
Lo studio di filosofia delle religioni, della sua riflessione fenomenologica sull'approccio al sacro e sull'esperienza religiosa, intende offrire le condizioni per tracciare temi e aspetti comuni a tutte le religioni e filosofie di vita, all'insegna di un'analisi incentrata sulla ricerca di una concordanza di valori, di scelte etiche consapevoli e universali, nella dinamica espressiva di coinvolgimento della persona nel suo aprirsi al divino con correttezza interpretativa. Ne deriva l'ineludibilità di un impegno condiviso d'intenti, di aperture di rispetto dell'altro-che-crede-da-me, nella consapevolezza esistenziale e di coscienza morale, di una realtà trascendente, concepita come Essere Eterno (religioni) o sacralità di pienezza (filosofie di vita). Non manca la riflessione per una possibilità d'incontro comunitario tra i rappresentanti dei diversi credi del mondo all'insegna dell'intesa universale, in nome della volontà di scelta ontologica e assiologica, dell'attestazione del trascendente, della dignità dell'uomo, in uno sguardo più ampio di ciò che è l'ideologica strumentalizzazione esistenziale soggettiva del proprio credo. Questo studio filosofico-religioso è sostenuto dall'intenzione di fare chiarezza sugli elementi e sui paradigmi che accomunano le diverse esperienze religiose nel loro intento di unità, nella molteplicità di approcci e di prospettive, per estensioni storico-etiche di rispetto, di pace e per la realizzazione dell'interiorità umana. In questo senso, la trattazione sviluppata offre una prospettiva filosofico-ecumenica.
Noto come «medico della giungla» e premio Nobel per la pace, in Italia Albert Schweitzer è ancora poco conosciuto come pensatore potente e straordinario anticipatore. Il suo impegno filantropico ha tenuto in secondo piano l'attualità del suo pensiero teologico-filosofico, in particolare la rivoluzione del principio del «rispetto per la vita», capace di rinnovare radicalmente l'etica e di indirizzare verso la pace. Di fronte alla minaccia di una catastrofe nucleare ed ecologica, gli scritti qui presentati mostrano con grande chiarezza la sorprendente attualità del lavoro di Schweitzer in difesa della vita - inclusa quella animale - e della libertà di pensiero.
Che cos'è il viaggio? Una presa di coscienza dell'altro, un'alterità che c'interpella e ci costringe al confronto, un'esperienza che non è possibile senza una frattura, un distacco da noi stessi. Viaggiare non è mai stato così facile come oggi, eppure raramente ci s'interroga sul suo valore e sul suo significato. Il viaggio è diventato una metafora abusata, la funzione essenziale del nostro essere sempre in rete. Spesso si riduce a un semplice spostamento, a una dislocazione dei consumi, e può indicare tanto una vacanza organizzata quanto i viaggi dei migranti. In questo libro, il filosofo Franco Riva studia la fenomenologia del viaggiare e cerca di riportare al loro senso profondo le parole che la accompagnano: ospitalità, incontro, meraviglia, responsabilità, libertà... Riva guarda al viaggio nella vita privata, nelle dinamiche globali, nelle sue declinazioni esistenziali e letterarie. Al centro della sua analisi c'è una necessità urgente e profonda, quella di ricreare, prima di tutto dentro di noi, quello spazio aperto che permette al viaggio e alla vita di continuare a intrecciarsi l'uno con l'altra.
Tra il dicembre 1854 e il maggio 1855 Kierkegaard pubblica sul quotidiano danese "La Patria" una serie di articoli, nei quali polemizza con la cristianità ufficiale e i suoi rappresentanti che pretendono di essere considerati autentici testimoni del Vangelo senza tuttavia rinunciare alla mondanità e ai benefici statali di cui godono. A questi articoli si aggiunge "Questo dev'essere detto; lo si dica dunque", un opuscolo che anticipa di un solo giorno l'uscita del primo numero de "L'istante", l'organo di stampa pensato dal filosofo per dare voce al proprio risentimento verso una situazione che non esita a definire "un prendersi gioco di Dio". In prima traduzione italiana, gli scritti con cui Kierkegaard compie l'estremo tentativo di suscitare nei suoi contemporanei la coscienza dell'infinita differenza qualitativa tra l'uomo e Dio. Introduzione di Alberto Siclari.
