
Tra il 1971 e il 1977 Michel Foucault elabora alcune delle sue ricerche più note sui saperi e i poteri dell'età moderna. L'archeologo della scienza e della letteratura diviene il "paziente archivista" delle pratiche politiche e disciplinari che si prolungano fino alle soglie del nostro tempo. Foucault indaga le diverse forme del potere moderno nella sua attitudine a controllare, definire e fornire un'identità agli individui. Questo volume raccoglie saggi come "La vita degli uomini infami", la conferenza "La verità e le forme giuridiche", interviste e tavole rotonde in cui il metodo filosofico e storico viene sottoposto al banco di prova delle questioni di ogni giorno. Ecco allora un Foucault spesso inedito, che non disdegna di esprimersi sui suoi rapporti con il marxismo e la psicoanalisi, sul senso delle istituzioni educative e universitarie, sulla medicina contemporanea e soprattutto sulle lotte dei dannati della Terra. Un filosofo, come è documentato nella "Cronologia" e in alcuni testi in appendice, che non si sottraeva all'attività militante e ai manganelli quando si trattava di "dire la verità del potere".
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
«Torniamo a pensare!
Domande e risposte, per smettere di essere passivi.
Il sonno della ragione, oltre a generare mostri, produce il suicidio, morale e culturale, mentre ci si illude di essere vivi.
Poiché la finzione è uno dei mali maggiori del nostro tempo, Per ragionare si propone come un antidoto.
Vademecum per resistere e andare avanti.
Sapendo che solo la vista dell'orizzonte mostra la dimensione reale di ogni cosa.
E di ogni speranza.»
Viviamo assordati da contrapposizioni politiche di facciata, urlate quanto vuote: impigliati in una melassa di pettegolezzi, personalismi, scandali di ogni genere, false paure. Tutto questo ci fa rimuovere i nostri veri interessi, le sfide del presente e la costruzione di un futuro migliore. Mentre le decisioni vengono prese da altri, senza che ne siamo consapevoli.
Con semplicità ed efficacia, Mario Capanna ci dice che dobbiamo tornare a essere protagonisti delle nostre esistenze, e non solo consumatori passivi di merci, di notizie, di intrattenimenti. Che dobbiamo interrogarci sul mondo che ci circonda, sulle sue storture, le sue ingiustizie, le sue assurdità – a volte ridicole, a volte crudeli.
Possiamo e dobbiamo individuare gli imbecilli, i prepotenti, i banditi. Dobbiamo essere soggetti attivi, sulla scena di una politica rigenerata, non fatta di leader e di partiti più o meno geneticamente modificati, ma di persone e collettività, di cibo e ambiente, di affetti, di lavoro. Di prospettive.
Su tutto questo, scrive Mario Capanna, dobbiamo ricominciare a ragionare. Per camminare eretti.
La natura umana è un oggetto ricorrente dell'attenzione dei media. Essa è implicitamente chiamata in causa da qualsiasi problematica politica; sul come e sul quando dei suoi inizi esistono giudizi scientifici spesso contraddittori, strategie politiche contrapposte, laiche e confessionali, e una complessa normazione giuridica. Ma la centralità della natura umana nella riflessione filosofico-politica ha anche una storia ricca e articolata: si tratta di una tematica che da Platone e Aristotele confluisce nel pensiero cristiano di Agostino e Tommaso, fa i conti in età moderna con le scoperte geografiche e scientifiche, per suscitare infine nuova attenzione nel Novecento con l'antropologia filosofica di Gehlen e con la biopolilica di Foucault.
Recuperare il passato, rivivere eventi ed emozioni: nella costruzione morale degli individui così come delle collettività può essere questo uno dei compiti più dolorosi. Ma ci sono cose che abbiamo il dovere di ricordare? Può davvero la memoria condivisa valere a fondare o a rafforzare il sentimento identitario di una comunità? Esiste insomma un'etica della memoria? Tenendo sin dal principio ferma la distinzione fra etica e morale, l'autore si misura con tali interrogativi in pagine dense di riflessioni colte, ma anche di spunti di cronaca recente, di testimonianze e di ricordi personali, per giungere infine ad affermare che un'etica della memoria è un'etica tanto del ricordo quanto dell'oblio e del perdono, e che dunque la questione cruciale, se ci siano cioè cose che dobbiamo ricordare, ne comporta una parallela, se ci siano cose che dobbiamo invece dimenticare.
Un libro sull'origine dell'umanità, su Dio e sulla creazione di Eva, sul paradiso terrestre e sul peccato originale. Ma non si tratta di un libro di teologia. Piuttosto, è un'indagine di confine fra storia dell'arte e storia delle idee. In primo piano c'è la donna che Dio volle dare come compagna all'uomo: Eva che nasce dalla costola di Adamo, Eva che si lascia sedurre dal serpente tentatore e afferra il frutto proibito, Eva che porta, in eterno, la colpa della perdita dell'Eden e del peccato originale. Un mito, quello della coppia originaria, che pervade l'arte, la fede e la cultura occidentale: lo si ritrova raffigurato sulla facciata di Notre Dame, nel portale d'Adamo a Bamberga, nella Cappella Brancacci a Firenze, nella Cappella Sistina in Vaticano. E lo si incontra, persino più spesso, in una ricca tradizione di testi che muove da san Paolo e sant'Agostino per giungere, attraverso una quantità di commenti medievali e moderni, sino a oggi. Dopo aver presentato le immagini e i racconti, le diverse incarnazioni e interpretazioni che del mito sono state prodotte nel tempo, Kurt Flasch dà conto della rielaborazione che la cultura europea ha compiuto di un materiale mitologico nato originariamente in Oriente e indaga le dottrine e le costruzioni di pensiero originate dal racconto paradisiaco: il tema del peccato originale e della salvezza.
