
Con testi di Enzo Bianchi e Giannino Piana. La sessualità, la bioetica, il valore della confessione, l'accoglienza dei "diversi", la dannazione eterna: sono solo alcuni dei temi scottanti trattati in questo piccolo ma denso saggio di un grande filosofo cattolico che delinea con acutezza uno "scisma sommerso", quella distanza che si va creando fra la dottrina ufficiale della chiesa, restia ai cambiamenti, e le coscienze vive dei fedeli, nel pieno della riforma di papa Francesco. Nuova edizione di un testo a suo tempo profetico.
Che animale è un Homo sapiens? Cosa lo distingue dagli altri? La libertà? Oppure questa è un'illusione? Sono domande che ci poniamo da secoli: su libero arbitrio e predestinazione si è consumata la frattura tra Cattolicesimo e Riforma; di uomo-macchina e determinismo ha discusso la filosofia tra il Seicento e l'Ottocento, poi è arrivato Darwin con la sua "pericolosa idea" dell'evoluzione; nel Novecento tutto è sembrato dipendere dai geni; i progressi delle neuroscienze hanno spostato - l'indagine all'interno del cervello. Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello fanno il punto sullo stato attuale della ricerca e analizzano i limiti teologici, fisici, etici e biologici che condizionano l'individuo. Il risultato è una nuova concezione di libertà: non più un dono dato per scontato, ma un processo strettamente legato alle nostre azioni. L'uomo costruisce la sua libertà giorno dopo giorno e poco importa se agisce contro Dio e la natura o se accetta le loro regole, perché, alla fine, non siamo altro che il prodotto delle nostre scelte.
«L'epidemia che ci ha colpito si è manifestata con la violenza dell'imprevedibile» eppure prevedere e decidere il proprio benessere è oggi tra le condizioni principali della nostra società. Uno dei filosofi attuali più lucidi riflette sul dramma del coronavirus a partire dalle parole che usiamo per spiegare questo evento e le sue conseguenze: perché il "futuro" è diverso dall'"avvenire", il "mondo" dal "reale", la "scienza" dagli "scienziati", l'"ottimismo" dalla "speranza", ma anche perché la modalità del "morire" ci ha atterrito più della "morte" in sé, fino a comprendere che l'autentica "libertà" non consiste nel fare ciò che si vuole. Come ci ha cambiato l'epidemia? Che cosa possiamo fare per non farci sopraffare? «dovremmo essere più seri nel vivere il tempo, che non è mai solo il "nostro tempo", il tempo delle nostre "urgenze private"», afferma l'autore indicando un atteggiamento per il "dopo" e citando La peste di Camus: «bisogna restare, accettare lo scandalo, cominciare a camminare nelle tenebre e tentare di fare il bene».
«Esiste uno scandalo del bene, che ci dovrebbe sorprendere almeno quanto lo scandalo del male, che ne è il rovescio». Qual è l'essenza del bene? E in che modo può essere il risultato della nostra azione e l'oggetto del nostro desiderio? Il bene etico - spiega Boulnois in questa breve riflessione - non è un concetto, ma innanzitutto ciò che facciamo con rettitudine; dipende da noi, dalla nostra azione, dal nostro comportamento. Poiché esso è desiderabile, ci appare come buono. E poiché lo desideriamo, lo facciamo. Lo stesso bene può infatti designare l'oggetto del nostro pensiero, lo scopo dei nostri desideri e il risultato delle nostre azioni azioni.
"In questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efficace il 'pensiero storico' di Socrate. La lettura di questi Dialoghi ci farà conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario."
"Il lirico -- insieme alla preghiera personale, che pone al centro del rapporto la propria persona e il suo patema -- è il luogo, "eterno ed universale", dove la coscienza umana scopre L'"esistenza" e il sé si lega, nei flutti del principium individuationis, all'albero dell'Io per non soccombere".Una definizione a partire dalla quale l'autore si interroga sulla relazione tra lirica e filosofia nell'età moderna -- ove il soggetto da presupposto diviene problema -- e in Qohélet, ove lo sguardo poetico getta una fredda luce sulla creaturalità dell'esistenza e fa da controcanto alle certezze della sapienza. Quasi che lirica e filosofia, con movenze linguistiche diverse, si incontrino al cospetto di quell'enigma che va sotto il nome di uomo.
In questo straordinario testo emerge quello che potremmo definire il discorso sul metodo di Guardini maestro di ermeneutica: l'interprete vi appare come colui che cerca di chiarire a sé ciò che un altro ha plasmato a suo modo. Ma l'approccio a un testo non deve ridursi a filologismo o estetismo: il rapporto con il linguaggio testuale deve saperne apprezzare la molteplicità di strati e l'ampiezza di significati. Per tutto ciò occorre andare incontro al testo con empatia: l'interpretare per Guardini è un incontro dialogico, un guardarsi l'un l'altro, un volgersi reciprocamente lo sguardo. La sorpresa sarà allora che il poeta - Rilke, Shakespeare, Hopkins, Dante, Raabe - avrà espresso qualcosa che trascende la sua concreta individualità - qualcosa che addirittura lo sorprenderebbe. È il fascino di ogni incontro, sia esso con una persona o con un testo letterario. Per Guardini l'opzione ermeneutica non nasce mai da debolezza teoretica, da un rifugiarsi dietro un altro, ma è un modo originale di ritrovare uno sguardo sul mondo, per cui vale per lui quanto diceva Goethe: «Se non avessi portato già il mondo in me mediante l'anticipazione, sarei rimasto cieco anche con gli occhi "veggenti"». (Silvano Zucal)
Un'indagine sulle strutture che costituiscono il fondamento della cultura occidentale. "Nella tradizione della filosofia occidentale, l'uomo appare come il mortale e, insieme, come il parlante. Egli è l'animale che ha la "facoltà" del linguaggio e l'animale che ha la "facoltà" della morte. Altrettanto essenziale è questo nesso nell'esperienza cristiana. La facoltà del linguaggio è la facoltà della morte: il nesso fra queste due "facoltà", sempre presupposte nell'uomo e, tuttavia, mai messe radicalmente in questione, può veramente restare impensato? E se l'uomo non fosse né il parlante, né il mortale, senza per questo cessare di morire e di parlare?"
