
L'avventuroso ritrovamento del corso di Lovanio conferma quale sia stato il problema che ha orientato, dall'inizio alla fine, il lavoro di Michel Foucault: quello della verità, nei suoi rapporti con la soggettività. Una verità qui declinata nella forma peculiare ed esclusiva della storia dell'Occidente, quella della confessione. Il cuore di queste lezioni, infatti, è costituito dalla ricostruzione del dispositivo che va dalle pratiche penitenziali nel cristianesimo primitivo alle procedure di veridizione di sé e sottomissione nel monachesimo cenobitico. È li, secondo Foucault, che è stato allestito un nuovo tipo di soggettività, ormai indissolubilmente legato all'obbligo di verbalizzazione della colpa commessa e al dovere di esplorazione degli arcana conscientiae, nucleo dell'inquadramento cristiano dell'esistenza individuale. Attraverso la progressiva generalizzazione ed estensione di un'ermeneutica che si mette a ricercare nel "foro interiore della coscienza" e nelle spire della concupiscenza la verità segreta dell'anima, Foucault diagnostica la nascita di una forma di governo degli individui destinata a investire la vita nella sua totalità, fino alle tecniche giudiziarie dell'età contemporanea e alle procedure di medicalizzazione dell'esistenza, origine di tutte le psicologie che pretenderanno, di lì in avanti, di decifrare i misteri dell'anima, facendoci credere che solo così potremo accedere alla libertà e alla verità...
Attualmente docente di filosofia politica all'Università di Pavia, Ian Carter traccia un'analisi filosofica del diritto di ogni individuo all'eguale libertà. Un diritto fondamentale capace da solo di motivare politiche sia più libertarie sia più egualitarie di quelle sostenute in genere dai progressisti liberali di oggi. Il libro è diviso in tre parti: la prima dedicata alla libertà, alla concezione liberale del suo valore e al problema della sua misurazione; la seconda dedicata alla struttura dei diritti, ai fondamenti del diritto alla libertà e al nesso con la proprietà privata; la terza dedicata all'interpretazione egualitaria di tale diritto, al rapporto con l'eguaglianza delle risorse e al ruolo della responsabilità morale del singolo.
Bernard Williams è considerato uno dei più importanti e originali filosofi degli ultimi cinquant'anni. Largamente riconosciuto come uno dei più autorevoli filosofi morali, cominciò a scrivere diffusamente di temi politici a partire dai primi anni ottanta. I suoi contributi, insieme ai libri sull'etica, hanno avuto e hanno importanti conseguenze per la teoria politica. Questa raccolta di saggi, per la maggior parte inediti e scelti dallo stesso Williams, affronta i problemi chiave del pensiero politico: giustizia, libertà e uguaglianza; natura e significato del liberalismo; tolleranza; potere e paura del potere; democrazia. Uno dei temi conduttori che li animano è che i filosofi politici non possono accontentarsi di discutere le teorie di altri filosofi, ma devono confrontarsi con la realtà della vita politica, un atteggiamento questo che Williams fa proprio intrecciando, in una prosa brillante e iconoclastica, analisi filosofica ed esperienza personale. Williams è convinto che la filosofia debba riconoscere la propria incompletezza, aprendosi ai contributi del sapere storico, sociale e scientifico. La mancanza di purezza è la prima virtù dell'attività filosofica.
Il libro è il ritratto della crisi religiosa e filosofica verificatasi agli albori del mondo moderno, ai tempi di Newton, Cartesio, Rembrandt e, soprattutto, di Leibniz e Spinoza, il logico e matematico inventore del Calcolo. Al centro del racconto è Dio. Lo scenario è quello di un'Europa appena uscita dalla guerra dei Trent'anni, segnata dalle difficoltà di un'altissima conflittualità religiosa, scossa da rivolgimenti politici altrettanto profondi. Le due "idee" del divino che Leibniz e Spinoza elaborano sono tutt'altro che estranee a questo sfondo, rispetto al quale emergono come conseguenze e contromisure. L'autore contribuisce a fare di questa ricostruzione del passato un'immagine ben viva per l'attuale panorama politico, diviso tra rinascite di vario segno, dai neoilluminismi ai neotradizionalismi cristianeggianti.
