
L’aggettivo «postsecolare» circoscrive un panorama storico e culturale che negli ultimi anni sembra aver sconfessato le diverse teorie della secolarizzazione. Il ritorno del religioso si profila e si configura sotto forme molteplici e richiede di essere analizzato da diverse discipline come la filosofia, la sociologia, la teologia e le scienze politico-giuridiche.
Il dibattito Habermas-Ratzinger sugli esiti della secolarizzazione, le analisi sociologiche di José Casanova sulle trasformazioni pubbliche delle religioni mondiali, le indagini di Hans Joas sul ruolo della contingenza nella postmodernità rappresentano solo alcuni degli snodi teorici di un dibattito sempre più animato e fiorente a livello internazionale.
Parlare di «rivincita di Dio» o di «reincantamento del mondo» significa, oggi più che mai, possedere bussole interpretative e validi contributi teorici per orientarsi nel cosmo del pluralismo delle fedi o per analizzare le derive dell’integralismo e del fondamentalismo religioso su scala nazionale e internazionale.
Questo volume si propone di fornire un quadro critico-ricostruttivo delle teorie e dei dibattiti che hanno elevato la categoria di postsecolare a chiave interpretativa imprescindibile per la comprensione dei mutamenti del religioso e delle religioni all’interno del complesso panorama sociale e politico globale.
L'intera vicenda di uomo e di studioso di Gottfried Wilhelm Leibniz è segnata da tendenze fortemente contrapposte. Impegnato nei campi più disparati del sapere -filosofia, scienze, matematica, storia, diritto - ebbe un atteggiamento al tempo stesso sistematico, enciclopedico e dialogico, pronto ad accogliere sollecitazioni di ogni provenienza. Le sue opere fondamentali i "Saggi di teodicea", volti a giustificare la presenza del male nel mondo, e la "Monadologia", in cui si formula una vera e propria concezione dell'universo - hanno esercitato un influsso decisivo stilla riflessione successiva. Nel volume sono illustrate e documentate storicamente le idee leibniziane, ma anche ricostruite le questioni teoriche e gli obiettivi scientifici ad esse sottesi.
In età contemporanea l'estetica pare frantumarsi e non essere più riducibile a un'immagine coerente. Eppure, per la mole di testi di estetica prodotti, gli ultimi cento anni possono definirsi il "secolo dell'estetica". A partire da quattro campi concettuali - vita, forma, conoscenza, azione - Perniola individua le linee di riflessione estetica che ne derivano e le illustra richiamandosi a diversi autori: da Dilthey a Foucault (estetica della vita), da Wölfflin a McLuhan e Lyotard (estetica della forma), da Croce a Goodman (estetica e conoscenza), da Dewey a Bloom (estetica e azione). Se ne aggiunge poi una quinta, che tocca l'ambito dell'affettività e dell'emozionalità (Freud, Heidegger, Wittgenstein, Lacan e Deleuze). Conclude il volume un ampio capitolo sul pensiero estetico non occidentale.
Mario Perniola è professore ordinario di Estetica e direttore del Centro Studi e Documentazione "Linguaggio e Pensiero" nell'Università di Roma Tor Vergata. Fra i suoi libri ricordiamo, pubblicati da Einaudi, "Contro la comunicazione" (2004) e "Miracoli e traumi della comunicazione" (2009). Al Mulino è uscito anche "Del sentire cattolico" (2001).
Nel 1930 líallora giovane filosofo si misurÚ con le opere di Husserl, formulando uníopera che Ë allíorigine della fenomenologia francese. Egli scelse una direzione di ricerca del tutto autonoma, eticamente orientata, in virt˘ della quale la fenomenologia appare come una ìfilosofia della libert‡î. Questo studio, fondamentale ai fini della comprensione del dibattito novecentesco sulla fenomenologia husserliana, appare per la prima volta nel nostro paese e completa la traduzione italiana delle principali opere di LÈvinas.
