
"Oggetto di questo corso di lezioni è la storia mondiale come storia filosofica, vale a dire non riflessioni generali sulla storia, ricavate di qui e da illustrare muovendo dal contenuto storico preso solo come esempio, bensì la storia mondiale stessa". Le "Lezioni" di Hegel sono riproposte nell'edizione a cura del figlio Karl, risalente al 1840.
Negli ultimi anni della sua vita Wittgenstein ha indagato a lungo e con grande intensità i cosiddetti "concetti psicologici" - dal concetto di dolore a quello di pensare -, cercando di chiarirne l'uso. Al risultato di queste indagini ha dedicato alcuni corsi a Cambridge, frequentati da studenti destinati, in alcuni casi, a diventare a loro volta filosofi. Di uno di questi, Peter T. Geach, sono gli appunti qui tradotti per la prima volta in Italia. Si tratta di appunti che ci permettono di vedere Wittgenstein all'opera e che testimoniano come per lui fare lezione equivalesse letteralmente a pensare, con le incertezze e le esitazioni, ma anche con le sorprese e le scoperte che il pensare comporta. Muovendosi tra le parole di Wittgenstein e le domande e reazioni dei suoi studenti, il lettore è introdotto nel laboratorio di un grande filosofo ed è aiutato a confrontarsi con molte questioni e interrogativi - dal problema delle altre menti alla questione del rapporto tra vedere, pensare e interpretare - che sono ancora oggi al centro del dibattito filosofico e scientifico.
Le lezioni di Hegel sulla storia della filosofia costituiscono il laboratorio concettuale e terminologico del suo sistema di pensiero e delineano lo svolgimento storico che ad esso ha condotto. Tuttavia Hegel non ha mai dato alle stampe i testi dei suoi corsi, di cui resta traccia solo grazie a manoscritti, quaderni, appunti e annotazioni, autografe o dovute agli uditori. La sola traduzione italiana delle lezioni sulla storia della filosofia fino a oggi disponibile riproduceva l'edizione del 1840-44, curata da Karl Ludwig Michelet dopo la morte di Hegel. In linea con la più recente ricerca, a quel testo si è qui preferita l'edizione del corso berlinese del 1825-1826 pubblicata in Germania tra il 1986 e il 1996, a cura di Pierre Garniron e Walter Jaeschke. Il volume è corredato di un apparato di note e di un'introduzione a firma del curatore Roberto Bordoli. In appendice è data la traduzione dei manoscritti hegeliani relativi alle introduzioni ai corsi del 1820 e del 1823.
Le lezioni di Hegel sulla storia della filosofia costituiscono il laboratorio concettuale e terminologico del suo sistema di pensiero e delineano lo svolgimento storico che ad esso ha condotto. Tuttavia Hegel non ha mai dato alle stampe i testi dei suoi corsi, di cui resta traccia solo grazie a manoscritti, quaderni, appunti e annotazioni, autografe o dovute agli uditori. La sola traduzione italiana delle lezioni sulla storia della filosofia fino a oggi disponibile riproduceva l'edizione del 1840-44, curata da Karl Ludwig Michelet dopo la morte di Hegel. In linea con la più recente ricerca, a quel testo si è qui preferita l'edizione del corso berlinese del 1825-1826 pubblicata in Germania tra il 1986 e il 1996, a cura di Pierre Garniron e Walter Jaeschke. Il volume è corredato di un apparato di note e di un'introduzione a firma del curatore Roberto Bordoli. In appendice è data la traduzione dei manoscritti hegeliani relativi alle introduzioni ai corsi del 1820 e del 1823.
Dal maggio all’agosto del 1829 Hegel tenne sedici Lezioni sulle prove dell’esistenza di Dio. Una decisione che lasciò sconcertati non pochi contemporanei, ad esempio Goethe, ma che portava a compimento la vocazione profonda del pensiero hegeliano. Infatti, fin dagli anni giovanili lo sforzo di Hegel era stato di coniugare la scoperta del mondo moderno, la soggettività nel porsi come fondamento della libertà, e i contenuti propri della religione cristiana. Un problema che in quegli anni aveva avuto soluzioni diverse – in Jacobi, Schelling e Schleiermacher – e che in Hegel diviene l’occasione per mostrare come il movimento di Dio, in quanto estrinsecarsi dello Spirito nella storia, fosse lo stesso del movimento logico del concetto. Di qui il soffermarsi sulla prova ontologica di Anselmo, come se in essa si fosse mostrato nella sua purezza l’essenza del cristianesimo. È religione della libertà perché è manifestazione nel pensiero della potenza di Dio. Dio è pensiero in quanto è l’essere: un’identità che ancor oggi dà a pensare, fosse anche solo per cercare di smentire questa affermazione. Non solo: in queste lezioni il lettore scopre il fascino del filosofare hegeliano – della sua dialettica – nell’unire scientificità e ricchezza dell’argomentazione.
