
Come vivere, agire, lottare, morire quando si può contare solo su se stessi? È la sfida cruciale per un nuovo Illuminismo, inteso non solo come difesa di fronte al dispotismo, ma come compagno di strada anche per coloro che ancora avvertono il bisogno d’amore a cui un tempo si dava il nome di Dio.
Da «ateo protestante», l’autore di questo libro non mira a dimostrare che Dio non c’è ma a definire l’orizzonte di un’esistenza senza Dio. Una vita, quindi, che prescinda da qualsiasi forma di sottomissione al divino, rifiutando rassegnazione e reverenza, ritrovando il piacere della sperimentazione nella scienza e nell’arte, e riscoprendo infine il gusto della libertà, soprattutto quando essa appare eccessiva alle burocrazie di qualsiasi «chiesa». Un ateismo non dogmatico che può essere utilizzato persino da ogni credente stanco della furia dei vari fondamentalismi che hanno sostituito al dono della Grazia del Signore il paesaggio desolato della repressione e dell’intolleranza.
In questo volume, riferendosi al pensiero di diversi filosofi, ci si rende conto della capacita del pensiero contemporaneo di affrontare nuovamente la meditazione metafisica. Filosofia significa amore per la sapienza" ma essa e`anche "saggezza dell'amore". Essa e` libera ricerca di un ordine logico per l'essere intero. La filosofia si mette in gioco nel dare un senso all'esperien za umana: essa e`discorso sul bene. Nella complessita del nostro mondo e del nostro tempo non vi sono certezze indiscutibili da ritrovare ma un infinito desiderio da inseguire: la filosofia si trasforma allora da aspirazione al sapere assoluto nel sapere del desiderio, quale tensione all'essere e a ll'essere-bene. Questo libro mette dunque a tema la sapienza e la saggezza cui aspira il "
Una sintesi dettagliata e una valutazione critica del pensiero filosofico di Michel Henry (1922-2002). L'opera fornisce una sintesi dettagliata e una valutazione critica del pensiero filosofico di Michel Henry (1922-2002), fenomenologo francese che apre una nuova via di indagine attorno all'io e al suo rapporto con il mondo e l'assoluto.
Europa. Italia. Chiesa Cattolica. Sono questi i tre campi minati trattati in questo libro. Un continente e un Paese che in nome della Felicità Universale hanno eliminato Dio dalla scena, fanno i conti con la situazione inedita in cui si trova la Nuova Chiesa, che per servire i desideri del mondo non proclama più i suoi princìpi e la sua dottrina. Così, eresie e ideologie una volta denunciate e combattute - il Modernismo, la Massoneria, l'Islam e il Protestantesimo - spadroneggiano, insieme alla disoccupazione e alla povertà, alla corruzione delle classi dirigenti e di buona parte della società civile, alla dirompente affermazione dell'ideologia omosessualista, al dominio dell'euro e delle oligarchie burocratiche e finanziarie, ad un potere che è sempre più spregiudicato. Il Nuovo Ordine Mondiale che s'intende creare nega la Regalità Sociale di Gesù Cristo sul Cielo e sulla Terra, per fare posto al Serpente, che sta insidiando la Donna al Suo calcagno, ma chi ha fede ha una certezza, quella che la Vergine Maria predisse cent'anni fa a Fatima: il Suo Cuore Immacolato trionferà.
Le circostanze storiche (materiali, tecniche, burocratiche, giuridiche) in cui è avvenuto lo sterminio degli ebrei sono state sufficientemente chiarite. Ben diversa la situazione per quanto concerne il significato etico e politico dello sterminio o anche soltanto la comprensione umana di ciò che è avvenuto, cioè in ultima analisi la sua attualità: quello che impedisce ad Agamben di sentirsi appagato dalla pseudosoluzione giuridica del problema dell'Olocausto (termine che egli contesta), dalla riduzione del fenomeno a crimine o mostruosità incomprensibile. "La verità intera è molto più tragica e spaventosa".
L'uso scientifico dei termini implica che abbiamo eliminato i "fumi della fantasia" e trovato l'esatta correlazione fra termini e concetti. Chiarezza, distinguibilità e precisione sono gli ideali - e le condizioni dell'intelligibilità scientifica. I termini sono espressioni visibili e udibili dei concetti, e un concetto è un "medium quo", un mezzo con e attraverso il quale significhiamo la cosa reale. Ma questo non è tutto e non è certo l'aspetto più importante del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Ridurre il linguaggio a mezzo, l'uomo a un sistema di informazioni e la realtà a una rete globale di comunicazioni è un impoverimento del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Panikkar mette in discussione l'equivalenza fra parola e termine e rivendica il potere creativo della parola, che si rinnova e si arricchisce ogni volta che è pronunciata, rinnovando e arricchendo chi la pronuncia. Il termine è solo l'ombra della parola: se si identifica la parola come termine la si inchioda a un significato specifico e relativo, impedendole di volare nel ciclo della coscienza umana.
