
I luoghi decisivi del pensiero filosofico – ha rilevato María Zambrano – si incontrano nelle rivelazioni poetiche. Di qui la ricerca della filosofia che si trova nella poesia, non come pensiero poetico, bensì come filosofia in senso stretto, come una modalità dell’esercizio filosofico finora emarginato dalla storia del pensiero e che nella crisi della modernità è invece capace di configurare un orizzonte di superamento. Ecco perché tutto il pensiero di María Zambrano è volto a indagare lo sfondo comune di filosofia e poesia nonostante la scissione ed il conflitto – segno della storia occidentale – e l’orizzonte dal quale è possibile intravvedere una possibile riconciliazione: la ragione poetica. A tal fine, Filosofia e poesia (1939) rappresenta l’opera fondamentale, insieme al presente libro, a cui stava lavorando prima della morte, e che comprende testi sulla parola poetica in rapporto alla filosofia, e saggi sui poeti più amati dalla Zambrano.
Armando Savignano, ordinario di Filosofia Morale all’Università di Trieste, ha dedicato numerosi saggi all’ispanismo filosofico. Tra i libri più recenti: Introduzione a Ortega Y Gasset, Laterza, Bari 1996. Introduzione a Unamuno, Laterza, Bari 2001. Maria Zambrano. La ragione poetica, Marietti, Genova-Milano 2004.
Panorama della filosofia spagnola del Novecento, Marietti, Genova-Milano 2005. Don Chisciotte.
Illusione e realtà. Rubbettino 2006. Il vincolo degli anniversari. Saggi di filosofia spagnola contemporanea, Saletta dell’Uva, Caserta 2009.
Vengo dai puri pura, o Regina degli inferi, Eucle ed Eubuleo e voi altri dèi immortali; infatti, anch’io mi vanto di appartenere alla vostra stirpe beata, ma la Moira mi sopraffece e gli altri dèi immortali e il fulmine scagliato dalle stelle.
Volai via dal cerchio che affligge duramente, penoso, e salii sulla desiderata corona con piedi veloci; quindi mi immersi nel grembo della Signora, Regina ctonia; poi discesi dalla desiderata corona con piedi veloci.
“Felice e beatissimo, sarai dio invece che mortale”.
Agnello caddi nel latte.
[...]
Chi sei? Da dove sei?
Sono figlio della Terra e del Cielo stellato.
[Orfici, fr. 32 Kern]
L’Orfismo si diffuse in Grecia nel VI secolo a.C., derivando il nome dal mitico cantore Orfeo, probabilmente a partire da una rielaborazione della precedente religione cretese e forse anche egizia, e si affiancò come religione iniziatica apollineo-dionisiaca accanto alla religione pubblica olimpica; i riti orfici stanno certamente all’origine dei misteri eleusini e degli oracoli delfici. Il punto centrale della sua proposta dottrinale – contro la visione omerico-esiodea degli uomini intesi come mortali – è la credenza nell’immortalità e nella reincarnazione dell’anima (o démone, un frammento del dio Dioniso fatto a pezzi e intrappolato nell’involucro del corpo), con tutte le pratiche di purificazione che verranno poi riprese e ripensate dalla filosofia pitagorica e platonica. L’edizione classica di Kern del 1922, qui proposta integralmente con la prima traduzione italiana, raccoglie sia le testimonianze sia i frammenti della tradizione scritta, ma anche materiale archeologico, tratto soprattutto dalle laminelle auree che gli orfici ponevano sulla fronte dei defunti prima della sepoltura. Il volume è introdotto da un saggio di Giovanni Reale, che mette in luce l’importanza dell’Orfismo per la nascita del concetto di psyche nella successiva filosofia presocratica.
