
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».
Variabilità e ridondanza, cambiamento e identità, conflitti e potere, coraggio e devianza, punti di vista e ambiguità, narrazione e memoria, complessità e responsabilità sociale: questo lavoro raccoglie, presentandole in forma di brevi saggi, le sette Leadership Lecture che l'Autore ha tenuto nell'ambito dell'Executive Master in Business Administration della Luiss Business School. Sette conversazioni che hanno coinvolto emotivamente e cognitivamente quanti le hanno ascoltate; conversazioni non disturbate dal rumore di sottofondo delle presentazioni elettroniche, ma cadenzate da una struttura tematica e narrativa che raccontano storie autentiche e senza fronzoli, sollecitando una riflessione profonda sull'agire organizzativo. Il ritmo è particolare, quasi una danza sulla filosofia e sulla prassi delle organizzazioni e delle imprese; sulle virtù e sulle povertà di leader e manager; sui successi e sulle sconfitte di protagonisti e portaborse; insomma su quello che struttura in profondità, e non soltanto in superficie, la vita e il plot delle organizzazioni. Tutte storie che sorprendono per la loro attitudine a farti cambiare, o a proporti, un punto di vista inaspettato; a suggerirti di modellare in modo diverso, attraverso "riempimenti e sottrazioni" quello che capita nella quotidianità della gestione.
Il pensiero di Sergio Quinzio è stato spesso presentato come espressione di cupo pessimismo, visione profetica rivelatrice più di un disagio esistenziale e spirituale, che di un rigoroso confronto con le difficoltà contro cui, dopo duemila anni di attese, si scontra la fede cristiana. Rita Fulco tenta un nuovo approccio ermeneutico, mettendo in risalto le questioni che interrogano la filosofia e la teologia, senza eluderne il carattere provocatorio e le asperità, il non-conformismo. Il tema della temporalità viene assunto come il cardine del pensiero di Quinzio, mettendone in luce l'impronta messianica e apocalittica, soprattutto nel dialogo serrato con autori come Scholem e Benjamin. È, però, nell'analisi del moderno, della tecnica e del nichilismo considerati dalla prospettiva ebraico-cristiana - che le riflessioni di Quinzio assumono particolare originalità, non sottraendosi al confronto con autori come Nietzsche e Heidegger.
Salvatore Natoli è da sempre attento agli interrogativi più urgenti del presente. La felicità, per dirla con le sue stesse parole, è un "tema d'esistenza, anzi, per usare una formula cara agli antichi, è il fine stesso della vita". "L'attimo fuggente e la stabilità del bene" è una riflessione sulla dinamica di fondo che caratterizza la felicità e i suoi molti modi di manifestarsi: la beatitudine, la serenità, la gioia. La felicità, dunque, non sta solo nell'attimo, nell'acme cui perveniamo, ma nell'appartenere a essa. La felicità è piacere d'esistere, fecondità. È espressione della vita che vuole se stessa e che trova compimento nella sua stessa realizzazione: nelle vite riuscite. Per questo la felicità, come dice Nietzsche, non risiede tanto nella sazietà, ma nella gloria della vittoria, per questo ha la forza di rinvenire perfino sopra e oltre il dolore. In questo senso essa è frutto di virtù. Non è perciò solo un mero transitare, un sentimento labile, ma è un bene stabile. Coincide, infatti, con la capacità di trasformare gli ostacoli in sfide, di generare a ogni momento il bene e di fruirne. La felicità è il sì incondizionato alla vita. Il volume contiene la "Lettera a Meneceo sulla felicità" di Epicuro.
Chi fu Socrate? Sembra una domanda scontata: tutti hanno nella mente un'immagine del filosofo che non lasciò nulla per iscritto, uno tra i più noti e affascinanti pensatori di ogni tempo. Ma proprio per questo la risposta non è univoca: ciascuno si sente padrone della sua figura, e la modella secondo i propri interessi, la propria mentalità, la propria fantasia. Così è successo fin dall'inizio: gli autori che di Socrate ci hanno lasciato il profilo più completo - Aristofane, Platone, Senofonte - ne tracciano ritratti talvolta addirittura in contraddizione tra loro. Come conciliare infatti l'immagine del sofista approfittatore divulgata dalle "Nuvole" aristofanee con quella del filosofo tutto d'un pezzo tratteggiata nell'"Apologia" platonica? Questo volume raccoglie dunque i testi antichi più importanti per la comprensione del personaggio Socrate e del suo pensiero e, grazie a un'approfondita e godibile introduzione, offre un percorso critico che chiarisce al lettore quanto di ciò che si conosce del filosofo ateniese possa riferirsi al Socrate storico, e quanto invece - e perché - la sua immagine sia stata modificata per renderla portatrice di ideali di volta in volta diversi, ma altrettanto significativi.