C'è un luogo comune e universale che ha dato vita all'umanità e in cui ogni essere umano continua a nascere. Questo luogo è il discorso, il sermo, direbbe Orazio: liquido amniotico dello spirito che ci traghetta dalla natura alla cultura, dalla vita istintiva alla vita sociale. Questa semplice evidenza reca però con sé tutti i problemi e i paradossi delle nostre credenze e dei nostri saperi, quindi i limiti delle nostre pretese verità e l'ambiguità di una presunta idea di realtà che da molto tempo ci accompagna. Il libro ne attraversa esemplarmente numerose figure emblematiche: dall'idioma dell'antico mondo della poesia cinese alla riflessione greca sui nomi, ai dialetti e alle lingue del medio evo e del mondo romanzo, alla formazione della nostra lingua volgare, sino ai lessici paradossali delle moderne scienze della natura e alla evoluzione darwiniana delle forme di vita. Da questi e da ancora altri percorsi emerge la proposta di una nuova etica del discorso, che ne curi le cecità e le superstizioni: estremo dono della filosofia al senso dell'uomo planetario in cammino.
Tradizione filosofica, cristianesimo, islamismo sono grandi muri di pietra, recinti del pensiero davanti a cui la riflessione umana si è arrestata e le costruzioni intellettuali più salde, anche quelle teologiche o scientifiche, possono diventare un alibi per non proseguire nell'interrogazione, per non confrontarsi con il deserto di certezze che la pura filosofia inesorabilmente rivela. Emanuele Severino ci conduce di fronte al rigore della Follia dell'Occidente. Ripercorre la nostra tradizione millenaria, dal Mito alla civiltà della Tecnica, e ne mostra i tragici e inevitabili fallimenti. Nel corso degli ultimi due secoli, la filosofia, per chi ne sappia scorgere il sottosuolo, ha saputo affrontare, aggirare e smantellare le prigioni che la tradizione occidentale ha innalzato attorno a sé a propria difesa. Severino riscopre nelle parole di Leopardi e nello Zarathustra di Nietzsche, nella rivolta di Ivan Karamazov e in qualche modo in Heidegger altrettanti "martelli" per distruggere il muro di pietra, altrettante vie alla comprensione del divenire dei corpi e delle anime, della nullità da cui, secondo la Follia dell'Occidente, veniamo e verso cui siamo inevitabilmente risospinti. Una vertiginosa riflessione sulla progressiva coerenza dell'alienazione che oggi domina il pianeta e che, pur lasciandosi alle spalle il "sonno mortale del divino" non si volge ancora verso "la verità eternamente splendente e manifesta in ognuno di noi".
Alle radici della storia dell'Occidente, in concetti come azione, volontà, potenza, si trova l'alienazione più profonda della verità, ossia l'estremo disfarsi della verità: nel senso in cui ci si libera di una ricchezza rimanendo impoveriti. A questo principio cruciale della filosofia di Emanuele Severino è dedicato questo libro che, parlando di arte, cristianesimo, politica, diritto, economia, mostra in azione l'essenza del nichilismo, il più potente dei meccanismi dell'errare. "Quando si parla di "nichilismo"" scrive l'autore "si intende per lo più il crollo dei valori tradizionali. Inoltre, solitamente, il nichilismo è una crisi soltanto descritta, ossia è presentato come un fatto che accade, ma che sarebbe potuto o potrebbe non accadere." Queste pagine ci esortano invece a prestare ascolto alla spinta che ha provocato l'inevitabile accadere della resa al nulla. Da Dante e Leopardi fino allo stato-azienda e ai governi tecnici, la riflessione di Severino svela il meccanismo oscuro che culmina nel rovesciamento del mezzo in scopo. Il risultato è un'analisi che porta allo scoperto come lo "scambio delle parti" derivi dall'origine di ogni alienazione del destino della verità e che dimostra - con nuovi scorci e riferimenti - come "la malattia nascosta 'il culmine dell'errare' sia la persuasione che le cose siano nulla, e il viverle come un nulla".
