
«La metafisica, ossia il tentativo di concepire il mondo come un tutto per mezzo del pensiero, si è sviluppata fin dall’inizio grazie all’incontro e al conflitto di due impulsi umani diversissimi, uno dei quali spinge gli uomini verso il misticismo, l’altro verso la scienza. Alcuni hanno raggiunto la grandezza attraverso uno solo di questi impulsi, altri attraverso l’altro. Ma i più grandi filosofi hanno sentito la necessità sia della scienza sia del misticismo: il tentativo di armonizzare le due cose ha riempito la loro vita; ed è ciò che, in tutta la sua ardua incertezza, fa sì che tanti considerino la filosofia qualcosa di superiore sia alla scienza sia alla religione.» La visione spregiudicata del mondo e delle sue leggi, l’aspirazione a una conoscenza senza limitazioni. Questa, in sintesi, la lezione di intelligenza e di civiltà impartitaci, attraverso i saggi qui raccolti, da uno dei più originali pensatori del nostro secolo. Un grande esempio di divulgazione scientifica e filosofica.
«Il potere può essere accresciuto congiuntamente a un aumento delle libertà da parte di coloro che sono sottoposti all’esercizio del potere.» Cos’è e come si esercita il potere? Partendo dal rifiuto delle concezioni classiche di tipo liberaldemocratico e marxista, secondo le quali esso è un attributo di determinati soggetti o l’applicazione della forza fisica, Luhmann ritiene che il potere non sia altro che un «mezzo di comunicazione» generato attraverso simboli. Solo questo modello può spiegare i fenomeni di produzione, circolazione e consumo del potere nelle moderne società informatizzate e multimediali. La teoria del potere nella concezione di Luhmann diventa quindi parte integrante di una teoria della società. Più che mai attuale, a oltre trent’anni dalla sua prima pubblicazione, Potere e complessità sociale è una riflessione su chi e come governa le nostre esistenze.
Il libro di Marcello Colitti, ex dirigente Eni e autore eclettico, è indirizzato agli studiosi di filosofia, a quelli delle teorie politiche, ai politici tout courte a tutti coloro che si interrogano non senza sconcerto e apprensione sulle sorti della nostra comunità civile.
Al centro del volume è l’opera di Baruch Spinoza; ma il focus di questo agile saggio è senza dubbio puntato sull’aspetto politico del pensiero del grande filosofo seicentesco.
Spinoza è il primo a usare la parola “democrazia”, dice Colitti, che è il punto chiave, il perno attorno a cui ruota la discussione politica dei nostri giorni. Scopo dello Stato, per Spinoza, è la libertà dei cittadini: un’espressione rivoluzionaria, allora come oggi.
La creazione dello Stato è un atto collettivo per uscire dallo “stato di natura” – in cui tutti lottano contro tutti, nulla si può conservare e il progresso è scarso – per entrare in una società in cui esso detta le regole, con il fine della libertà e del progresso.
L’uomo spinoziano, divenuto cittadino, non abbandona la sua originaria pulsione a sopravvivere e a perfezionarsi, ma riconosce che il miglior amico di se stesso sono gli altri uomini. Ognuno deve dunque vivere il più possibile secondo ragione: cioè cercare la gioia e allontanare da sé la tristezza e l’odio.
Su queste basi, Spinoza elabora un catalogo delle virtù civili del cittadino, che a distanza di quattro secoli risultano straordinariamente attuali. Immagina per esse addirittura una tavola sinottica, chiara, razionale, essenziale.
La riflessione di Colitti ruota proprio attorno a questo schematico ed esaustivo prontuario. Ipotizza l’applicabilità dell’etica civile di Spinoza al mondo contemporaneo. Perché quelle sono, oggi come allora, le virtù che permettono uno sviluppo razionale e ragionevole della società umana.
Se esse vengono a mancare, l’economia soffre della cupidigia del ricco e dell’eccessiva difesa dei poveri – o ex poveri – verso ciò che hanno già ottenuto, creando una società chiusa e incapace di vero progresso.
L'autore ripercorre un momento teoreticamente centrale della vicenda intellettuale del filosofo contemporaneo, delineando un confronto tra filosofia analitica, ermeneutica e fenomenologia in relazione alla metafisica.
La lettura dei Diari - una miniera di intuizioni folgoranti, pensieri, preghiere, polemiche e spunti argomentativi - restituisce la complessità non sistematica ma edificante del pensiero filosofico e teologico di Søren Kierkegaard. Questa ultima edizione, di molto ampliata e rivista, riprende la versione del suo maggiore studioso italiano, Cornelio Fabro, svolta sull'integrale danese (20 voll., 1909-1948), pubblicata da Morcelliana nel 1948 e più volte ristampata. Ma l'attento spoglio compiuto dai curatori sulle carte postume, le lettere, i documenti e le opere complete, nel confronto fra la prima e i volumi già disponibili della nuova edizione critica danese, rende quest'opera del tutto originale nella traduzione e nelle note. Un classico, queste pagine dei Diari parlando del mondo si mettono in dialogo con Dio, la morte, l'amore, e toccano tonalità affettive come la noia, l'inquietudine, la pazienza e l'impazienza, l'angoscia... Un esercizio di pensiero quotidiano in cui traluce, sotto vari registri, la teoria dei tre stadi dell'esistenza estetico, etico e religioso.