Negli ultimi anni si è venuta delineando in Francia una corrente di pensiero, denominata poststrutturalismo, che sembra indirizzare la ricerca filosofica verso un unico scopo: restituire all'uomo la sua libertà, o la sua dignità di essere libero. Negli ultimi anni si è venuta delineando in Francia una corrente di pensiero, denominata poststrutturalismo, che sembra indirizzare la ricerca filosofica verso un unico scopo: restituire all'uomo la sua libertà, o la sua dignità di essere libero.
Pochi testi come questa discussione del filosofo francofortese con gli studenti della Libera Università di Berlino Ovest restituiscono le atmosfere, la vivacità intellettuale, il desiderio di cambiamento che trovò espressione nei movimenti giovanili del '68. Marcuse discute con gli esponenti del movimento studentesco le forme e le strategie di una opposizione radicale nelle società sviluppate dell'Occidente e come questa possa ricollegarsi alle lotte di liberazione nel terzo mondo, in primo luogo quella vietnamita. Secondo Marcuse la fine dell'utopia non vuol dire che ad essa dobbiamo rinunciare, ma che la trasformazione profonda dei rapporti sociali è divenuta una possibilità resa concreta dal poderoso sviluppo delle forze produttive e intellettuali, che la soggettività dei movimenti è chiamata a liberare dalla gabbia dello sfruttamento e dell'ordine costituito.
Il libro di Marcello Colitti, ex dirigente Eni e autore eclettico, è indirizzato agli studiosi di filosofia, a quelli delle teorie politiche, ai politici tout courte a tutti coloro che si interrogano non senza sconcerto e apprensione sulle sorti della nostra comunità civile.
Al centro del volume è l’opera di Baruch Spinoza; ma il focus di questo agile saggio è senza dubbio puntato sull’aspetto politico del pensiero del grande filosofo seicentesco.
Spinoza è il primo a usare la parola “democrazia”, dice Colitti, che è il punto chiave, il perno attorno a cui ruota la discussione politica dei nostri giorni. Scopo dello Stato, per Spinoza, è la libertà dei cittadini: un’espressione rivoluzionaria, allora come oggi.
La creazione dello Stato è un atto collettivo per uscire dallo “stato di natura” – in cui tutti lottano contro tutti, nulla si può conservare e il progresso è scarso – per entrare in una società in cui esso detta le regole, con il fine della libertà e del progresso.
L’uomo spinoziano, divenuto cittadino, non abbandona la sua originaria pulsione a sopravvivere e a perfezionarsi, ma riconosce che il miglior amico di se stesso sono gli altri uomini. Ognuno deve dunque vivere il più possibile secondo ragione: cioè cercare la gioia e allontanare da sé la tristezza e l’odio.
Su queste basi, Spinoza elabora un catalogo delle virtù civili del cittadino, che a distanza di quattro secoli risultano straordinariamente attuali. Immagina per esse addirittura una tavola sinottica, chiara, razionale, essenziale.
La riflessione di Colitti ruota proprio attorno a questo schematico ed esaustivo prontuario. Ipotizza l’applicabilità dell’etica civile di Spinoza al mondo contemporaneo. Perché quelle sono, oggi come allora, le virtù che permettono uno sviluppo razionale e ragionevole della società umana.
Se esse vengono a mancare, l’economia soffre della cupidigia del ricco e dell’eccessiva difesa dei poveri – o ex poveri – verso ciò che hanno già ottenuto, creando una società chiusa e incapace di vero progresso.
Un'architettura degna e una città decente sono la sola alternativa possibile al degrado dell'urbano e dell'umano: questo emerge dalle riflessioni di Paul Ricoeur sulla città, per la prima volta raccolte insieme e tradotte. Tra insicurezza e alienazione la vita nella città si fa sempre più difficile e ingiusta. La diffidenza e la paura che crescono nei rapporti umani trovano corrispondenza nella bruttura dell'edificato urbano, vera e propria congestione di spazi. La città dimenticata l'accoglienza e il costruire perde la memoria del proprio gesto.