L’"analogia" è un tema ampiamente trattato dalla filosofia classica e medievale; l'"autoreferenza", a sua volta, domina in modo inequivocabile il dibattito filosofico moderno e contemporaneo. La letteratura inerente a questi due temi è, dunque, prevedibilmente vastissima. Ciò che sorprende, invece, è che non esiste a tutt’oggi uno studio che si sia posto il problema di comprendere che rapporti vi siano fra analogia e autoreferenza, se ve ne sono, e che cosa abbia determinato il passaggio, nel pensiero filosofico occidentale, dal primato del paradigma analogico al primato del paradigma autoreferenziale. Colmando una lacuna notevole della cultura filosofica e scientifica contemporanea, questo libro si propone come un primo passo verso una comprensione delle complesse e articolate relazioni che sussistono fra analogia e autoreferenza. Gli studi qui raccolti sono connotati da un elevato livello di astrazione; ciò dona al libro un carattere specialistico, ma allo stesso tempo rigoroso, requisito indispensabile per chi intende seriamente il “lavoro” di ricerca filosofica. Il volume è arricchito dalla traduzione italiana del classico saggio di Bochenski, L’analogia. Il libro è frutto del lavoro di un gruppo di ricerca interdisciplinare formato e coordinato dall’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena.
La rêverie - fantasticheria, immaginazione, abbandono al flusso del sogno a occhi aperti - è uno stato della coscienza che tutti conoscono. Gaston Bachelard, figura emblematica dell'epistemologia francese, la definisce come la materia prima dell'opera letteraria. In questo testo, evocativo e magico, si propone di riesaminare in una nuova prospettiva le immagini poetiche fedelmente amate. Oltre a evidenziare il valore conoscitivo della rêverie, mette in luce il godimento che se ne può trarre. Facendo riferimento ai concetti junghiani di animus e anima, Bachelard affronta il tema dell'idealizzazione dell'essere amato. Dedica un altro capitolo ai ricordi d'infanzia e approfondisce la distinzione tra sogno notturno e rêverie diurna. Conclude sostenendo: "Di quale altra libertà psicologica godiamo oltre a quella di fantasticare? Psicologicamente parlando, è proprio nelle rêveries che siamo degli esseri liberi".
I saggi raccolti in questo volume, scritti da Bachelard tra il 1942-1962, testimoniano il suo ininterrotto percorso di ricerca di una sintesi tra pensiero razionale e immaginazione. da un lato, si colloca lascineza, realizzazione progressiva della ragione: dall'altro, vi sono gli ostacoli che la frenano, conferendo al progresso un carattere discontinuo. L'immaginazione costrituisce appunto uno di questi ostacoli, espressione del sentimento, dell'irrazionalità, dell'istinto. Bachelard, figura emblematica dell'epistemologia francese, si presenta in questo libro non come un filosofo, ma come un pensatore che si concede il diritto di sognare. Il suo obiettivo dichiarato è di trasmettere l'intensità del mondo, restituende la filosofia alle sue visioni primitive. A questo scopo, fa riferimento anzitutto alle sue personali passioni: la letteratura, la poesia e l'arte.
La razionalità scientifica della medicina è sempre più in difficoltà per tre ragioni fondamentali: il radicale cambiamento culturale della concezione di malattia e di malato; la pressante richiesta di riduzione di sprechi, rischi ed errori nel campo delle pratiche mediche; la forte domanda da parte del cittadino di condivisione delle decisioni mediche che lo riguardano. Per rispondere a tali problemi, in questi anni, si sono adottate politiche di controllo sugli operatori e sui servizi che però hanno creato innumerevoli contraddizioni, tanto in ambito etico quanto in quello finanziario. Una ben ponderata azione di ripensamento della razionalità medica non è più rinviabile. Il titolo sottolinea un mutamento significativo di prospettiva: se sinora la tradizionale "filosofia della medicina" aveva spiegato il modo di pensare della medicina, oggi si avverte l'urgenza di una "filosofia per la medicina". Il libro si conclude con un manifesto, che costituisce un invito alla pubblica discussione delle questioni trattate.