
I diari di Wittgenstein, scritti per metà a Cambridge fra il 1930 e il 1932, per l'altra metà a Skjolden, in Norvegia, fra 1936 e il 1937, fanno parte di un unico quaderno venuto alla luce solo nel 1996. Al di là dell'unicità di "genere" del testo (si tratta dell'unico diario "tradizionale" conservato di Wittgenstein), e delle informazioni inedite in esso depositate per i biografi, esso costituisce in primo luogo un ambito eccezionalmente consono al potenziale espressivo dell'autore. Soprattutto in questo senso si tratta di un unicum: la scrittura per aforismi si sente meno che mai debitrice verso la necessità del filosoficamente compiuto, del sistematico - dell'opera; aderisce in pieno, come deve, alle tonalità emotive che orientano momento per momento la vita di ognuno, e porta questo diario, come scrive Michele Ranchetti, a iscriversi nella «tradizione delle memorie d'anima della cultura tedesca, non strutturate per argomenti ma lasciate libere di corrispondere alla necessità di non perdere mai il rapporto del singolo con se stesso».
La personalità di Emmanuel Mounier (1905-1950) è ormai considerata di prima grandezza nella storia civile e religiosa del Novecento, sia per l’apporto teorico offerto al movimento personalista, sia per le forti sollecitazioni che dal suo pensiero religioso sono venute al movimento di idee che ha preparato il Concilio Vaticano II. Questo volume, frutto di una lunga ricerca, mette a fuoco alcuni degli aspetti centrali del pensiero mounieriano, con particolare riferimento al suo progetto di una “società personalista e comunitaria” che ponga al suo centro l’uomo e l’umano, contro il rischio ricorrente della deriva tecnocratica e consumistica di un Occidente troppo spesso dimentico delle sue radici.
Giorgio Campanini, per lunghi anni professore di Storia delle dottrine politiche (Università di Parma), di Etica sociale (Università di Lugano) e di Teologia del laicato (Pontificia Università Lateranense), conclude con questa monografia il suo “ lungo viaggio” attorno a Mounier, avviato nel 1968 con un volume (La rivoluzione cristiana. Il pensiero politico di E. Mounier, Morcelliana, Brescia) e continuato con una serie di studi, incentrati soprattutto sulla proposta politica del personalismo. A questa proposta è stata presentata una particolare attenzione – in relazione al rapporto fra politica e morale e fra cristianesimo e storia – nel volume Testimoni nel mondo. Per una spiritualità della politica (2010), pubblicato dalle Edizioni Studium.
In una civiltà con pretese di immortalità parlare di morte è sempre più difficile. Eppure la morte non è l'opposto della vita, ma parte della vita stessa. Il problema oggi non è tanto se ci sia vita dopo la morte, profonda convinzione degli autori di questo volume, ma se siamo vivi prima di morire, in modo da essere vivi per sempre. Prendere coscienza del fatto che la nostra vita è limitata ci fa capire quanto ogni istante che viviamo, in quanto unico e irripetibile, sia preziosissimo e ogni attimo vissuto con amore sia sacro. La contemplazione della morte dunque, anziché terrorizzarci, può costellare la nostra vita di una catena di gemme preziose.
Questo libro racconta la storia di una donna (1891-1942) che è stata chiamata Edith in famiglia, signorina Edith Stein al liceo, dottoressa Edith Stein all'università, suor Teresa nel Carmelo, matricola 44074 ad Auschwitz e ora, per la chiesa, è santa Teresa Benedetta della Croce.
Pubblicato postumo nel 1933, Morte e sopravvivenza è divenuto un classico. Il fenomeno di rimozione della morte, evidente per Scheler nella modernità, ci sorprende anche oggi: ve ne è una naturale coscienza che pare contraddetta dalla sua continua negazione.
I due termini, qui apparentemente contrapposti, mostrano invece il loro intimo legame. Solo attraverso un ripensamento della morte – che per Scheler è un compito etico – si può dare nuovo senso alla nostra vita, il senso della sua sopravvivenza: afferrare insieme la nostra finitezza e lo slancio verso la trascendenza. Non si intende dimostrare l’esistenza dell’aldilà, ma quell’eccedenza della persona che si dischiude nell’esperienza del morire, quale ultimo atto di vita che caratterizza la libertà e l’anelito spirituale della persona. Una filosofia della morte da cui emerge il nucleo essenziale della stessa antropologia scheleriana, che porta alla luce la struttura ontologica fondamentale dell’uomo.
La lezione di un classico sui temi di vita, morte, sopravvivenza, a partire dalla percezione del tempo, di passato e futuro: in fondo l'esperienza del tempo non è un approssimarsi alla fine? Una fenomenologia dell'essere che si intreccia ai temi ultimi dell'esistenza.
MAX SCHELER (1874-1928) è stato tra i maggiori esponenti della fenomenologia. Tra le sue opere tradotte: Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori (San Paolo Edizioni, 1996); La posizione dell’uomo nel cosmo (Franco Angeli, 2004); L’eterno nell’uomo (Bompiani, 2009). Presso la Morcelliana, a cura di E. Simonotti: Ordo amoris (2008); Amore e conoscenza (2009).