Ogni anno, da più di vent’anni, centinaia di studenti affollano il teatro del campus di Harvard per seguire il corso di Introduzione alla filosofia politica e morale di Michael Sandel. Il segreto di questo successo sta nella straordinaria capacità del professore di collegare i grandi interrogativi della filosofia politica alle questioni più scottanti del nostro tempo. Il libro nasce da lì, da queste leggendarie lezioni. È una brillante, ampia e appassionata esplorazione del ruolo e del significato della giustizia nella società contemporanea e un invito ai lettori di qualunque convinzione politica a ragionare sulle controversie e sui dilemmi etici del nostro tempo mettendosi in gioco, considerandoli parte di un rinnovato impegno civile.
Il libro trasmette la stessa emozionante sensazione di vivere un’avventura dello spirito, di sfida al conformismo del pensiero che negli anni ha conquistato gli studenti di Harvard. Sandel ci chiede di mettere sotto esame le nostre convinzioni e di trovare risposte “nostre” alle scelte cui siamo chiamati come membri di una comunità. Quali obblighi abbiamo l’uno verso l’altro come cittadini? È giusto che il governo tassi i ricchi e aiuti i poveri? Il libero mercato è equo? Esistono situazioni in cui dire la verità è sbagliato? Esiste una circostanza in cui uccidere sia giusto? Possiamo accettare che uno stato legiferi in tema di moralità? I diritti del singolo possono essere in conflitto con quelli del bene comune? E ancora: aborto, suicidio assistito, matrimonio tra persone dello stesso sesso, dissenso, servizio militare.
Un libro bellissimo, di grande chiarezza, animato da un’autentica passione civile, il cui scopo, nelle parole di Sandel, non è “mostrare chi ha influenzato chi nella storia del pensiero politico, ma invitare i lettori a sottoporre a un esame critico le loro idee sulla giustizia, a chiarire a se stessi cosa pensano e perché”.
Questo libro ripercorre la storia del pensiero occidentale con una chiave di lettura forte e originalissima. Le storie della filosofia, in effetti, sono due. Quella che si studia sui manuali è la versione ufficiale, il canone maggiore. I nomi che costellano questa tradizione sono illustri. Eppure, il canone maggiore è anche la vicenda di un lungo allontanamento dalla vocazione autentica della filosofia: "La filosofia sta da una parte sola. Essa scorre sulla linea che abbiamo chiamato minore". Rocco Ronchi tratteggia un percorso più silenzioso, e tuttavia ricchissimo di tesori spesso nascosti, il solo a non aver tradito il compito più urgente della filosofia. È il canone minore, che conta tra le sue fila William James negli Stati Uniti, Henri Bergson in Francia, Giovanni Gentile in Italia, Alfred North Whitehead in Gran Bretagna. Nomi prestigiosi, ma marginali nel dibattito odierno. Pensatori raffinatissimi, che sulla soglia del Novecento hanno pensato non il loro secolo, ma il secolo successivo, il nostro. La rivoluzione del canone minore non mette più al centro l'uomo con i suoi valori, il soggetto con la sua esperienza e i suoi desideri. Al contrario, questa nuova versione della storia della filosofia è profondamente antiumanistica e immoralistica, perché rivolge la sua attenzione alla natura, allo splendore della sua immanenza assoluta, alla sua incomprensibile e infinitamente intelligente processualità. In un dialogo serrato con la scienza contemporanea, Ronchi si chiede che cosa sono il tempo e la vita e dimostra che la filosofia è necessariamente una filosofia della natura.
