
C'è stato un momento a partire dal quale l'uomo ha iniziato a sviluppare un pensiero spirituale? Esiste uno scopo evolutivo nella religione? E come ha fatto quest'ultima a sopravvivere in un mondo sempre più secolarizzato? Basandosi su ricerche innovative, studi di casi clinici, storie di leader carismatici e di sette misteriose, lo psicologo evoluzionista Robin Dunbar propone un'analisi affascinante sul primo e più forte impulso umano: credere. Esplorando le religioni e le loro numerose derivazioni, comprese le religioni dell'esperienza praticate dalle prime società di cacciatori-raccoglitori, Dunbar sostiene che questo istinto non rappresenta un'anomalia peculiare degli esseri umani ma piuttosto un vantaggio. Essa può giovare alla nostra salute e al nostro benessere individuale, e, cosa ancora più importante, può favorire i legami tra comunità, aiutando a tenere insieme le società più frammentate. Dunbar suggerisce che queste dimensioni potrebbero fornire la base per una teoria generale sul perché e sul come gli esseri umani sono religiosi, contribuendo così a unificare la miriade di filoni che attualmente popola questo campo. Introduzione di Franco Fabbro.
Secondo il filosofo americano John Searle, "il materialismo è la religione del nostro tempo, almeno per la maggioranza di coloro che studiano la mente. Ed è accettata senza domande", in realtà, far dipendere la ricchezza della nostra vita interiore soltanto dal cervello si scontra con il senso comune e solleva notevoli problemi filosofici. L'alternativa a tutto ciò è il dualismo, che salva l'autonomia della mente. Questa posizione, espressa in forma moderna da Cartesio, è però spesso trascurata in Italia (ma non nel mondo anglosassone, dove il dibattito si svolge apertamente). Si propone dunque la prima raccolta nella nostra lingua dei più importanti esponenti del dualismo contemporaneo. Tra gli autori, si segnalano David Chalmers, Richard Swinburne, Jonathan Lowe, Charles Taliaferro. Il volume colma una lacuna nella letteratura filosofica, è destinato a diventare un punto di riferimento, ma si candida anche a "muovere le acque culturali" per il suo tema e le sue argomentazioni. Costituisce in qualche modo un'"eresia" per la scienza, benché sia un testo rigoroso, equilibrato e ben incardinato nella metodologia della filosofia analitica. L'ampia introduzione di Andrea Lavazza ne permette comunque l'accessibilità a un pubblico ampio e la prefazione di Michele Di Francesco illustra il valore scientifico e l'utilità didattica dell'opera.
Lo studio analizza un'articolazione sia storica sia teorica della nozione di rappresentazione essenziale nella filosofia moderna e quasi paradigmatica nella filosofia contemporanea. E prova, soprattutto, a progettare una visione alternativa. La visione che sintetizza la contemporaneità filosofica considera la rappresentazione non una possibilità di ingresso all'oggetto di riferimento, ma un oggetto di riferimento a sé, e ha il potere, tra l'altro, di dare una visibilità particolare ad altri quesiti filosofici cruciali: la relazione tra empiria e verità, il quesito sulla fondazione, la nozione di verità e gli statuti della rappresentazione scientifica e della rappresentazione artistica. Lo studio analizza il significato radicale della nozione di rappresentazione, la sua genesi moderna attraverso l'empirismo britannico del Seicento e del Settecento, il suo sviluppo sia attraverso Kant sia attraverso gli empiristi logici, ispirati da Wittgenstein e in dialogo critico con Cassirer, e il suo risultato contemporaneo, in particolare la filosofia analitica, in confronto critico sia con il pragmatismo sia con la fenomenologia.
