
Nel maggio del 1776, circa duecentotrenta anni fa, si pubblicava "La ricchezza delle nazioni", con cui Adam Smith fondava la moderna scienza economica: ancor prima del pieno dispiegarsi della rivoluzione industriale questo testo ha offerto alcune delle principali categorie di interpretazione della nascente società capitalistica (divisione del lavoro, definizione delle classi, valore-lavoro) e straordinarie intuizioni sulla società borghese e sul suo evolversi. Al di là di ogni intento celebrativo, va ancora oggi riconosciuta l'assoluta attualità delle questioni teoriche e pratiche trattate da Smith nel suo imponente lavoro. Non c'è nessuna questione di teoria e di politica economica che non sia stata in qualche modo almeno impostata ne "La ricchezza delle nazioni", tanto che tutti gli sviluppi successivi del pensiero economico si trovano, magari allo stato embrionale, compresenti in questo libro fondamentale.
Riflessione filosofica, esperienza politica e cultura estetica si intrecciano anche in questo libro di Cacciari sulla storia della città. Dalla pólis greca alla civitas romana, dalla città europea alla metropoli e alla odierna postmetropoli: uno sguardo appassionato e insieme disincantato, una difficile lezione della storia da cui trarre qualche saggio consiglio per il futuro prossimo. La città è sottoposta a domande contraddittorie. Voler superare tale contraddittorietà è cattiva utopia. Occorre darle forma. La città è il perenne esperimento per dare forma alla contraddizione.
Che cos'è l'uomo? Che rapporto c'è tra uomo e mondo? Come si giustifica la pretesa di universalità della nostra conoscenza? Interpretare il mondo o cambiarlo? A queste domande - e a innumerevoli altre - da due millenni la filosofia cerca di dare una risposta. Questo volume ripercorre l'affascinante cammino di questa ricerca, snodandosi lungo la storia del pensiero filosofico, dalle sue origini nell'antica Grecia fino ai mutamenti della nostra epoca. Scritto con un linguaggio chiaro e semplice, rende accessibili anche le più intricate complessità dei sistemi di pensiero, e ci fa scoprire tutti i filosofi e tutte le informazioni fondamentali sui concetti chiave, le correnti, le scuole e i movimenti filosofici.
Nel 1945 l'umanità scopre un volto del male che fino ad allora nella storia non si era mostrato: Auschwitz. Poste di fronte a quest'evento, la ragione e la filosofia sembrano aver smarrito le loro risorse per comprendere e interpretare una realtà che appare radicalmente nuova e smisurata. Un'indicazione viene invece dalla letteratura. Dopo l'esperienza di internato in quel campo della morte, infatti, il premio Nobel per la pace Elie Wiesel decide di scrivere racconti, cronache e commenti. Per testimoniare, per tentare di capire, per guardare la storia dal mondo sicuro dell'immaginazione e della creatività. E per permettere la sopravvivenza a se stesso, alla sua generazione e a quelle successive. Proprio all'interno della ricchissima produzione letteraria di Wiesel quest'agevole opera individua spunti e tracce per una riflessione profonda e intensa sul male a partire dalla novità che l'evento di Auschwitz costituisce. Perché incontrare l'orrore è l'unico modo per saperlo riconoscere e poterlo affrontare quando di nuovo si ripresenti, magari in forme diverse ma non meno terribili.
L'opera di Jean Nabert, percorsa dalla tensione tra la condizione storica, finita, e la corrente di assolutezza, l'affermazione dell'assoluto che attraversa l'esistenza. Jean Nabert e noto per le sue opere sul male, sulla finitezza, sulla solitudine; ma e anche il filosofo che ha meditato sul desiderio del divino e di Dio, desiderio che fiorisce nella speranza. Questa affonda le sue radici nell'io, l'esistenza del quale non e determinata soltanto dal succedersi delle circostanze storiche ma e definita anche dall'Assoluto che la abita. La speranza si nutre di quest'Assoluto che rivela la propria presenza svelandosi come desiderio dell'Essere. Il male, percio, non ha l'ultima parola nelle vicende umane perche, contro la violenza che con esso s'impone e che sembrerebbe annientare l'uomo, grida tale desiderio, anima d'ogni esistenza e appello lanciato da una Presenza che apre all'io la permanente possibilita della propria rigenerazione.
