
Nel luglio 1555, con la bolla "Cum nimis absurdum" papa Paolo IV limitò i diritti della comunità ebraica dello Stato della Chiesa e impose l'istituzione del ghetto. Da quel momento in poi, gli ebrei a Roma avrebbero dovuto vivere in una o più strade contigue, separate dalle abitazioni dei cristiani. Questa imposizione fu accompagnata da varie clausole, quali il divieto di avere servitù cristiana, la possibilità di commercio solo di stracci e vestiti usati e l'obbligo di portare il cappello o il fazzoletto giallo per uomini e donne. Lo scopo primario del ghetto doveva essere quello di accelerare la conversione degli ebrei e la dissoluzione della loro cultura, ma - come qui mostra Kenneth Stow, uno dei massimi esperti di storia degli ebrei italiani - già prima del 1555 gli ebrei romani avevano sviluppato modelli di comportamento individuali e comunitari in grado di poterli sostenere anche nei periodi più duri. Dopo la creazione del ghetto riuscirono a rafforzare ulteriormente le proprie strategie di acculturazione e a sviluppare quindi una microcultura che ne salvaguardò l'identità attraverso i secoli. Grazie ad un sapiente gioco delle parti, gli ebrei romani misero in scena un "teatro sociale" in grado di farli sopravvivere, restando ebrei e romani, all'interno di un ambiente cristiano che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero voluto dominante e oppressivo.
"Raccontandoci queste storie, le nostre madri ci facevano addormentare, quando eravamo piccoli, e noi sentivamo in esse la loro nostalgia per i luoghi della loro infanzia, lasciati per sempre, e rivisitati con la fantasia. Per mezzo di queste storie i nostri padri ci hanno educati al buon comportamento e alle buone azioni, e ci hanno insegnato a ridere. [...] Dentro queste storie l'uomo trova sempre le parole che gli spiegano la ragione e le circostanze della vita, e la consolazione ai dolori che non hanno rimedio". (Matilde Cohen Sarano)
A dieci anni dalla morte del grande filosofo francese, questo volume tocca una delle questioni che più hanno occupato la sua riflessione negli ultimi anni di vita: l'eredità culturale ebraica nel rapporto con l'Occidente. Nelle tre interviste qui pubblicate, Derrida prende posizione nei grandi dibattiti del nostro tempo indagando temi specifici: la sfida della giustizia, il dovere del perdono e quello della memoria, l'ordine mondiale e le superpotenze, il confronto inquietante con l'Altro. A partire dalla circoncisione (patto di alleanza, marchio degli eletti, ma anche incisione, segno, separazione, e in quanto tale atto linguistico) Derrida riflette sull'essenza conoscitiva dell'ebraismo e sulle questioni che l'eredità culturale ebraica pone a tutto l'Occidente. Nelle pieghe di un discorso sottile ma sempre vivacemente militante, le parole-chiave della riflessione civile e morale vengono ricondotte da Derrida alla loro radice storica. Liberate dalle secche della banalità attraverso il loro potenziale di polisemia, di ambiguità e di mistero, le grandi parole d'ordine tornano qui a offrire conoscenza e risposte che stimolano a pensare fuori dai luoghi comuni.
In questo libro, che si distingue per chiarezza e semplicità d'esposizione, Jacob Neusner risponde agli interrogativi fondamentali che riguardano il mondo del giudaismo da cui è nato il cristianesimo. Neusner dà un quadro delle vicende storiche e religiose di Israele e analizza il patrimonio del giudaismo che si conservò tra coloro che non divennero cristiani. Neusner discute anche la controversa questione dei farisei e tenta di ricostruire l'identità dell'Hillel storico. Questo libro, ben documentato e accessibile, si rivolge direttamente a tutti coloro che sono interessati alla fede ebraica e cristiana e ne cercano il senso risalendo alle loro comuni radici storiche.
Sotto il nome di Teologia ebraica si raccolgono le fila dei molteplici percorsi che nella storia del popolo ebraico hanno sviluppato idee, dottrine e credenze in senso lato "teologiche", i cui tratti divengono più chiari in età moderna e contemporanea. L'analisi storica qui compiuta va dalla costituzione della Bibbia ebraica al giudeo-ellenismo, dalla letteratura rabbinica e qabbalistica fino alla cesura della Shoà, intrecciando alcuni dei più significativi spunti dei nostri giorni - la teologia politica dopo la nascita di Israele, la teologia femminista, le correnti postmoderne. Si apre così una prospettiva sul particolare profilo culturale che accomuna una comunità religiosa in movimento, non circoscrivibile in un sapere dai contorni chiusi, e che include la concezione di Dio ma anche la nozione di Israele, la Legge (Torà) scritta e orale e il commento dei testi sacri, la celebrazione del tempo nella liturgia (quotidiana e sabbatica, mensile e annuale) e un ampio spettro di pratiche personali e collettive che, nei secoli, hanno forgiato l'identità ebraica - un'identità plurale.
Una riflessione sulla crisi attraverso la rilettura di grandi pagine della Scrittura che raccontano di Israele, popolo di Dio, alle prese con il dramma dell'esilio a Babilonia. È un invito ad ascoltare: Geremia, Abacuc, Ezechiele, il Secondo Isaia, i Salmi. La parola profetica possiede un'onda lunga, legata alla sua provenienza da Dio e, proprio per questo, alla sua capacità di leggere in profondità le vicende della storia umana, portandole a nuova intelligenza, rimettendole incammino.