Siamo nel 1919. La prima guerra mondiale è finita da poco. "Il dottor Benjamin fugge dalla casa di suo padre, il luogotenente Wittgenstein commette un suicidio finanziario, il libero docente Heidegger perde la fede e monsieur Cassirer lavora sul tram alla propria illuminazione." Comincia un decennio di eccezionale creatività, che cambierà per sempre il corso delle idee in Europa e senza il quale alcuni pensieri non sarebbero mai stati pensati. Wolfram Eilenberger mette in scena l'esplosione del pensiero, sullo sfondo di una Germania divisa tra l'esuberanza e la voglia di vivere del dopoguerra e l'abisso della crisi economica, tra la lussuria delle notti berlinesi e i complotti reazionari della Repubblica di Weimar, mentre il nazionalsocialismo si trasforma velocemente in una minaccia. I quattro protagonisti di questi anni decisivi sono giganti di ogni tempo. E le loro vite straordinarie si intrecciano nella necessità di rispondere alla domanda che ha orientato nei secoli la storia del pensiero: che cos'è l'uomo? Una domanda che si fa più urgente che mai nell'ombra di una guerra devastante appena conclusa e di un'altra catastrofe che si annuncia all'orizzonte. Con grande abilità narrativa, Eilenberger mostra che la vita quotidiana e i dilemmi della metafisica fanno parte della stessa storia. E racconta la più grande rivoluzione del pensiero occidentale attraverso i suoi quattro protagonisti assoluti, ciascuno con il proprio sguardo penetrante e il proprio modo di concepire la vita, il linguaggio, il tempo e il mito.
L'etica kantiana è stata di frequente vista - e criticata - come un'etica dell'interiorità. Diversa la prospettiva adottata in questo libro che, avvalendosi del contributo di studiosi italiani e stranieri, mette in relazione la riflessione etica del filosofo di Königsberg con il "mondo". Il volume si articola intorno ad alcuni nuclei principali: il problema del rapporto tra la libertà del volere e il mondo naturale dominato dalla necessità meccanica; la questione etica in senso stretto, sia nel processo di deliberazione morale sia nella concretezza dei doveri e degli oggetti della volontà; il ruolo del "mondo", secondo Kant, nell'orizzonte morale; infine, la concezione kantiana del tempo storico come tempo del progresso e del perfezionamento che indica la direzione di una "politica morale".
Nello straordinario periodo della storia del pensiero occidentale che va da Kant a Hegel, sullo sfondo delle grandi trasformazioni sociali, economiche e politiche di Sette e Ottocento, si sviluppa nell'ambito della filosofia tedesca l'idea di una moralità concreta. Già in Kant, anche nelle tensioni interne al suo pensiero, emerge l'intento di mostrare come la moralità possa trovare realizzazione nella vita degli uomini e nel loro vivere sociale. Con Fichte e Hegel l'interesse per la dimensione naturale dell'uomo e per le strutture sociali e istituzionali nelle quali l'individuo si trova a operare diventa il nucleo teorico che orienta la riflessione sui problemi morali, avviando quell'indagine sulla "seconda natura" dell'uomo che tanta parte avrà nel pensiero dell'Ottocento. Questo libro focalizza l'attenzione sull'idea di moralità concreta così come si profila nei tre grandi filosofi classici tedeschi, e illustra come essa si inserisce nel più ampio orizzonte della teoria della società, del diritto e dello Stato.
Indice: Prefazione. - Parte prima: Kant. - I. Ragione pratica e ragione empirica pratica nel pensiero di Kant. - II. La filosofia pratica di Kant e la realizzazione della morale. - III. Comandi e consigli nella filosofia pratica moderna. - Parte seconda: Fichte. - IV. Metamorfosi della libertà nel Sistema di Etica di Fichte. - V. La libertà e la sua realizzazione nella filosofia pratica di Fichte. - VI. Sulla "seconda natura" in Fichte. - VII. Diritto, lavoro e Stände: il modello di società di Fichte. - Parte terza: Tra Fichte e Hegel. - VIII. La società concreta. Considerazioni su Fichte e Hegel. - IX. Dovere e dottrina dei doveri tra illuminismo e idealismo. - X. Storie della coscienza nella filosofia classica tedesca. - XI. Sul concetto di "felicità" in Hegel. - Indice dei nomi.
