
La figura del dono si è imposta negli ultimi anni come cifra essenziale della post-modernità. Pensatori come Husserl e Heidegger hanno preparato il terreno. Altri e più recenti protagonisti del dibattito filosofico (soprattutto J. Derrida e J.-L. Marion) hanno dedicato al dono libri fondamentali. Ma una teoria del dono, dopo il celebre saggio di Mauss, non può ignorare la relazione tra dono e legame. Come purtroppo, sinora e per lo più, è stato fatto.
Questo libro affronta in modo diretto e deciso il senso della questione e propone una direzione di indagine nuova, attraverso una discussione serrata e illuminante delle tesi di Marion e di Derrida. Tanto l’onnipresenza della ‘donazione’ (Marion) quanto l’impossibilità del ‘dono’ (Derrida) vengono ponderate con cura e giudicate con equilibrio. Una insolita profondità di sguardo mette a nudo con implacabile rigore tutte le fragilità dei due pensatori francesi antagonisti e prepara l’affondo teorico finale che ne oltrepassa le rigide unilateralità mediante la tessitura del rapporto tra dono e legame come reciproco riconoscimento tra due (o più) soggettività in relazione.
Il dono, in ultima istanza, si dice in questo libro, è sempre ‘dono di noi stessi ad un altro come noi’: è la piena realizzazione della struttura dell’umano come essere per altri. Tutte le forme di dono declinano la simbolica di questo gesto originario, ma non possono esserne che versioni ‘ridotte’. Ed è per questo che il dono ci lega con una forza più potente di ogni altra. Dono e legame creano perciò un circolo virtuoso. L’umano è questo circolo della vita, che le Scritture narrano come il rapporto tra un uomo e una donna. E le Scritture dicono pure che in quel rapporto abita tutto ciò che può darci un’indicazione simbolica di quel che Dio stesso è come per noi.
Susy Zanardo è dottore di ricerca. È stata borsista del Centro Universitario Cattolico (CUC) - II livello. È segretaria scientifica del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) della medesima Università. Ha pubblicato diversi saggi sul pensiero francese contemporaneo. È curatrice (con Carmelo Vigna) e coautrice del volume La Regola d'oro come etica universale (Vita e Pensiero, Milano 2005).
Dall'originario significato astronomico, il termine "apocatastasi" passa a indicare, entro una visione ciclica della storia, la teoria per cui, alla fine dei tempi, tutte le creature saranno reintegrate nell'ordine armonico voluto da Dio al momento della creazione. Si accende così la speranza in una salvezza universale, che non cancella la tragicità e il peccato dell'esistenza individuale, ma la riabilita in un più ampio orizzonte di senso, nel giorno in cui Dio sarà «tutto in tutti». Dal mondo antico e tardo-antico (in particolare con Origene) ai pensatori del Novecento, tra religione, filosofia e letteratura, il volume ricerca le tracce dell'apocatastasi e i fondamenti che autorizzano a farne il cardine della filosofia morale. Di fronte all'attuale crisi ecologica e allo spettro della distruzione del pianeta, la questione dell'apocatastasi si fa ineludibile e si ripropongono gli interrogativi che questo principio, provocatoriamente, suscita: esistono colpe tanto gravi da meritare una pena eterna senza possibilità di redenzione? Può convertirsi all'amore, dopo la morte, chi in vita lo ha ostinatamente rifiutato? È ancora possibile riparare al male dopo eventi come la Shoah?
Un volume fondamentale – decisamente un “classico” – sul cruciale confronto fra cristianesimo e scienza storica moderna, nell’edizione critica che mette a confronto la prima (1902) con la seconda (1912) edizione del testo. Una traduzione nuovissima, di alto rigore scientifico, e un apparato ampio, di straordinaria utilità.
Con le tesi del 1901 e le annotazioni manoscritte
Edizione critica a cura di Trutz Rendtorff in collaborazione con Stefan Pautler
Edizione italiana, traduzione dal tedesco e postfazione a cura di Stefano Miniati
Dalla quarta di copertina:
Il cristianesimo pretende di essere la religione dell’assoluta verità. Come è possibile accettare tale pretesa nel momento in cui l’indagine storica ci mostra equivalenti pretese all’interno delle altre grandi religioni universali? Come è possibile accettarla nel momento in cui il cristianesimo stesso si mostra come un fenomeno storicamente individuato – dunque un fenomeno relativo e non assoluto –, che affonda le proprie radici nel contesto della cultura ebraica, prima, e della classicità greco-romana, poi? Secondo Ernst Troeltsch l’uomo moderno educato scientificamente, proprio grazie a un’indagine storica che faccia tesoro del metodo analogico e comparativo, può rispondere affermativamente a questa domanda: può cioè asserire che il cristianesimo è la forma più alta di religione, pur nella ferma consapevolezza che ogni professione di fede è, in ultima analisi, una questione di scelta personale.