Il volume raccoglie otto studi che attraversano gli orizzonti della filosofia antica, analizzata muovendo da taluni aspetti del pensiero socratico e platonico, della filosofia moderna, indagata a partire dai problemi della libertà religiosa, del male, della teodicea, e della riflessione contemporanea, affrontata innanzitutto dalla prospettiva del legame tra religione, storicismo, liberalismo. Domina i saggi adunati una tensione euristica che, se rinviene il suo focus nel religioso, nel suo spazio, nel suo istituirsi come un'alterità nell'uomo, prima che fuori dell'uomo, non cessa di misurarsi costantemente con le dimensioni del concreto storico ed etico. Ne risulta una rotazione attorno a taluni nodi tematici che rimbalzano e si rincorrono da un saggio all'altro a formare, in tale trasmigrare, un'essenziale coerenza e una non tautologica trama di rimandi e risonanze.
I consigli e gli esercizi contenuti in questo libro vengono svelati per la prima volta al pubblico occidentale. Per migliaia di anni i maestri taoisti hanno insegnato questi segreti ai pochi eletti delle corti imperiali e dei circoli esoterici, obbligandoli a mantenerli. Ora, un giovane maestro taoista e sua moglie, essi stessi praticanti questa antica arte del sesso, sentono il bisogno di condividerne la conoscenza con il resto del mondo. Due sono i metodi principali che gli autori insegnano alle donne per coltivare e potenziare la loro energia sessuale. Il primo è la respirazione ovarica, che può abbreviare il ciclo mestruale, ridurne gli effetti dolorosi e accumulare una maggiore quantità di energia vitale (Chi) nelle ovaie, per accrescere la potenza sessuale. Il secondo, la spinta orgasmica verso l'alto, può essere praticato da sole oppure assieme al partner. Appresa questa tecnica, si può provare un orgasmo totale che va al di là del comune orgasmo vaginale, senza tuttavia disperdere l'energia vitale.
L'interesse antropologico e la tensione etica che nutrono il pensiero di Ágnes Heller, filosofa ungherese vivente, formatasi alla "Scuola di Budapest" con G. Lukàcs e il marito F. Fehér, rendono di notevole interesse e di straordinaria attualità il suo percorso intellettuale, che questo studio si propone di ripercorrere sino alle sue ultime formulazioni, presentando per la prima volta in Italia l'evoluzione complessiva di questo pensiero. La vocazione all'analisi della realtà socio-politica del Novecento, degli eventi devastanti dei totalitarismi sia di destra e che di sinistra, colti negli effetti più distruttivi, come la Shoah e i gulag, si tramuta nella ricerca delle conseguenze del loro fallimento, nel momento in cui hanno svuotato la sfera politica di ogni tensione verso l'uomo, colto nella concretezza e nella caducità dei suoi bisogni e desideri. Se l'attenzione alla "vita quotidiana" e alla sfera dei "bisogni" diventa il fulcro dei suoi interessi, ciò non significa dotare di una svolta pragmatica e materialistica il suo pensare, bensì rilanciare l'antico spazio politico dell'agorà, inteso come ambito pubblico riempito dall'impegno collettivo e dalla pratica della giustizia, in cui trova espressione il carattere originario della vita umana. È questa riscoperta del nucleo etico, della tensione che dovrebbe informare ogni relazione umana e politica verso un essere per l'altro, e non semplicemente un essere con l'altro, che consente alla filosofa di tracciare una visione della società oltre l'individualismo e la dispersione etica attuale, per una rivalutazione della specificità dell'agire umano, finalisticamente orientato - alla maniera aristotelica - verso la "vita buona".
"La storia vuole essere obiettiva e non può esserlo. Vuol far rivivere e non può che ricostruire". Così, in un saggio del 1961, Paul Ricoeur definiva la condizione del sapere storico. Conoscenza indiretta, inesatta, costretta a servirsi di metodi e linguaggi presi in prestito da altre discipline, la storia resta pur sempre qualcosa di cui, come esseri umani, non possiamo fare a meno. Ma cosa significa conoscere il passato? Che cos'è la verità storica? Questo volume, pur muovendo da una trattazione dei lineamenti fondamentali della teoria ricoeuriana della storia, cerca di spingersi oltre, esaminando l'incidenza che le riflessioni di Ricoeur hanno avuto sugli storici, e in particolare sulle nuove generazioni della scuola storica delle "Annales" alle prese con la crisi del classico modello della storia strutturale e quantitativa.