Quest'opera puo' considerarsi il testamento spirituale di Edmund Husserl.
Pubblicato per la prima volta nel 1936 in due volumi, questo saggio è divenuto ben presto un classico dell'esegesi aristotelica ed epicurea.
Sulle basi di numerose fonti teologiche, giuridiche e mediche, Foucault affronta il problema di quegli individui "pericolosi" che, nel corso del XIX secolo, sono stati definiti "anormali". Definisce le tre figure principali dell'anormalità: il mostro umano, antica nozione cui quadro di riferimento erano le leggi della natura e le norme della società; l'individuo da correggere, di cui si fanno carico i nuovi dispositivi di disciplinamento del corpo; l'onanista, che è oggetto, già dal XVIII secolo, di una campagna indirizzata al controllo della famiglia moderna. Per Foucault l'individuo anormale deriva dell'eccezione giuridico-naturale del mostro, dalla moltitudine degli incorreggibili e dal segreto delle sessualità infantili.
Perché fare storia della filosofia, se la filosofia è morta? La ricerca filosofica si trova in una singolare impasse. Rinsecchisce la sua vena speculativa, cresce a dismisura la cura storiografica. Ma cresce anche la domanda di filosofia, che priva di respiro teoretico e di rigore filologico rimane però allo stato di mera suggestione. Questo libro tenta di coniugare di nuovo storia e teoresi. Da un lato si ritaglia oggetti storiografici precisi: i margini del razionalismo seicentesco e i dilemmi della ragione e della fede (Pascal, Fénelon, Spinoza), ma anche gli esercizi della dialettica (Hegel, Merleau-Ponty). Dall'altro investe con vigorosi sondaggi teoretici un'area più ampia che lambisce anche il '900 e territori solitamente meno esplorati (la fotografìa, il cinema).
Nato a Malaga, Avicebron (Shelomon Ibn Gabirol, ca. 1021-1058) è una delle figure più originali e controverse della filosofia ebraica medievale. L'ambivalenza del suo sapere - oscillante fra la tradizione religiosa ebraica e la cultura filosofica greca (tra Gerusalemme e Atene, per riprendere la fortunata espressione di Leo Strauss) - giustifica il fascino che Avicebron esercitò alternativamente nel mondo ebraico come poeta e in quello latino-cristiano come pensatore. Il suo capolavoro filosofico, la "Fonte della vita", composto originariamente in arabo, si è conservato integralmente solo nella traduzione latina realizzata nella prima metà del XII secolo da Domenico Gundisalvi e Giovanni Ispano. In quest'opera, presentata con il testo latino a fronte, si ritrovano le radici di molti dei successivi dibattiti scolastici sul ruolo della Volontà di Dio, sulla pluralità delle forme sostanziali e soprattutto sulla composizione degli enti finiti (la celebre dottrina dell'ilemorfismo universale).
Che cosa ha a che vedere Derrida con l'Egitto? In questo scritto breve e denso, Sloterdijk, uno dei più importanti innovatori del pensiero contemporaneo, attraversa l'opera del filosofo francese mediante una serie di confronti con altri autori che ne moltiplicano i piani di lettura e di interpretazione. Ne esce un'immagine di Derrida inconsueta, poco compiacente ma problematica e aperta, delineata in uno stile filosofico talmente dissonante da quello derridiano da rivelarsi paradossalmente in sintonia con esso.
Si è soliti squalificare come "utopica" ogni forma di progettualità non sufficientemente asservita alla forza di un principio di realtà tanto perentorio quanto sospetto. E se "utopia" fosse invece il nome di uno spazio di pensiero e di un margine di gioco che di volta in volta è stato necessario creare tra le maglie dei testi e dei sistemi di pensiero per consentirsi di progettare la realtà di nuovi principi? Dall'utopia filosofico-politica di Thomas More o Charles Fourier, a quella scientifico-tecnologica di Skinner o Stanislaw Lem, alle infinite creazioni fantastiche e fantascientifìche dell'Ottocento e del Novecento, il libro circoscrive i confini di un universo di scrittura che offre, allo stesso tempo, un modello di riflessione filosofica, un paradossale osservatorio antropologico, un laboratorio spesso inavvertito di elaborazione politica. Lo spazio "altro" dell'utopia obbedisce di volta in volta a differenti principi architettonici e ad altrettante strategie di senso.

