
Gaston Bachelard (1884-1962), filosofo, epistemolo e critico letterario, si presenta nel panorama contemporaneo con una produzione insieme sorprendente ed originale: accanito difensore della ragione scientifica e dei suoi impegni normativi, colloca nel vivo della esperienza umana l'immaginazione, la réverie, con la sua assoluta libertà e creatività ontologica e linguistica. Articolato attorno a tre nuclei di fondo, storico-teorici allo stesso tempo la teoria epistemologica, la riflessione estetica e il confronto con le tradizioni di pensiero del '900 - il volume raccoglie i contributi, frutto di feconde giornate di confronto tra i maggiori studiosi del pensiero e dell'opera di Bachelard.
Scritte nel IV secolo a.C., "Retorica e poetica" - le opere che Aristotele ha dedicato all'argomentazione persuasiva e ai criteri sottesi alla produzione poetica - sono due dei trattati filosofici che hanno influenzato maggiormente la cultura occidentale. Tradizionalmente esclusi dall'"Organon" - l'insieme degli scritti logici di Aristotele - ma considerati come sue importanti appendici già da molti commentatori antichi e medioevali (da Al-Ghazali a Tommaso d'Aquino, passando per Alberto Magno e Ruggero Bacone), i due testi sono stati oggetto di rinnovata attenzione negli ultimi decenni, nel momento in cui le più acute intuizioni di Aristotele sono state, di volta in volta, applicate all'analisi della comunicazione di massa, alla retorica politica, alla teoria del romanzo, oltre che allo studio di gran parte dei nuovi linguaggi artistici e comunicativi, come quelli adottati dal cinema e dai media. Centrale, in entrambe le opere, è l'analisi delle passioni: ira e paura, audacia e benevolenza, vergogna e compassione sono fondamentali sia in quella "scienza del verosimile" teorizzata - attraverso i concetti di "mimesi" e "catarsi" - nei più noti passaggi della "Poetica", sia nell'"arte della persuasione" insegnata dalla "Retorica".
La "Rhetorica ad Alexandrum" è l'unico testo conservato integralmente all'interno di una vasta produzione di 'technai rhetorikai', cui fanno più volte accenno sia Platone sia Aristotele, e il primo di una serie di trattati sistematici, di manuali pratici, in Grecia e a Roma. La sua lettura apre uno spiraglio di osservazione sulla vita sociale e politica, sul diritto greco, sulla retorica e sull'eloquenza nello stadio intermedio fra i primi retori e Aristotele. Nel trattato si dà rilievo alle potenzialità dell'argomentazione, volta ad assicurare la vittoria all'oratore: oltre che come mezzo di persuasione, la retorica si configura essenzialmente come teoria della comunicazione linguistica nello spazio costituito e controllato della polis, in cui si assegna istituzionalmente un ruolo preminente alla parola 'pubblica', che traduce in dibattito i possibili conflitti, sia privati sia pubblici. L'opera fa parte del "Corpus Aristotelicum" ed è collocabile nel IV secolo a.C, escluse alcune sezioni. La paternità aristotelica è stata messa in dubbio in epoca moderna: alcuni commentatori ed editori hanno attribuito il trattato ad Anassimene di Lampsaco, storico e retore del TV secolo a.C. Alla sua conoscenza e alla sua diffusione, a partire dal Quattrocento, ha contribuito la traduzione latina di Francesco Filelfo.
Dopo aver mostrato in una breve introduzione in quale misura la retorica faccia parte della società moderna, in quanti e quali settori essa si esplichi, l'autore chiarisce in un primo capitolo che cosa si debba intendere per retorica; poi affronta la questione della retorica come modo di ragionare, di elaborare e dire un pensiero, e mette a fuoco l'uso del linguaggio in quanto enunciazione di un problema. Il quarto capitolo esamina le figure retoriche fondamentali; l'ultimo discute le diverse e opposte logiche della retorica: dalla logica del predatore (convincere è vincere) a quella della seduzione e del consenso.
La Retorica è la prima sistematizzazione filosofica dell'arte della persuasione, una pratica fondamentale nel mondo greco, riflesso diretto delle vicende della vita politica e dell'importanza del discorso pubblico come principale strumento di espressione della democrazia. Aristotele attribuisce per la prima volta alla retorica uno statuto teorico e dei principi propri, inserendola nella sua classificazione dei saperi, mostrandone la stretta connessione e, al tempo stesso, l'autonomia rispetto alla logica, l'etica e la politica. Questa nuova traduzione italiana con testo a fronte, curata da Cristina Viano, è la prima a essere basata sull'edizione di Kassel, la più recente e la migliore. Essa cerca di restare quanto più vicina al testo greco, al fine di riprodurre il più fedelmente possibile lo stile compatto e talvolta ellittico della prosa aristotelica. Le note hanno il compito di mostrare l'articolazione degli argomenti, chiarire i punti più difficili e soprattutto approfondire i rinvii sintetici alle altre dottrine del corpus aristotelico. L'introduzione offre una sintesi della storia, la struttura, i contenuti e la fortuna della Retorica.