Luca Fonnesu insegna Filosofia morale e Storia della filosofia nell'Università di Pavia. Per il Mulino ha già curato "La verità" (con S. Borutti, 2005) e "Etica e mondo in Kant" (2008). Fra i suoi libri ricordiamo inoltre "Storia dell'etica contemporanea" (Carocci, 2006)".
La storia dell'etica filosofica è percorsa dall'interesse per problemi ricorrenti in contesti teorici e storici anche molto diversi, che risultano centrali nei tentativi odierni di interpretare la vita morale non meno che in quelli compiuti nei secoli passati. Il riproporsi di tali questioni è segnato anche da forti discontinuità e da tentativi di scostarsi nettamente dagli esiti e dai metodi degli approcci precedenti. La convergenza su alcuni nuclei tematici, però, garantisce la possibilità di dialogo e di confronto tra prospettive diverse, anche cronologicamente lontane, e incoraggia la collaborazione tra l'approfondimento teorico e l'indagine storico-filosofica. In quest'ottica i saggi di questo volume offrono vie d'accesso ad alcuni temi classici, di fronte ai quali in etica si definiscono alternative teoriche di fondo: relativo/assoluto, naturale/normativo, valore/valori, ragione/passioni, comandi/consigli. Ciascuno di essi viene esaminato prima in riferimento a teorie antiche o medievali e poi soffermandosi su posizioni moderne o contemporanee. Attraverso analisi parallele si mostrano convergenze, differenze, cesure e possibilità di dialogo tra momenti diversi della storia dell'etica.
Stefano Bacin è attualmente borsista della Fondazione Alexander von Humboldt presso la Johannes Gutenberg-Universität di Magonza e sarà Marie Curie Fellow alla Goethe-Universität di Francoforte nel biennio 2011-2012. Ha pubblicato, tra l'altro, un volume sulla prima formazione di Fichte ("Fichte a Schulpforta, 1774-1780", Guerini, 2003; edizione tedesca Frommann-Holzboog, 2007), e uno sulle linee fondamentali dell'etica di Kant e la loro evoluzione ("Il senso dell'etica. Kant e la costruzione di una teoria morale", Il Mulino, 2006).
Ecco la prima opera di Jacques Derrida. Scritta nel 1953-54, quando era studente di Filosofia all'École Normale Supérieure di Parigi, propone una lettura dell'opera di Husserl che assume come filo conduttore il tema della genesi. Si trattava allora di analizzare le difficoltà e i rimaneggiamenti provocati nel pensiero del fondatore della fenomenologia dalla presa in considerazione del tempo, del divenire e della storia, tanto nella costituzione del soggetto trascendentale quanto nella produzione intenzionale del senso dei suoi oggetti, e in particolare degli oggetti scientifici. Oltre a permetterci di ricostruire aspetti filosofici e persino filosofico-politici della Francia del tempo, quest'opera annuncia anche la problematica e lo stile delle questioni "decostruttrici" che Derrida svilupperà nelle sue numerose opere tra il 1962 e il 1990.
Quest'opera tenta un approccio nuovo alla filosofia tardo-medievale indagando su una categoria specifica di destinatari dei testi filosofici: i laici, che la storiografia classica sul pensiero medievale ha finora trascurato. Il saggio di Imbach si propone innanzitutto di mostrare che non solo esisteva nel Medioevo una filosofia per i laici, ma vi erano anche dei veri e propri filosofi laici. È alla luce di questa problematica più generale che la filosofia di Dante Alighieri viene quindi esaminata da più punti di vista, quali la filosofia del linguaggio e la politica.
GLI AUTORI
Ruedi Imbach è docente di Storia della filosofia medievale e di Ontologia presso l’università di Friburgo in Svizzera.