Terza fra le "Critiche" kantiane, la "Critica del giudizio " svolge un tema che, destinato ad acquisire un fondamentale rilievo nel dibattito idealistico ottocentesco, percorre l'intera vicenda della storia della filosofia: come si concilia la necessità delle leggi naturali con la libertà del volere umano? L'opera kantiana , in generale, è stata studiata nei suoi singoli aspetti piuttosto che nel suo disegno complessivo. Si sono, volta a volta, privilegiati particolari argomenti quali la natura dei giudizi di gusto, le caratteristiche del bello e del sublime, l'analisi della facoltà di giudicare e del principio della finalità, il rapporto tra arte e morale e tra teleologia e teologia. Questo libro intende restituire invece il senso unitario dell'opera kantiana, colmando cosi una lacuna della letteratura sull'argomento.
Nella tradizione occidentale l'indagine sulla morale affonda le sue radici nella riflessione socratica, in particolare nella domanda che il filosofo ateniese poneva ai suoi concittadini: come si dovrebbe vivere? Nel corso dei secoli il dibattito si è polarizzato intorno all'alternativa tra "bella vita" e "buona vita", dicotomia incarnata dal mito di Èrcole e dalla scelta che l'eroe deve compiere tra Piacere e Dovere. Ma tale antitesi, secondo A.C. Grayling, è solo apparente, frutto di una distorsione alimentata dalla fede religiosa, soprattutto dal cristianesimo, e più in generale dall'approccio morale coercitivo che mortifica l'individuo. In realtà una buona vita, quella che ciascuno di noi auspica per sé, non può e non deve fuggire la bellezza, il piacere e l'appagamento. Si tratta allora, secondo Grayling, di adottare un approccio laico e umanistico che consenta a ogni individuo di costruire la propria buona vita, nel duplice significato di "vita preziosa (che ha un valore reale per chi la vive) e vita piacevole (caratterizzata da affetto, risate, conquiste e bellezza)". E tuttavia non si può vivere al meglio senza un appropriato contesto sociale e politico. Di qui, l'esigenza di affrontare anche temi e problemi centrali nel mondo contemporaneo: il sesso, la famiglia, l'educazione, il ruolo della scienza, la malattia e la "buona morte", così come i rapporti internazionali, la guerra e i suoi crimini, i limiti della tolleranza.
Composti in un periodo che va dal 1937 a tutto il 1939, questi scritti contengono il punto di vista di Wittgenstein su temi da lui appena marginalmente sfiorati nei testi più celebri della cosiddetta 'seconda fase' della sua attività di pensiero: la causalità e il libero arbitrio. In una diversa prospettiva, Wittgenstein riprende e modifica qui l'atteggiamento che aveva avuto su questi temi ai tempi del Tractatus logico-philosophicus. Per il Wittgenstein maturo, anche la causalità e la libertà sono da ultimo questioni di grammatica; anticipando idee che verranno sviluppate in Della certezza, Wittgenstein ci dice qui che sono le scelte grammaticali a fare da sfondo alle nostre certezze immediate, in particolare sulle relazioni causali.
Questo libro è il primo e l'unico basato interamente sugli scritti di Gustavo Adolfo Rol: "l'uomo più sconcertante che io abbia mai conosciuto", come lo definiva Federico Fellini. Il volume raccoglie infatti gran parte dei suoi diari, delle sue lettere, pensieri e poesie, illustrati da fotografie di famiglia e riproduzioni delle sue pagine manoscritte; un corpus di testi fino ad oggi inediti, che sono stati trascritti e curati da Catterina Ferrari. "Egli amava definirsi 'la grondaia' che convoglia l'acqua che cade sul tetto, cioè una forza di cui riteneva di essere soltanto il canale. La gamma multiforme di "possibilità" di cui era dotato, gli ha permesso di spaziare in ogni campo, di poter fare esperimenti di ogni genere, compresi viaggi nel passato e nel futuro, sempre per il bene del prossimo e per uno scopo altamente morale".

