoli inauditi. Giuda è spiazzato da ciò che vede e sente intorno a sé. Osserva, rimugina, tentenna, è diviso tra ansie e incertezze, dubbi e tormenti, tanto comprensibili in un uomo quanto inammissibili in uno in cui Gesù ha riposto una fiducia così grande. "Il mio nome è Giuda" fa dimenticare il rigore documentale che ne è alla base, catturando il lettore con una ricostruzione storica e psicologica moderna e ricca di sfumature.
Composta sul finire del I secolo, l'Apocalisse di Giovanni è il testo che chiude il Nuovo Testamento. I suoi ventidue capitoli, con la loro ricchezza di visioni travolgenti, ricoprono un ruolo chiave nella tradizione occidentale e hanno trovato spazio anche in contesti non strettamente religiosi, dove, ad esempio, i quattro cavalieri, i sigilli e Babilonia la Grande sono ben conosciuti. Tuttavia l'Apocalisse resta il testo biblico più criptico. I numeri, i simboli e le figure divine e diaboliche che si susseguono rendono i settenari di cui è composta tanto sorprendenti quanto enigmatici per il lettore, in particolar modo se li esplora per la prima volta. Per questo motivo, la puntuale analisi di padre Giacobbe Elia qui proposta rappresenta una guida essenziale per orientarsi fra i versetti del libro giovanneo. Introdotta da un necessario inquadramento storico e teologico, l'analisi procede capitolo per capitolo, soffermandosi su ogni simbolo, numero e immagine che si presenta davanti agli occhi di Giovanni. Non mancando di evidenziare i rimandi e i collegamenti esistenti con gli altri testi biblici, padre Giacobbe costruisce un percorso che culmina con lo svelamento del significato ultimo di questa opera straordinaria: il senso della storia per il fedele cristiano. Rileggere l'Apocalisse è far vibrare le sue parole e le sue immagini ancora una volta, per rimarcare il fatto che, al di là dell'apparenza cupa del racconto apocalittico, questo libro è un antidoto contro l'inazione e l'assenza di speranza propria dei tempi moderni.
Chi ha la fortuna di avventurarsi in queste pagine, profonde per il loro contenuto ma anche belle per il loro stilo letterario, troverà un'opera originale di grande saggezza spirituale. Fratel MichaelDavide ci offre il regalo di condividere la sua grande cultura biblica, la sua esperienza monastica e la sua abitudine a leggere la Parola di Dio come preghiera e ricerca di una nuova parola. Si inserisce con profondità e competenza nella ricerca ermeneutica e esegetica, ma al tempo stesso, recupera la lettura biblica fatta dagli antichi padri della Chiesa. "L'autore commenta ogni versetto del libro di Rut facendo del testo una sorta di mappa dell'alterità che permette di identificare, riconoscere e accettare cordialmente l'altro come dono e non come minaccia. Nessuno può frenare il vento o attenuare lo Spirito. Oggi il dialogo tra le culture e la comunione tra le religioni è un segno del cammino dello Spirito, lo stesso cammino simbolico che le comunità bibliche raccontano con Noemi e Rut. Questo libro è una vera parabola di amore" (dall'Introduzione di Marcelo Barros).
Le virtù di San Paolo sono le stesse di un atleta: coraggio, perseveranza, lotta senza tregua, intensità, capacità di concentrazione, forza di volontà, dedizione e spirito di squadra. Lancia una provocazione a darsi continuamente una meta, uscire dalla routine del quotidiano, dall'abitudine, dalla mediocrità della vita. San Paolo conosceva molto bene il mondo sportivo del suo tempo. Nei suoi testi sono molto frequenti immagini, metafore, idee tratte dalla pratica olimpica del suo tempo. E proprio dalle "lezioni sportive" di San Paolo prendono spunto queste pagine. Egli ci invita a lottare, ad avere coraggio, a metterci in gioco e, ancora oggi, continua a farci inciampare nelle sue "parole", a toglierci il terreno sotto i piedi, a rimettere tutto in discussione, a non farci dormire sonni tranquilli. Questo volume è destinato a tutti gli educatori - soprattutto allenatori - affinché essi possano riscoprire e vivere in prima persona le virtù sportive dentro e fuori il campo di gioco.