Quando agiamo responsabilmente? Che cosa significa essere responsabili o sentirsi responsabili? Da chi è fatta valere la responsabilità, nei confronti di chi o di che cosa? Fino a che punto si spinge? È rivolta al passato o al futuro? È simmetrica o asimmetrica? In che senso la responsabilità chiama in causa le dimensioni del potere, del sapere, del volere? Da ultimo, come si intrecciano responsabilità e libertà? Lungo un percorso che attraversa l'odierno scenario storico, sociale e culturale dell'azione responsabile, l'autore indaga i fondamenti filosofici del vincolo etico, delineando un modello di etica della relazione con profonde implicazioni teoriche e pratiche nei processi di costituzione dell'identità.
Il volume raccoglie diversi saggi che approfondiscono i temi affrontati nella "Banalità del male" e nella "Vita della mente", e in primo luogo la responsabilità personale durante le dittature. Il lungo saggio centrale è una riflessione sull'inadeguatezza delle tradizionali verità morali come metro per giudicare ciò di cui siamo capaci, e riconsidera la nostra capacità di distinguere il bene dal male, il morale dall'immorale. Nella seconda parte i temi teorici vengono applicati nel particolare con alcune considerazioni sull'integrazione razziale, il Watergate, la sconfitta in Vietnam, i processi ai criminali nazisti.
Nessuno più di Hannah Arendt si è reso conto che "le grandi crisi politiche del Novecento - lo scoppio della guerra totale nel 1914; l'ascesa dei regimi totalitari in Russia e in Germania, con il relativo annientamento di intere classi e razze di esseri umani; l'invenzione della bomba atomica...; la Guerra fredda; la Corea; il Vietnam e via dicendo tutti gli altri eventi che precipitano come le cascate del Niagara della storia - potevano essere viste come altrettanti sintomi di un generale collasso morale. Ma il nocciolo duro e controverso della diagnosi arendtiana sta nell'attribuire questo collasso morale non all'ignoranza o alla malvagità degli uomini, incapaci di far proprie le antiche verità morali, ma all'inadeguatezza di queste stesse verità morali intese come norme o criteri di giudizio su ciò che gli uomini sono ormai in grado di fare. Questa è la sola conclusione generale che Arendt si sia mai permessa di trarre: la generalità del collasso, la generalità del cambiamento che ha travolto tutto ciò che la nostra lunga tradizione di pensiero ha sempre considerato sacrosanto". Così Jerome Kohn, curatore del volume, commenta gli interventi contenuti in Responsabilità e giudizio, nove tra saggi, appunti, riflessioni ad alta voce e discorsi pubblici nei quali la Arendt intenta un vero e proprio processo alla parola "coscienza", bersagliandola di domande che, pur seppellite nel nostro passato, continuano ad assillare lo spirito.
"Questo volume raccoglie le ricerche, che ho condotte con prospettiva unitaria, anche se in occasioni diverse, intorno ai problemi della responsabilità e della comunità umana. Il nesso tra i due problemi è assai stretto. La responsabilità è sempre e soltanto individuale, ma il suo orizzonte operativo è sempre e soltanto la relazione sociale. Reciprocamente, la relazione sociale è concreta e positiva solo come limite di possibilità delle responsabilità individuali. L'appello alla responsabilità conta tra le esigenze più urgenti della età contemporanea ed emerge fondamentalmente a tre distinti livelli: metafisico, scientifico e politico." (l'autore). Premessa di Giuseppe Cantillo.
La filosofia di Emmanuel Levinas è stata soprattutto una profonda e ampia meditazione sull'impatto che un secolo terribile, di sangue e di guerra, ha avuto sulla filosofia e sulla morale, sulla possibilità della filosofia e della morale. Si è voluto, pertanto, ricostruire, da angolature visuali differenti, l'eredità ed attualità di tale riflessione, senza tacerne le difficoltà o le aporie, ma al contempo cercando di misurare la sua capacità di condurci alle crisi più autentiche, alle questioni di fondo, a riaperture del pensiero. Tra alterità e terzietà si è svolto il cammino filosofico di Levinas, che ha situato al centro dei propri scritti la possibilità del male nella storia. Quel male che è compendiato nella figura di un unico supremo delitto: lasciare l'altro morire da solo. Il terzo, nel quale tutta l'umanità è presente, è così il custode silenzioso che veglia sulla morte dell'altro e le assicura, contro il lavoro del tempo e dell'oblio, una risonanza spirituale.