Un libro per comprendere il «ritorno della religione» oggi nell'incertezza dell'esistenza umana. La definizione di religione come "prassi di superamento della contingenza" da parte di uno dei protagonisti del dibattito internazionale sui rapporti tra religione, società e politica.
Il rapporto tra Sigmund Freud e la filosofia evoca uno dei temi, forse il principale, che testimonia l'intreccio costitutivo tra la psicoanalisi freudiana e l'universo della cultura, dei saperi umani, in cui gioca un ruolo centrale la tradizione filosofica. Freud stesso ne era consapevole, come attesta la sua autobiografia. Era chiaro a lui, e resta evidente per ogni studioso di Freud, che attraverso quella relazione si torna a definire la fisionomia specifica del conoscere e del pensare psicoanalitici in quanto scienza, oltre che del pensare in quanto tale. L'originalità di questa prospettiva è esaminare il confronto costante che Herbert Marcuse, Jean-Paul Sartre, Jacques Derrida, Jürgen Habermas, Ludwig Wittgenstein hanno istituito tra il proprio pensiero e la psicoanalisi freudiana, e rilevare quali suoi aspetti di volta in volta sono stati utilizzati 'per la filosofia'. Se il primo passaggio di questa storia è costituito dal distacco della psicoanalisi dalla psicologia di Franz Brentano, maestro viennese del giovane Freud, il tema filosofico decisivo della contaminazione reciproca di psicoanalisi e filosofia è la nozione di pulsione. Si delinea qui uno stile nuovo del pensare filosoficamente la psicoanalisi.
Questo corso di Istituzioni di Filosofia, pubblicato in forma di dispensa nel 1968, rappresenta uno degli ultimi momenti dell'insegnamento di Emanuele Severino all'Università Cattolica di Milano, dalla quale si allontanerà nel 1970 per passare all'Università di Venezia. È un ciclo di lezioni contemporaneo alla stesura dei saggi Il sentiero del Giorno (1967), La terra e l'essenza dell'uomo (1968), Risposta ai critici (1968), in cui Severino approfondisce la svolta iniziata con Ritornare a Parmenide, e che culminerà con la raccolta di questi e altri saggi nel libro Essenza del nichilismo (Paideia, 1972). Ripensando a queste lezioni, Salvatore Natoli, allora assistente di Severino, ha scritto: "Severino [...] mi ha costretto a dare consistenza alle mie argomentazioni filosofiche, a fornire giustificazioni adeguate alle mie tesi e direi che mi ha definitivamente vaccinato dai vizi delle mode filosofiche". Rigore dell'argomentazione e attenzione al variare del significato delle categorie e dei problemi costitutivi della filosofia (identità, contraddizione, dialettica, verità, realismo, idealismo...): questo in sintesi il contenuto del libro.
Vi sono luoghi del pensare, nei grandi filosofi, che reiterandosi hanno segnato la cifra non solo del loro stile ma della stessa filosofia. Per Emmanuel Levinas questa cifra è il dialogo, o l'intervista. Quella qui presentata è appunto un esercizio di pensiero. Nel dialogo traspare l'etica del volto, dell'altro, come prossimo e come Dio. Il volto che sta dinanzi è apertura: rende possibile pensare il 'Totalmente Altro' dall'Essere e dal Logos ' rovesciando la tradizione occidentale. Pensare, a partire dalla Parola dell'infinito udibile nel volto dell'altro nella cui nudità risplende la traccia di Dio, è possibile solo nel rispetto della sua alterità, della sua solitudine, del suo mistero. Da queste pagine, come un cristallo della filosofia di Levinas, riluce l'interpretazione della metafisica come filosofia prima in quanto etica.
Abbiamo davvero bisogno della religione? È questo un interrogativo cruciale che riguarda la società contemporanea, sia dal punto di vista dell’esistenza individuale, sia sul piano politico e culturale. Per Hans Joas la risposta è affermativa: abbiamo bisogno della religione, non soltanto come «riserva di senso», né come forza d’integrazione sociale, ma soprattutto per riconoscere e difendere valori essenziali come quello della dignità umana. Questo libro sostiene che, anche nella società del pluralismo culturale, possono esistere valori universali. Il valore della dignità umana diventa accessibile e sperimentabile per le persone attraverso l’esperienza dell’auto-trascendenza, e la religione rimane la più importante forza attiva nella nostra cultura che sappia evocare e interpretare questo tipo di esperienza.
Owen Barfield (1898-1997), filosofo, poeta, critico letterario, fu un pensatore eclettico, profondo e controverso. Definito “il primo e l’ultimo degli Inklings”, si può considerare il “maestro non ufficiale” di C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien, dei quali ha influenzato in modo determinante la concezione filosofica e linguistica.
Questa traduzione italiana di “Saving the Appearances”, apparso per la prima volta nel 1957 in Inghilterra e qualche anno più tardi – con grande successo – negli Stati Uniti, lo rende finalmente accessibile al pubblico italiano.
In Salvare le apparenze Barfield percorre l’avvincente storia della coscienza occidentale spiegando come dall’unità originaria di realtà, linguaggio e significato si sia giunti all’attuale visione che rende le nostre rappresentazioni “idoli” privi di significato e “nomi” incapaci di comunicare la realtà. Tuttavia, sarà proprio questo cammino di svuotamento a garantire la possibilità di una nuova «partecipazione», che assume caratteri teologici fuori del comune.