A ispirare l'opera di Luce Irigaray è la ricerca di un futuro più giusto e felice per l'umanità. Lo intravede nella scoperta, teorica e pratica, di una relazione con l'altro nutrita di rispetto reciproco per le differenze, di un rapporto a due che conduce a una globalizzazione possibile e non distruttiva della soggettività individuale e delle culture. Questo libro è un tentativo di ripensare e rifondare la filosofia occidentale, scardinando le tradizioni sapienziali della nostra cultura. Un rifiuto opposto ai tecnocrati del logos che hanno trasformato la saggezza in costruzione razionale e concettuale, appannaggio dei pochi iniziati di circoli intellettuali e accademici. Al centro di questa ricerca filosofica, non gli aspetti mentali o cognitivi, ma uno sguardo concentrato sulla dimensione concretamente intersoggettiva, sull'esperienza umana, sull'elaborazione di un discorso volto al "saper vivere" prima che al "saper morire". Una saggezza che prima di essere parola, sarà toccare carnale, conoscenza del cosmo come corpo e come universo, riconoscimento delle differenze tra individui. Il nuovo filosofo sarà quindi lontano da quello che Irigaray descrive "mediocre compagno di vita: bambino in amore e amante dei bambini più che delle donne".
Azione e colpa sono concetti-soglia, a tal punto fondativi del pensiero giuridico, morale e politico dell'Occidente da rimanere oscurati dalla loro stessa costitutività. Il carattere liminare di entrambi viene però in luce non appena si rifletta sulla corrispondenza stringente tra il latino "crimen", che designa l'azione umana in quanto imputabile e sanzionata, ossia chiamata in causa nell'ordine della responsabilità e del diritto, e il sanscrito "karman", che contrassegna l'agire generatore di conseguenze. Con mossa disvelatrice, Giorgio Agamben individua nel "karman/crimen" la chiave di volta indoeuropea senza la quale crollerebbero sia l'edificio dell'etica e della politica occidentali sia il soggetto libero e responsabile che ne è il presupposto e l'effetto. Questa archeologia pragmatica, più che gnoseologica, della soggettività, rende evidente quanto la presa dell'azione sanzionata sull'agente si rinsaldi sempre più proprio nel momento in cui - con la patristica - la nozione di libero arbitrio intende assicurare la sovranità della volontà, spodestando il primato aristotelico della potenza. Secondo Agamben, non si riuscirà a inceppare il dispositivo volontà-azione-imputazione se non si uscirà dal paradigma della finalità: contro la signoria dei fini va ripensata una politica di mezzi puri, che già Benjamin affidava al gesto inoperoso, capace di disattivare le opere umane e destinarle "a un nuovo, possibile uso".
È tempo che la filosofia torni alla città. Anzitutto per risvegliarla da quel sonnambulismo che la narcosi di luce del capitale ha provocato. Ma quale margine ha il pensiero nel mondo globalizzato, chiuso in se stesso, incapace di guardare fuori e oltre? Mentre viene richiamata alla sua vocazione politica, la filosofia è spinta a non dimenticare la sua eccentricità, la sua atopia. Nata dalla morte di Socrate, figlia di quella condanna politica, sopravvissuta a salti coraggiosi e rovesci epocali, come nel Novecento, la filosofia rischia di essere ancella non solo della scienza, ma anche di una democrazia svuotata, che la confina a un ruolo normativo. In questo libro, dove traccia le linee del proprio pensiero, tra esistenzialismo radicale e nuovo anarchismo, Donatella Di Cesare riflette sul rientro della filosofia nella pólis, divenuta metropoli globale. Non bastano la critica e il dissenso. Memori della sconfitta, dell'esilio, dell'emigrazione interna, i filosofi tornano per stringere un'alleanza con gli sconfitti, per risvegliarne i sogni.
Il tema è universale. Forse non c’è tema più universale di questo: che cosa significa per noi umani nascere.
«Il primo e forse il più radicale fallimento della nostra cultura è il fatto di prendere avvio dall'essere umano in quanto tale. Ora, questo nostro essere non corrisponde a un essere vivente, ma a un'idea o a un'entità costruita»
Non ci sviluppiamo dalle radici come una pianta, e non siamo neppure autosufficienti come Dio. Così, siamo gli unici viventi che mancano di un’origine, e ne vanno sempre alla ricerca. Privi di un «essere» originariamente identificabile, dobbiamo assumerci la responsabilità della nostra esistenza e del nostro destino. Come? «In primo luogo, coltivando il nostro respiro, una risorsa che troppo passivamente abbiamo attribuito a un Dio estraneo alla nostra esistenza terrena, sebbene il respiro sia ciò che ci permette non solo di vivere autonomamente, ma anche di trascendere la mera sopravvivenza, di superare il livello della mera vitalità, così da essere in grado di portare a compimento un’esistenza umana. Incaricarci di incarnare la nostra appartenenza sessuata è il secondo elemento che ci rende capaci di adempiere la nostra esistenza naturale, pur trascendendola». La sessuazione compensa l’assenza di radici attraverso la spinta all’unione tra due esseri: «Dove prima non c’era nulla tra loro, se non l’aria, a partire dalla loro attrazione e dalla loro capacità di assumere il negativo della loro differenza nasce il germe di un nuovo essere umano e di un mondo in cui possiamo davvero dimorare». La potenza di pensiero di Luce Irigaray si muove con «con passi di colomba» – direbbe Nietzsche – e vince ogni scetticismo circa l’arditezza di un compito di trasformazione che riparta dall’istanza incondizionata della vita in sé, e non dagli «assoluti sovrasensibili che troppo spesso sono il risultato della nostra incapacità di vivere».