
Le barzellette sull’Aldilà
che spiegano l’Aldiqua
Un uomo cade in un burrone e si aggrappa per un pelo a
una radice sporgente. Disperato, grida con le forze che
gli restano: “C’è nessuno lassù che possa salvarmi?”.
Il cielo si apre e in un raggio di luce gli parla una voce
di tuono: “Sono il Signore Dio tuo. Lascia la radice e
ti salverò”. L’uomo ci pensa un attimo poi grida: “C’è
qualcun altro?”.
I cani vanno in Cielo? È possibile che il fantasma di mia zia infesti il mio frigorifero? Perché l’ippopotamo morto lo stesso giorno di Heidegger è stato fortunato? Dalla natura dell’Inferno all’immortalità dell’anima (e dei dolci natalizi) Cathcart e Klein si cimentano con i nostri millenari interrogativi sulla vita e sulla morte e dimostrano che la filosofia non è poi così incomprensibile. E l’Aldilà nemmeno.
La metafisica, inaugurata da Platone, secondo Martin Heidegger ha messo in circolazione un'unica forma di pensiero: il pensiero calcolante, che ha trovato nell'economia e nella tecnica l'espressione più alta e organizzata. "Tutto funziona", scrive Heidegger, e "questo è appunto l'inquietante". La tecnica è infatti la realizzazione compiuta dell'intenzione segreta della metafisica, la più idonea a garantire non solo la disponibilità di tutte le cose, ma anche la loro riproducibilità. Eppure, la razionalità imposta dalla tecnica, che esige di raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi, finisce per mettere fuori gioco la condizione umana. Ciò che fuoriesce da questa razionalità, per la tecnica è solo un elemento di disturbo e dunque deve essere eliminato. Accade però che l'uomo non sia solo razionalità, ma anche irrazionalità. Infatti irrazionale è la fantasia, l'immaginazione, l'ideazione, il desiderio, il sogno. E se questi aspetti vengono ridotti o soppressi, abbiamo ancora a che fare con l'uomo? Umberto Galimberti ci conduce nella riscoperta del pensiero di Heidegger e fa un fondamentale passo in avanti. Al tempo di Heidegger la tecnica poteva ancora essere considerata uno strumento nelle mani dell'uomo. Oggi non lo è più: è diventata l'ambiente in cui l'uomo vive, e l'uomo stesso è diventato un funzionario della tecnica. "Questo libro", scrive Galimberti, "è una guida alla lettura di Heidegger e, come ogni guida, conduce da un 'primo inizio' a un 'altro inizio', come lo chiama Heidegger, per giungere al quale occorre attraversare l'intero pensiero occidentale, che è stato governato dalla metafisica inaugurata da Platone".
Come si è differenziata la riflessione di Heidegger sul male morale rispetto alla tradizione moderna? Sul filo di questa indagine filosofica, sinora poco esplorata e qui corredata di una scelta antologica, il volume mostra l'originalità con cui Heidegger - nei suoi scritti giovanili, in Essere e tempo, fino ai Quaderni neri - elabora il problema del male nella sua dimensione ontologica, superando la classica distinzione fra male metafisico, fisico, morale. Un'analisi fenomenologica che porta a riconsiderare, e mettere in discussione, anche la grande questione di una giustificazione heideggeriana dell'antisemitismo, dai diversi punti di vista: storico, filosofico, metafisico. Confondere i piani, come giornalisticamente è accaduto, e ricondurre il tutto a un "a priori" razionalistico con cui spiegare insieme il pensiero e la vita del filosofo, non aiuta a comprendere il rapporto, osservato in queste pagine, fra teoria ed esperienza umana, capace di illuminare le sue scelte biografiche e politiche.
Perché Martin Heidegger ascrive agli ebrei l'oblio dell'Essere? Qual è allora il rapporto tra l'Essere e l'Ebreo? In che senso viene imputata agli ebrei la colpa più grave, da cui dipende il destino dell'Occidente? E perché questa accusa viene mossa negli anni trenta, dopo le leggi di Norimberga (1935), mentre inizia la guerra planetaria che dovrebbe condurre la Germania nazionalsocialista al dominio del mondo? "I Quaderni neri" di Heidegger oltre a dischiudere un'inedita prospettiva sul pensiero del filosofo, hanno suscitato un nuovo, intenso dibattito. L'antisemitismo metafisico solleva inquietanti interrogativi e rinvia alla responsabilità della filosofia nello sterminio. A un anno dalla prima edizione di questo libro, già più volte ristampato, Donatella Di Cesare prende in considerazione gli ultimi "Quaderni neri", che giungono fino al 1948, interpretando i passi e gli aforismi sulla Shoah e sull'immediato dopoguerra.