Il concetto di "ragione" ha una posizione di assoluta preminenza nello strumentario della filosofia. Nella tradizione occidentale la pluralità delle sue definizioni ha marcato le differenze essenziali dei sistemi teorici in conflitto, e per un lungo tratto della sua evoluzione la legittimità stessa del sapere filosofico è stata misurata dal suo essere fondato, appunto, sulla ragione. Scopo del volume è dar conto di questa pluralità, disponendo lungo il percorso dei suoi mutamenti l'insieme degli apporti teorici che hanno contribuito ad arricchirne il senso. A partire dagli indirizzi principali dell'antichità greca e del medioevo cristiano, attraverso le costruzioni metafisiche e le analisi critiche dell'età moderna, fino alle più recenti difese dell'opportunità del suo utilizzo, il libro ricostruisce la storia del concetto di ragione per tracciare una mappa con cui orientarsi nel territorio dei suoi significati.
Esiste, oltre alle singole cose rosse, la proprietà universale "rosso"? O esistono invece solo le entità individuali e particolari? Come spiegare il fatto che più entità tra loro distinte possono essere tuttavia uguali per un determinato aspetto? E che cos'è che distingue due entità che condividano esattamente le stesse proprietà? Questi sono alcuni dei problemi che costituiscono la questione degli universali e dei particolari, che, a partire dai dialoghi platonici e dalla metafisica di Aristotele, ha sempre rappresentato uno dei nodi centrali dell'ontologia. Di tale questione il libro ripercorre le tappe storiche principali, partendo dalla formulazione che ne fu proposta nell'antichità, esaminando gli importanti e variegati sviluppi medievali, individuandone la presenza talvolta nascosta nella filosofia moderna e ricostruendo i dibattiti della metafisica contemporanea, che ha visto una significativa rinascita di interesse per questi temi, soprattutto nell'ambito della filosofia analitica.
Non solo pigrizia ma anche tristezza, sconforto, inquietudine, indifferenza, noia, e soprattutto depressione. Se nasce come peccato capitale nella visione religiosa, l'accidia diventa malattia psichiatrica nella visione laica e moderna. Come è rappresentato nell'interpretazione occidentale questo male dell'anima? Dall'ascesi del monaco medievale allo spleen del dandy Baudelaire, dalla malinconia romantica di Leopardi alla noia di vivere di certi personaggi della letteratura russa come Oblomov o gli anti-eroi di Cechov, dall'angoscia esistenzialista di Heidegger, Sartre, Camus al vuoto oscuro e maligno nella mente del depresso dei nostri tempi, che chiede aiuto alla psicoanalisi ma anche agli psicofarmaci: un viaggio nelle rassomiglianze di umori imparentati ma non identici, annodati dal filo comune di uno scacco, di una mancanza, di una noncuranza rispetto al mondo e all'altro, che l'uomo vive in ogni epoca come tentazione dolorosa e devastante.
Sergio Benvenuto, psicoanalista e filosofo, lavora a Roma come ricercatore al CNR e dirige il "Journal of European Psychoanalysis". Tra le sue pubblicazioni "Dicerie e pettegolezzi" (Il Mulino, 2000), "Un cannibale alla nostra mensa" (Dedalo, 2000), "Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi" (Bollati Boringhieri, 2005).
A un primo sguardo, musica e filosofia sembrano due attività umane disparate, lontane tra loro quanto possono esserlo la morbida sensualità del canto e il silenzioso rigore del pensiero razionale. Eppure, fin dall'antichità emerge l'idea di una segreta affinità tra musica e filosofia, che ne intreccia i destini. A partire dalle idee sulla musica dei filosofi antichi, attraverso le concezioni medievali e rinascimentali, il volume considera l'impatto della rivoluzione scientifica, la stagione illuminista e gli sviluppi ottocenteschi, per giungere infine al ricco dibattito teorico contemporaneo.
È la crescita economica l'unico obiettivo a cui deve mirare una politica pubblica? O il fine dello sviluppo non è piuttosto quello di mettere in grado le persone di vivere un'esistenza piena? Dunque creare "capacità" che consentano a ognuno di realizzarsi e di vivere la propria vita all'insegna della pari dignità umana. È questo l'"approccio delle capacità", qui illustrato come nuovo paradigma che misura la ricchezza di uno stato sulla base dei bisogni soddisfatti e delle opportunità realmente offerte ai cittadini.
Basta un viaggio in un paese lontano, il contatto con persone che vivono in condizioni completamente diverse dalla nostra, l'incontro con una povertà che ci appare insuperabile o con un esempio di vita ascetica in un monastero remoto per mettere in crisi le nostre risposte a tutti quegli interrogativi che accompagnano da sempre la vita dell'uomo. Ma è alla dimensione trascendente che bisogna fatalmente guardare? Non secondo l'autore, che opta per una ricerca di tipo individuale e soggettivo, nella convinzione che ciascuno abbia il diritto di realizzare il proprio modo di dare un senso all'esistenza, ovviamente senza nel fare ciò danneggiare gli altri.