La Bibbia, come si sa, è una collezione di libri: settantadue, per l'esattezza. Di fatto il loro numero rimane imprecisato poiché molti di essi includono scritti di autori che non hanno lasciato il loro nome. Si tratta di testi molto particolari: vantano un'origine divina, sono cioè "ispirati". Chi ha scritto è stato mosso e assistito da Dio stesso e, dunque, ogni testo ha paradossalmente due "autori", uno evidentemente subordinato all'altro. In virtù di questa singolare origine la Bibbia ha sempre goduto di un'indiscussa autorità presso qualsiasi credente. Tutto quello che essa dice è da ritenersi sicuro, garantito, vero. Eppure anche la Bibbia è nata in un mondo reale. E se quel mondo era sepolto dalla sabbia e dai detriti bisognava riportarlo alla luce, riscoprirlo, esaminarlo, studiarlo. La Bibbia non era un hortus conclusus, un prodotto a se stante, un'oasi nella letteratura antica, bensì un libro con tutti i pregi, ma anche con alcuni o molti "difetti", alla pari degli altri. Nonostante fosse stato "scritto" da Dio, possedeva tratti che erano solo umani, meglio ebraici e orientali. Il presente volume ha un titolo volutamente provocatorio perché mira a sfatare un equivoco fondamentale nella generale considerazione del testo sacro, quello di identificarlo con la parola di Dio in assoluto. Per il credente la portata del libro biblico è inequivocabile, ma si tratta di sapere dove sia la sua originalità e nello stesso tempo stabilire dove siano le sue carenze, i suoi limiti, le sue lacune.
Le Beatitudini sono l’attestazione che la realtà, così come essa è, può diventare un luogo e un modo di felicità. Sono la sfida in base alla quale si può credere che non c’è niente altro che possa rendere felici se non quello che si è e ciò che la vita ci permette di essere. Le Beatitudini sono la negazione assoluta di ogni spiritualità narcisistica e prometeica, l’antidoto divino ad ogni spiritualità da maratoneti, da superuomini o supersanti.
Le beatitudini sono una scuola di felicità. Ciò che nella tradizione antica è appannaggio esclusivo degli dei, attraverso lo sguardo di Gesù viene condiviso con tutti gli uomini che sanno vivere in modo nuovo.
Il problema è che, sospinti da stimoli e sollecitazioni, ciascuno cerca di cambiare il proprio stato di vita e le situazioni in cui vive in qualcosa di diverso. Invece, le beatitudini invitano ad accogliere quello che siamo con gratitudine e con profonda soddisfazione: aderire a ciò che siamo per rimanere integri e intatti in ciò che si è. Si tratta di rifiutare l’illusione che la vita possa assumere il suo senso pieno e il suo valore autentico solo per l’intervento di qualcosa di estraneo a se stessi.
Le Beatitudini non sono la porta di ingresso per l’alienazione che proietta i propri bisogni in un futuro utopico in cui si sublimano le proprie frustrazioni, bensì è l’accoglienza coraggiosa di quel poco su cui il molto potrà crescere naturalmente e gradatamente.
“Beato te perché sei quello che sei”.
Come suggeriscono queste pagine coinvolgenti e dense come una rara scrittura sapienziale, solo quando c’è questo riconoscimento di fondo può scattare la possibilità della relazione con se stessi e, dunque, con Dio. La beatitudine è entrare in relazione sempre più profonda.
Non è una questione morale, è una questione mistica.
È la relazione che appaga fino innalzare dalla montagna esteriore alla montagna interiore.
Se la sofferenza non ha attraversato la tua vita, sicuramente questo libro non è per te!
Se il dolore ha scavato lunghi solchi, forse questo libro non è per te!
Se comunque decidi di leggerlo perdonami se qualche parola o evocazione ti potrà ferire: il rispetto infinito che si deve alla sofferenza esigerebbe solo silenzio e sospensione assoluti.
“Carissimo Giobbe,
quando viene a mancare l’oro della forza, l’argento della fiducia in se stessi, il bronzo delle piccole sicurezze, basta che rimanga viva l’invisibile fede nella vita come compito per apprenderne il mistero e l’arte di soffrire, senza impazzire di dolore o cedere alla funesta rassegnazione che sarebbe peggiore dello stesso morire. Il compito di ogni uomo e donna sulla terra è quello d’imparare a resistere alla grande tentazione di trasformare – per se stessi e per gli altri – l’intera esistenza in una fossa di macerazione nella rabbia e nel rammarico. Nessun dolore e nessuna sofferenza sono per se stesse un inferno, per quanto le pene e le angosce lo facciano talora sentire e pensare, ma il rammarico lo è e, come dice l’Amico fedele e provato, il suo “verme non muore”. Come è avvenuto per te, caro Giobbe, vorrei anche per me che un diluvio di grazia, dopo un diluvio di guai, riporti la terra del mio cuore ad un rinnovato, ma non identico splendore. Lo diceva un caro maestro come Carl Gustav Jung scrivendo di te: “Per il lettore sarà ormai chiaro che lo sviluppo delle grandezze simboliche che abbiamo descritto corrisponde ad un processo di differenziazione della coscienza umana”. E ora voglio ringraziarti di tutto cuore, perché accompagnandomi a te, mi hai permesso di accompagnarmi a me stesso per crescere in “coscienza che sia ‘umana’ e di farlo serenamente e più in pace”.