Il volume, non previsto come pubblicazione dall'autore stesso, si presenta nella forma di raccolta di saggi più o meno brevi, in gran parte già pubblicati autonomamente in anni precedenti, riuniti quindi dalle figlie di Sestov; fu pubblicato per la prima volta in Francia nel 1964. Qui presentato in prima traduzione italiana, il volume costituisce per un verso un'espressione importante del pensiero sestoviano dell'ultimo decennio di vita dell'autore, contrassegnato dalla radicalizzazione del dualismo tra pensiero "speculativo", fondato sulle acquisizioni della ragione, e pensiero "esistenziale", fondato sull'esigenza di forzare le evidenze della ragione e per questo aperto alla "rivelazione". Per altro verso, esso è anche una rappresentazione importante del procedimento della riflessione filosofica di Lev Sestov, basata su uno stringente confronto, interiore e dialogante piuttosto che oggettivo e analitico, con le più diverse personalità in campo filosofico, letterario e religioso. L'opera è anche per queste ragioni una delle tappe centrali per la comprensione della ricezione, da parte della filosofia esistenziale di orientamento religioso, di alcuni momenti fondamentali dell'esperienza spirituale tra l'Oriente e l'Occidente dell'Europa.
I "Quaderni neri" presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il primo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le "Riflessioni". Il primo quaderno di questo volume incomincia nell'autunno del 1931, l'ultimo, con le "Riflessioni VI," si conclude nel giugno del 1938. Le "Riflessioni" non corrispondono ad "aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.
I Quaderni neri presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il secondo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le Riflessioni. Il primo quaderno di questo volume incomincia nel 1938, l'ultimo, con le Riflessioni XI, si conclude poco prima dell'inizio della seconda guerra mondiale, nell'estate 1939. Le Riflessioni non corrispondono ad "aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.
Pubblicato per la prima volta nel 1980, il saggio di Massimo Cacciari viene ora riproposto in una nuova edizione riveduta. Il titolo prende spunto dalla chiesa dello Steinhof, capolavoro jugendstil di Otto Wagner, che sorge sulla sommità di una collina e che sovrasta un paesaggio di "pellegrinaggi infiniti" e "follie interminabili": Vienna. Ed è proprio a questa città e a quegli "uomini postumi" che vi abitarono nei primi anni del Novecento è dedicato il libro. Uomini come Musil, Hofmannsthal, e i loro personaggi, gli eterni nomadi di Joseph Roth, lo "straniero" Trakl, o Wittgenstein. Nomi che rimandano tutti a un centro comune, un centro però vuoto, dove non risiede una Verità da trasmettere, tutt'al più un'assenza.
Un saggio sulla compassione.
Klossowski è riuscito a costruire un libro-labirinto all'interno di un altro, tuttora ingannevolissimo, labirinto: gli scritti di Nietzsche degli ultimi anni, tra la folgorazione dell'"eterno ritorno", il progetto di un'opera che avrebbe dovuto chiamarsi "La volontà di potenza" e gli estremi messaggi dell'"euforia di Torino". Proprio su questo punto si dividono, da sempre, le interpretazioni di Nietzsche: sono anni di progrediente lucidità? o di progrediente follia? Klossowski recide subito questo banalissimo nodo, affermando che tutto il pensiero di Nietzsche "ruota attorno al delirio come attorno al proprio asse". E già questo permette di stabilire una incolmabile distanza fra tale pensiero e la sequenza della filosofia: c'è uno iato che separa sin dall'inizio l'impresa speculativa di Nietzsche dal discorso occidentale - lo iato del caos. Per non perdere mai il contatto con questa singolarità irriducibile di Nietzsche, Klossowski ha scelto la via più ardua, ha deciso di lasciarsi trascinare "dal mormorio, dal respiro, dalle esplosioni di collera e di risa di questa prosa, la più insinuante che si sia mai formata nella lingua tedesca". Così, più che l'articolarsi dei concetti, segue le "fluttuazioni d'intensità" in quella "tonalità dell'anima" che era Nietzsche stesso - e il libro si intesse alle sue pagine come un perpetuo commento, un'eco dove le parole dell'autore stingono su quelle dell'esegeta e viceversa.
«Come Nietzsche aveva riconosciuto in Wagner il suo unico antagonista esistente e con ciò gli aveva tributato il più grande onore, così Heidegger ha dedicato a Nietzsche il suo scritto più articolato che tratti di un pensatore moderno, anche se in questo caso cronicamente inattuale, dandogli il supremo onore di definirlo “l'ultimo metafisico dell'Occidente”. E come Nietzsche si distacca in tutto dagli oppositori di Wagner, così Heidegger non ha molto a che fare con tutte le generazioni di critici e biasimatori di Nietzsche – è molto di più, è l'unico che risponda a Nietzsche».