Nella lunga crisi della grande filosofia seguita alla fine del sistema hegeliano, Heidegger ci ha restituito il senso di cosa significhi pensare in grande stile. Non solo per la grandezza e lo spessore della sua opera, venuta alla luce in tutta la sua imponenza. Non solo per l'acuta sensibilità che Heidegger ha mostrato nei confronti dei problemi fondamentali della nostra epoca: il venir meno della coscienza religiosa, la crisi dei valori tradizionali e la sfiducia nei confronti di una ragione solo strumentale, la fine dell'assoluto sulla terra e il chiudersi dell'orizzonte epocale della tecnica. Ma anche e soprattutto per il fatto che, con una radicalità che nessun altro dopo Hegel aveva osato, Heidegger ha saputo ripensare nel suo insieme l'accadere della filosofia occidentale, riproponendo come problema filosofico la questione dei fondamenti dell'epoca presente e della sua connessione essenziale con il pensiero greco. In quest'orizzonte, la presenza di Aristotele nel pensiero heideggeriano non è circoscrivibile nelle forme di una semplice interpretazione. Essa è piuttosto una presenza generalizzata che pervade tutta l'opera di Heidegger e che si configura nei termini di una forte assimilazione e di un confronto mediante cui il filosofo tedesco si è appropriato dell'ontologia e della filosofia pratica di Aristotele.
Heidegger ha sempre concepito il suo pensiero come un vero e proprio destino, presentando i problemi filosofici come strutture fondamentali dell'esistenza umana e insieme interpretando le soluzioni date a quei problemi nel corso della tradizione occidentale come eventi epocali nella storia dell'essere. Questo libro, pensato come una nuova e completa introduzione all'opera heideggeriana - dalla sua genesi alla fine degli anni Dieci sino agli ultimi esiti agli inizi dei Settanta -, mostra che in realtà tale "destino" è dipeso da scelte precise compiute dal filosofo e invita ad attraversare ancora una volta una riflessione senza la quale non si potrebbe capire a fondo la sfida del nostro tempo.
«L'uomo, nella sua essenza secondo la storia dell'essere, è quell'ente il cui essere, in quanto e-sistenza, consiste nell'abitare nella vicinanza dell'essere. L'uomo è il vicino dell'essere.»
Karl-Heinz Ilting, noto studioso di Hegel e curatore delle lezioni hegeliane di filosofia del diritto, della religione, della natura, della storia, ha fornito un importante tassello alla letteratura critica rendendo accessibili materiali inediti. Ma il suo contributo, che emerge in filigrana da queste pagine, va oltre Hegel: riguarda il suo legame con il diritto naturale moderno e i suoi effetti sul pensiero contemporaneo. Il pensiero hegeliano, che qui si presenta nel suo sviluppo rispetto alla storia del pensiero politico, fra istanze classiche e moderne e in particolare nel confronto con Aristotele, fino alla elaborazione della filosofia del diritto e di concetti alla base dello Stato quali "moralità", "libertà individuale", "eticità", è osservato alla luce della categoria di "adattamento" (Anpassung) alla contingenza storica, che spiegherebbe la torsione della concezione politica hegeliana in senso conservatore piuttosto che liberale. Eppure a questo adattamento si può ricondurre il vissuto biografico di Hegel più che l'idea di fondo: una coscienza della libertà che non giunge, per contingenze storiche, a sollevarsi dal piano della descrizione fattuale a quello normativo. Una linea interpretativa che fa scorgere in Hegel stesso i germi di quel movimento epocale e inarrestabile che è il nichilismo, invitando a ripensare l'intero sistema hegeliano.
Oggetto costante della riflessione di Hegel, dagli scritti “teologici” giovanili sino alle tarde lezioni sulla filosofia della religione, l’interpretazione della figura di Cristo accompagna l’evoluzione del suo pensiero. Il risultato è una lettura filosofica della fede che al Gesù “storico” dei Vangeli contrappone il Cristo “dogmatico”, l’Uomo-Dio nel quale viene a coscienza l’unità di finito e infinito destinata a cambiare la storia. Un riconoscimento del cristianesimo, come religione della libertà, che implica, però, il passaggio dalla passione del Golgota al “venerdì santo speculativo”. Nella croce muore il Figlio, Gesù di Nazareth, e, insieme, il Padre, il Dio trascendente degli ebrei. Dalla doppia negazione sorge il “nuovo” Assoluto, lo Spirito del mondo la cui attuazione coincide con la secolarizzazione moderna. Il volume costituisce una introduzione alla cristologia hegeliana e alle sue interpretazioni, dalla sinistra hegeliana alla teologia contemporanea, accompagnate da opportuni percorsi bibliografici.
Hegel, l'imponente filosofo, snodo fondamentale del pensiero dell'Occidente, ha sempre suscitato le mie resistenze. Non tanto per un'ostilità, quanto perché il suo formidabile sistema si annunciava come la fine di un'epoca. Ma Hegel spariglia sempre le categorie in cui i suoi lettori intendono rinchiuderlo. Il suo pensiero non si offre con facilità, ma invita il lettore a confrontarsi non tanto con ciò che Hegel afferma, quanto con il percorso in base a cui Hegel arriva a dire ciò che dice. Questo è il metodo che il filosofo propone: confrontarsi con una verità che è generata, che si fa in una storia; il prima e il poi non costituiscono una semplice successione, ma un movimento di cui non dominiamo completamente l'origine e la legge. Intorno a questa idea di verità lavorano le pagine di questo libro, suscitate dalla commozione per lo stile hegeliano, in quanto esso non riposa sulla presunzione di un possesso cosciente di sé e della realtà, ma sul riconoscimento di una lacerazione e di un negativo come strutture dell'io. La lettura di Hegel è anch'essa presa in questo spiazzamento continuo, in questa storia non lineare: alterità all'opera nel pensiero, processo che si genera nello spazio di un probabilmente.