"Il ghetto continuò a bruciare molto a lungo, ma non si sentivano più gli spari. Proprio allora, là accanto al muro, per la prima volta nella vita mi sentii veramente ebrea. E capii che ormai per sempre, fino alla morte, sarei rimasta insieme ai carbonizzati, ai morti soffocati, ai gassati nei rifugi, a coloro che avevano combattuto ed erano morti perché non potevano non morire, a coloro il cui destino non avevo condiviso". Le memorie di Alina Margolis-Edelman (1922-2008) sono uniche nella grazia della loro semplicità. La sua testimonianza di bambina e di adolescente, scritta cinquant'anni dopo, ci porta da Lódz, sua città natale, a Varsavia dentro e fuori le mura del ghetto, e ci parla del tragico eroismo quotidiano di uomini e donne destinati alla più crudele delle morti e che lei salva così dall'oblio. Dopo la guerra, Alina si è laureata in medicina, ha sposato Marek Edelman, il leggendario vicecomandante dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, e come pediatra si è dedicata per tutta la vita ai bambini più disagiati.
Edith Stein nacque a Breslavia da famiglia ebrea. Di straordinarie doti intellettuali, intraprese la carriera universitaria divenendo assistente del filosofo Edmund Husserl. Dopo aver letto l'autobiografia di Teresa d'Avila, abbandonò l'ateismo e si convertì. A causa delle leggi razziali fu costretta ad abbandonare l'insegnamento ed entrò nel carmelo di Colonia prendendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. Trasferitasi nei Paesi Bassi, non sfuggì alla rappresaglia nazista e venne deportata ad Auschwitz, dove fu uccisa il 9 agosto 1942 insieme alla sorella Rosa. Conoscere la sua figura vuol dire compiere un'esperienza di provocante attualità. Nella nostra civiltà meccanizzata e tecnologica, Edith, donna dalla parola limpida ed essenziale, ha qualcosa da dire: è un andare alle radici, alla scoperta dell'esistenza umana. Edith Stein è stata beatificata (1987) e canonizzata (1998) da Giovanni Paolo II, che nel 1999 l'ha proclamata compatrona d'Europa.
Franz Rosenzweig dichiarò un giorno che il mondo ebraico tedesco aveva manifestato un vero interesse per lui soltanto quando erano usciti i primi volumetti della Bibbia ebraica nella nuova traduzione che stava realizzando insieme all'amico Martin Buber. Eppure, da alcuni anni il giovane filosofo era attivo a Francoforte come direttore di un pionieristico istituto di cultura ebraica ed era noto per avere scritto nel 1921 "La stella della redenzione", un'opera di grande respiro con la quale introduceva nella filosofia le categorie fondamentali della tradizione biblica (creazione, rivelazione e redenzione) e ridisegnava il travagliato rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Gli scritti compresi nel presente volume furono elaborati per gran parte negli ultimi anni della sua breve esistenza e sono tutti connessi benché in modi diversi - alla traduzione della Bibbia ebraica, impresa che aspirava a confrontarsi con le grandi versioni bibliche del passato, in particolare con quella di Lutero, da cui è scaturita la lingua letteraria tedesca.
Che strano oggetto culturale è mai un "dizionario innamorato"? Ancora più bizzarro se si considera che il destinatario dell'amore in questione è quell'ebraismo da molti "denunciato come dottrina degli assassini del Messia, come pratica degli usurai che sfruttano il mondo intero, dei cospiratori e degli assetati di sangue, pretesto di milioni di omicidi". Ma questo non è certo il punto di vista di Attali, nato in Algeria da genitori ebrei francesi e dedito allo studio di questa religione non solo per averla ereditata dalla sua famiglia, ma anche in risposta a un vivo interesse culturale. Quello che ci restituisce in questa serie di voci, da "Abele" a "Zohar", non è affatto un sapere enciclopedico o nozionistico, bensì il tentativo di interpretare e vivificare un'eredità personale e culturale dalla portata globale. Il mosaico che si compone voce dopo voce, tassello dopo tassello, ci offre un ritratto dell'ebraismo profondo e lontano dai luoghi comuni. Un ebraismo la cui storia millenaria, sintetizzata da Attali nelle pagine introduttive, è segnata dal confronto e dallo scambio con le altre civiltà e che diviene oggi, in forza della sua spiccata singolarità, un baluardo della resistenza a una certa globalizzazione. Da leggere tutto d'un fiato o da sfogliare saltando di voce in voce, questo dizionario è un percorso di autoconoscenza anche per chi dell'ebraismo è solo curioso.
Un volume a molte voci, come piccolo strumento pedagogico per aiutare docenti, studenti, ma anche il più vasto pubblico di non specialisti, a comprendere la complessa costellazione di eventi storici che va sotto il nome di Shoah. L'intenzione è quella di informare, mostrando una polifonia di approcci - dalla storiografia alla documentaristica, alla filosofia, al cinema, passando anche per le graphic novels - e suggerendo percorsi culturali diversi che contribuiscano a far crescere nelle giovani generazioni la coscienza di ciò che è stato. Affinché lo studio delle barbarie sia l'antidoto al loro ripetersi, nelle menti e nelle azioni.