Un ritratto complessivo di uno dei pensatori dell'antichità, la cui prodigiosa attività di ricerca, dalla metafisica alla biologia e alla fisica, dalla psicologia all'etica, dalla politica alla poetica, dalla retorica alla logica, ha rappresentato una vera e propria "enciclopedia del sapere" destinata a esercitare un'influenza duratura sul pensiero occidentale.
IL LIBRO
Allan Bloom pubblicò questo saggio nel 1987. Dopo oltre vent’anni possiamo dire che le sue tesi, allora strenuamente combattute dalla sinistra liberal, si sono rivelate profetiche e godono di una considerazione sempre più ampia.
A giudizio di Bloom la cultura americana – ma lo stesso vale per la cultura di qualsiasi democrazia occidentale – vive dagli anni ’60 una crisi profonda, dietro un’apparenza di liberazione e creatività. Caduto il tradizionale confine tra l’accademia e la società, una miriade di rivendicazioni ha fatto irruzione nelle università, direttamente dalla società e dalla politica, scardinando un sistema senza proporne uno alternativo. Nelle nostre democrazie governate dall’opinione pubblica, la scuola non è più un’isola di libertà intellettuale, dove tutte le opinioni sono prese in esame senza restrizioni e pregiudizi, ma si è trasformata nel magazzino delle influenze più nocive prodotte dalla cultura popolare: prime fra tutte il relativismo e un malinteso senso dell’uguaglianza (il multiculturalismo), uniti in un’intenzione morale. In base a questo nuovo e pericoloso conformismo, la verità non esiste più e crederci, più che un errore, è un segno di intolleranza. Agli occhi di studenti e professori il relativismo è il nutrimento di una mente aperta, per la quale le diverse culture hanno tutte lo stesso peso, mentre le religioni non sono altro che opinioni, senza nessun rapporto con la conoscenza. L’apertura mentale si è così trasformata in chiusura: al sapere, ai valori, alle differenze, ai fatti.
Per Bloom l’università deve tornare ai classici occidentali della filosofia, della letteratura, dell’arte, della storia. Deve rimettere al centro i libri e il loro studio, perché l’apprendimento sui libri è il più grande contributo che un professore può dare ai suoi studenti. Deve rielaborare il concetto greco di educazione, che mira alla realizzazione di tutto il potenziale umano naturale e alla ricerca del bene attraverso la ragione. Ciò che è essenziale nei dialoghi di Platone può essere riproposto in qualsiasi tempo perché esiste una sola, vera comunità degli uomini: quella di coloro che desiderando sapere ricercano la verità.
L'AUTORE
Allan Bloom (1930-1992) è stato un insigne filosofo e un brillante scrittore. Ha insegnato nelle università di Tel Aviv, Toronto, Chicago, a Yale e alla Cornell University. Tra le sue opere, ricordiamo Giants and Dwarfs. Essays, 1960-1990 e Shakespeare on Love and Friendship. Saul Bellow si ispirò all’amico e collega di università Allan Bloom per il protagonista del suo romanzo Ravelstein.
Il tema del dimenticare e del suo contrario è più che mai un tema d'attualità in una civiltà smemorata e pur avida di memoria come la nostra. La storia degli individui come delle società procede in un intreccio di memoria e oblio dove l'una non sta senza l'altro. Ma se la memoria è oggetto di riflessioni e studi, lo stesso non può dirsi dell'oblio. Con questo libro Weinrich ha inteso presentare una storia culturale dell'oblio, un'ambiziosa panoramica dall'alba della civiltà, ai giorni nostri.