Ogni comunicazione non è solo un suono tra la mia voce e il tuo orecchio, ma il trasferimento da una mia complessa struttura logico-informatica verso un altro tuo complesso informatico di pensieri significanti, di sentimenti ed arti esaltanti, e di espressioni trascendenti la fisicità di questo stupendo Universo. Il linguaggio significa l'anima e il suo conoscere: solo un Dio, misteriosamente Infinito e Onnipotente, poteva realizzare tutto ciò in questo magnifico cosmo di fuochi galattici, di palle e palloni e buchi neri, ma, soprattutto, di luce.
Questo libro raccoglie i contributi del terzo Forum Edith Stein sul tema del linguaggio.
In questa seconda raccolta si ritrovano gli interventi che si sono maggiormente concentrati sul rapporto tra linguaggio e maturazione religiosa nel pensiero steiniano.
"Viviamo in una confusione linguistica babilonica. Con difficoltà si può usare un'espressione senza, senza dover temere che un altro intenda qualche cosa di assolutamente contrario di quanto si intendeva" (da Essere finito ed Essere eterno).
Dai lavori dei tardi anni sessanta all’ultimo, decisivo contributo sulla biolinguistica, qui sono presenti tutti i capisaldi del Chomsky teorico. «Il contributo maggiore allo studio del linguaggio risiederà nella conoscenza che esso può fornire quanto al carattere dei processi mentali e alle strutture che essi formano e manipolano»: la sua affermazione, datata 1967, si è rivelata profetica. Partendo dal presupposto che compito di una teoria generale della struttura linguistica sia esplicitare le regole grammaticali che consentono di generare infinite frasi, Chomsky ha indagato i princìpi di una «grammatica universale» anche alla luce di una prospettiva biolinguistica che si misura con le nuove acquisizioni del cognitivismo e delle neuroscienze, e affronta inediti, radicali interrogativi.
Risolvere il problema del male è sempre stata l'ambizione di ogni tentativo di teodicea. Come gli altri esemplari del genere, il saggio di Rosmini utilizza, vagliandoli uno per uno, una serie - storicamente 'codificata' - di complicati meccanismi giustificativi. L'idea centrale di questo lavoro non è tuttavia quella di analizzare soltanto la soluzione offerta, indovinandone in 'filigrana' illustri interlocutori come Leibniz, Rousseau, Malebranche, Bayle e Spinoza: è fin troppo semplice mostrare come anche la teodicea rosminiana funzioni solo per i 'grandi numeri'. Meno semplice è capire perché il singolo soggetto sofferente è 'fatto fuori', evacuato dal discorso teodiceizzante. Da qui, l'idea di rovesciare l'approccio: non, quindi, cercare nella soluzione proposta dalla teodicea le ragioni che dovrebbero spiegare il problema del male, bensì cercare nella costituzione stessa del male come problema le ragioni della teodicea come discorso. Ne emerge una 'grammatica' del patire, strutturata secondo una duplice catena di 'significanti', attorno a cui il 'significato'/soluzione del male appare costruito, 'detto' secondo precise regole di un 'dire' che, manco a dirlo, non è mai di qualcuno che soffre. Tanto più strano se si pensa che, tra i 'significanti' del linguaggio rosminiano del male, si incontrano le parole di Giobbe. Certo, si tratta di un Giobbe cristianamente trasvalutato. Ma che ne è della teodicea come discorso se, per dire il male, si utilizza la 'grammatica' jobica, senza alleggerimenti 'terapeutici'? Non accade forse che il singolo soggetto sofferente è finalmente in questione, avendo per la prima volta voce nel 'capitolo' della propria sofferenza?
Paolo Gomarasca (1970) si è laureato in Filosofia nel 1994 presso l'Università Cattolica di Milano. Nel 1996 ha lavorato alla Facoltà di Teologia di Lugano, occupandosi della filosofia morale e dell'antropologia teologica di Antonio Rosmini. Nel 1997 ha conseguito il Diploma di studi approfonditi (DEA) in Filosofia all'Institut de Philosophie de l'Université Catholique de Louvain-la Neuve in Belgio, lavorando sull'etica di Lévinas. Dal 2001, è dottore di ricerca in filosofia e collabora al corso di Antropologia filosofica sotto la direzione scientifica del prof. Botturi. Ha pubblicato "Rosmini e la forma morale dell'essere" (Milano 1998). Diversi altri studi su Rosmini e sul tomismo trascendentale della scuola di Maréchal sono apparsi su «Divus Thomas» e sulla «Rivista rosminiana di filosofia e di cultura», del cui Consiglio scientifico è membro.