Pareyson ha incontrato le diverse correnti dell'esistenzialismo negli anni della sua formazione torinese e ne ha sviluppato criticamente i fermenti all'interno del dibattito sul significato del cristianesimo. Dal pensiero di Kierkegaard ha assunto la duplice dimensione dell'uomo come auto ed etero relazione, in quanto rapporto ontologico fondamentale, che, stimolato anche dall'incontro con Lavelle, ha acuito il suo personalismo in un partecipazionismo della libertà. La prospettiva di Pareyson pone la dimensione ontologica come partecipazione del tempo all'eternità, dunque come dimensione sorgiva dell'esistenza nel rapporto tra auto ed etero relazione, all'interno del quale è approfondito il dualismo metafisico personalistico di situazione e libertà.
«L’ermeneutica ha scelto come piste preferenziali, sin dalle sue stesse origini, la ricerca della verita?, la sua interpretazione e comprensione nel corso della storia umana, la sua possibile comunicabilita?, la sua portata umanizzante prismata in un universo che non si e? solamente declinato e risolto in un ambito prettamente teoretico, ma e? restato anche indissolubilmente legato a quella sfera di certo ardua della ricerca sapienziale, che e? l’operazione morale tipica della speculazione della filosofia pratica. Il lavoro imponente che dunque l’ermeneutica ha governato nel corso del tempo, e? stato quello di tentare di coniugare l’orizzonte teoretico-speculativo con quello schiettamente incarnato dell’ortoprassi, senza perdere mai di vista il fondamento che rende la scienza ermeneutica della tradizione gia? antica coincidentemente scienza filosofica, vale a dire amore e conoscenza della verita?. Questo filo che vede avvitati insieme la dimensione teoretica con quella pratica, e che ha sin dalla sua genesi caratterizzato la storia dell’ermeneutica veritativa, e? rinvenibile stabilmente nella pluridecennale ricerca aggiornata di Gaspare Mura, la cui opera rappresenta uno dei casi piu? significativamente approdati di sintesi del fondamento della scienza ermeneutica veritativamente impostata, nella declinazione drammatica, per usare un termine caro a Platone, della speculazione stessa, con le analisi delle implicazioni pratiche tipiche dell’azione e della scelta umana.» Dalla Introduzione di Cristiana Freni.
Biografia
Gaspare Mura è Professore Ordinario Emerito di filosofia della Pontificia Università Urbaniana, dove ha ricoperto le cattedre di Storia della filosofia antica, Filosofia della religione, Ermeneutica filosofica, ed è stato Direttore dell’Istituto Superiore per lo Studio dell’Ateismo, dell’Urbaniana University Press e della rivista di Filosofia e Teologia “Euntes Docete”. È stato docente di Ermeneutica filosofica presso le Pontificie Università Lateranense e della S. Croce e dal 1993 al 2013 Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura. Ha al suo attivo oltre 100 pubblicazioni dedicate alla filosofia ermeneutica, alla filosofia della religione ed allo studio del fenomeno religioso. I 4 volumi degli Scripta Hermeneutica, ordinati per tematiche: ermeneutica veritativa, filosofia pratica, religione e teologia, interpretazioni storiche, si articoleranno in modo da comporre un quadro organico del pensiero dell’Autore, suggerendo le ricche potenzialità dell’«ermeneutica veritativa».
Cristiana Freni è docente stabilizzata nella cattedra di Filosofia del Linguaggio della Facoltà di Filosofia, e nella cattedra di Estetica presso l’Università Pontificia Salesiana (UPS). Visiting Professor per le cattedre di Antropologia Sistematica e Antropologia Empirica presso l’Accademia Alfonsiana, Istituto Superiore di Teologia morale, della Pontificia Università Lateranense. Visiting Professor di Antropologia filosofica presso la Scuola Internazionale di Medicina Omeopatica Hanemanniana. Membro direttivo di diverse riviste scientifiche, fa parte di molte associazioni culturali con cui collabora per la programmazione e la realizzazione di iniziative a sfondo nazionale ed internazionale. Ha al suo attivo svariati studi.