"Cosa significa la parola “libertà”? Cosa chiediamo davvero quando pretendiamo più libertà? Salvatore Veca definisce i contorni di un termine così quotidiano da apparire oggi quasi svuotato di senso, e restituisce al lettore una preziosa mappa di viaggio tra le teorie che attorno a questo concetto hanno dato forma a politiche e visioni sociali. John Stuart Mill, Isaiah Berlin, Norberto Bobbio, John Rawls; e ancora la differenza tra libertà negativa e libertà positiva, la struttura delle cosiddette “comunità di libertà” e infine il rapporto di priorità tra uguaglianza e libertà. Salvatore Veca firma un saggio filosofico rapido e chiaro, che offre al lettore gli strumenti e le coordinate necessarie per una comprensione piena del significato di uno dei temi più urgenti del dibattito politico e sociale contemporaneo."
Nel 1838, quando presentò questo scritto al concorso della Reale Società norvegese delle Scienze di Trondheim per un saggio sul problema della libertà del volere, Schopenhauer viveva da cinque anni chiuso nella sua esistenza di "filosofo solitario" in rotta con i maestri, le scuole e le ideologie dominanti. Fin dal 1820 si era manifestato un aspro conflitto con Hegel, le cui teorie attraevano sempre più il pubblico colto tedesco. Schopenhauer svolgeva una deliberata critica dello storicismo idealista, il suo dichiarato ateismo suscitava il sospetto delle autorità accademiche. Il ritiro a Francoforte nel 1831 lo spinse a svolgere con netta intrasigenza pessimistica il tema dell'assoluta volontà che persiste oltre il fluire dei fenomeni.
La libertà può essere effimera, ma non per questo meno splendente. A partire da questo assunto si sviluppa il percorso proposto da Giulio Giorello in una raccolta di saggi ispirata da tre figure imprescindibili per il concetto di libertà: Giordano Bruno, John Stuart Mill e Paul K. Feyerabend. Epoche e visioni differenti, eppure molti sono i fili conduttori che collegano questi autori, primo tra tutti la necessità di esercitare la ragione e imbracciare le armi della critica. Sulla scia della rivoluzione cosmologica tracciata da Bruno, emerge l'esigenza di giudicare criticamente gli eventi, non accettando nessuna teoria come inconfutabile ed esercitando il dissenso, come suggerisce anche l'anarchico "epistemologico" Feyerabend. Ed è proprio con Feyerabend che si realizza quel rovesciamento di prospettiva che si interroga se la scienza non sia diventata strumento di dominio e se la tecnologia non si sia trasformata nel sostegno più efficace alla burocrazia che invade le nostre esistenze mirando a una sorta di controllo totale.
Gli scritti politici di David Hume, raccolti in questa prima edizione italiana integrale e completa, sollevano questioni scomode, difficilmente collocabili nelle classificazioni canoniche della storiografia moderna e contemporanea, che ha sin qui delineato dello Hume politico un'immagine di pensatore ambiguo, indecifrabile, persino "inquietante". Ciò nonostante, le sue idee sull'origine dello Stato e dell'obbedienza politica, la sua visione della libertà, della proprietà, della giustizia, della natura immutabile dell'uomo, delle istituzioni, del libero mercato, della stabilità politica e delle relazioni internazionali, oltre ad iscriverlo di diritto nel novero dei principali teorici politici moderni, costituiscono anche una preziosa fonte di ispirazioni per lo sviluppo del liberalismo e, soprattutto, del conservatorismo. Hume, infatti, si rivela il primo, vero conservatore dei tempi moderni, per avere inaugurato, anticipando di qualche decennio le tesi controrivoluzionarie di Edmund Burke, un conservatorismo "politico" nel vero senso del termine, libero dall'influenza del tradizionalismo religioso e basato sulla difesa dell'ordine, della sicurezza e dell'interesse della nazione, su una visione realistica dell'esperienza politica e sulla diffidenza verso il radicalismo, lo spirito di innovazione violenta, l'arroganza razionalista, la retorica ideologica e il fanatismo settario.