EDOARDO SIMONOTTI ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università di Genova. Tra i suoi lavori: La svolta antropologica. Scheler interprete di Nietzsche (ETS, 2006); Max Scheler. Universalismo e verità individuale (Morcelliana, 2011)
Cos'è la morte - la morte di tutti e di ciascuno, la morte di sempre e quella marcata dai segni inquietanti del nostro tempo? Come penetrare in un evento tanto decisivo da incidere in profondo la nostra esistenza eppure tanto opaco da mettere in scacco ogni sapere volto a rappresentarlo? Sono queste le domande, brucianti ed estreme, che alla fine degli anni Cinquanta, a pochi anni dalla più grande apocalisse dell'epoca moderna, si poneva Vladimir Jankélévitch in un libro che giustamente Lévinas ebbe a definire "sconvolgente". Sconvolgente per la radicalità con cui egli decostruisce tutti i dispositivi immunitari elaborati dal sapere occidentale nei confronti dell'Irriducibile; ma anche per l'acutezza di uno sguardo, affilato e obliquo, che taglia in maniera trasversale le grandi interrogazioni sulla morte, all'epoca affrontate da Heidegger e da Freud, da Blanchot e da Foucault, ma già prima da scrittori come Tolstoj e Rilke. All'interno di un grande scenario teorico, che spazia dall'antichità ai nostri giorni, la riflessione jankélévitchiana rivela una sorprendente attualità.
In un giorno di giugno, durante il tour di presentazione della sua autobiografia, Christopher Hitchens viene colpito nella sua camera d'albergo da lancinanti dolori al petto e al torace. Come scriverà più tardi nel primo di una serie di illuminanti pezzi per Vanity Fair, è il giorno in cui si trovò improvvisamente deportato "dal paese dei sani oltre il desolato confine della terra della malattia". Nel corso dei successivi diciotto mesi, Hitchens ha continuato a scrivere, a sorprendere i lettori con la straordinaria qualità del suo lavoro e a rifuggire illusori conforti, preferendo affrontare la vita e la morte con entrambi gli occhi aperti. In questo racconto descrive acutamente le afflizioni della malattia, discute dei tabù che la circondano ed esplora il rapporto con il mondo, abbracciando l'intera gamma delle emozioni umane. "Mortalità" è la storia esemplare del rifiuto di accucciarsi di fronte all'ignoto e una lucida indagine sulla condizione umana. Intriso di acuta intelligenza e dell'inconfondibile humour del suo autore, il testamento di Hitchens non è solo una brillante e coraggiosa opera di letteratura ma anche la rivendicazione della dignità e del valore dell'uomo.
DESCRIZIONE: Il tema della nuova definizione della morte su base neurologica, e in connessione a ciò quello del trapianto di organi da soggetti in stato di morte cerebrale dichiarati cadaveri, è tornato negli ultimi tempi all’attenzione anche in Italia. Quantunque – a quarant’anni dall’introduzione, con il Rapporto di Harvard, di quella nuova definizione – le voci di dissenso stiano crescendo anche in ambito medico, vogliamo qui riproporre la prima grande critica fatta a quella definizione da un classico del pensiero filosofico del Novecento, nonché uno dei protagonisti dell’attuale dibattito bioetico: Hans Jonas. Quella critica, infatti, contiene in nuce tutti i problemi che sono ancora in discussione e li affronta con un linguaggio rigoroso, ma accessibile anche al pubblico di non specialisti, ed è significativo che essa stia al centro dell’attenzione nel recente documento del Council on Bioethics americano che riapre ufficialmente il dibattito sulla morte cerebrale.
COMMENTO: Il celebre saggio di Hans Jonas che contesta la definizione di morte cerebrale decisa dal Protocollo di Harvard del 1968. Un saggio toccante, profondo, di un maestro dell'etica contemporanea.
HANS JONAS (1903-1993), allievo di Heidegger e Bultmann all’Università di Marburgo, è stato tra i maggiori filosofi della seconda metà del Novecento. Tra le sue opere in italiano: Lo gnosticismo; Dalla fede antica all’uomo tecnologico; Il principio responsabilità; Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Presso la Morcelliana: Scienza come esperienza personale. Autobiografia intellettuale (1992); Agostino e il problema paolino della libertà. Studio filosofico sulla disputa pelagiana (2007).
«Una società libera è una conquista morale. Negli ultimi cinquant'anni, in Occidente, questa verità è stata dimenticata, ignorata o negata. Ecco perché oggi la democrazia liberale è in pericolo. La libertà della società non può essere sostenuta soltanto dall'economia di mercato e dalla politica democratica liberale. Ha necessità di un terzo elemento: la moralità, un interesse per il benessere degli altri, un impegno attivo nei confronti della giustizia e della compassione, una volontà di chiedere non soltanto ciò che è bene per me ma ciò che è bene per tutti-noi-assieme». Jonathan Sacks, tra i più amati Maestri contemporanei, ci guida in un viaggio salvifico, dalle misere sponde dell'«Io» agli spazi nobili del «Noi», verso una società più prospera e retta. In "Moralità", l'autore si misura con le sfide più ardue del mondo contemporaneo: l'individualismo, l'alienazione dovuta ai social, la crisi della famiglia e della comunità, la mancanza di princìpi nell'economia e nella politica, le minacce alla libertà di espressione. Sacks completa così la lezione iniziata con "Non nel nome di Dio" e ci consegna il suo testamento spirituale. Un messaggio carico di lucidità e speranza, un'esortazione a ripristinare la nostra umanità e a usare il bene comune come bussola per ogni scelta futura.
In questo breve trattato di introduzione all'etica, l'autore mette a confronto i diversi problemi che deve affrontare chi si occupa e scrive di filosofia morale, e arriva a offrire una stimolante alternativa ai numerosi testi che, nonostante l'intento di sistematicità, paiono disperdere sotto la mole delle informazioni i veri nodi cruciali di una materia così difficile da definire e circoscrivere. Per ottenere il suo scopo, l'autore spiega e analizza la più diffuse posizioni etiche, valutandone la coerenza prima di passare a esplorare la natura del concetto di "bontà" in relazione al principio di responsabilità, alla libertà di scelta, ai ruoli, agli standard, alla natura umana.