
La lettura dei Diari - una miniera di intuizioni folgoranti, pensieri, preghiere, polemiche e spunti argomentativi - restituisce la complessità non sistematica ma edificante del pensiero filosofico e teologico di Søren Kierkegaard. Questa ultima edizione, di molto ampliata e rivista, riprende la versione del suo maggiore studioso italiano, Cornelio Fabro, svolta sull'integrale danese (20 voll., 1909-1948), pubblicata da Morcelliana nel 1948 e più volte ristampata. Ma l'attento spoglio compiuto dai curatori sulle carte postume, le lettere, i documenti e le opere complete, nel confronto fra la prima e i volumi già disponibili della nuova edizione critica danese, rende quest'opera del tutto originale nella traduzione e nelle note. Un classico, queste pagine dei Diari parlando del mondo si mettono in dialogo con Dio, la morte, l'amore, e toccano tonalità affettive come la noia, l'inquietudine, la pazienza e l'impazienza, l'angoscia... Un esercizio di pensiero quotidiano in cui traluce, sotto vari registri, la teoria dei tre stadi dell'esistenza estetico, etico e religioso.
"Il diario del seduttore", pubblicato da Kierkegaard nel 1843, mette in scena l'astuto ed elegante gioco estetico del seduttore che conquista la sua preda incantandola con le armi dello spirito. Si tratta di una figura demoniaca, che arriva a possedere la donna, rapita dalla musica ammaliante della sua arte, per poi abbandonarla in una logorante disperazione. Questa nuova edizione è introdotta da uno scritto di Remo Cantoni, tra i principali interpreti italiani del pensiero di Kierkegaard, e contiene una cronologia molto ricca di particolari sulla vita del filosofo danese. Chiude il libro un saggio di Gianni Garrera sul profilo religioso del seduttore in Kierkegaard.
Pubblicato postumo nel 1970 il Diario intimo è forse l’opera che meglio riassume il carattere “irregolare” della riflessione filosofica di Miguel de Unamuno che “reca con sé, da sempre, l’accusa di non essere un pensiero sistematico e di sfumare troppo spesso in poesia”, come sottolinea Stefano Santasilia nell’introduzione. Convinto che la filosofia debba avere per soggetto non il concetto di uomo ma l’uomo nella sua concretezza e partendo dalla convinzione che “il singolare non è particolare, ma è universale”, il pensatore basco affida a queste pagine la testimonianza di un inquieto itinerario umano e intellettuale. Così il diario personale di chi, vivendo nello smarrimento spirituale, cerca un supplemento di verità capace di superare tradizionali dicotomie (vita/pensiero, cuore/ragione, fede/scienza e così via), diventa di fatto un diario collettivo che tocca temi e sentimenti universali. Scritto in un linguaggio per larghi tratti familiare e quotidiano, ma intessuto di citazioni e richiami colti e di riferimenti biblici, il Diario intimo non è solo un viaggio interiore alla ricerca di sé stesso. Unamuno accompagna infatti il lettore alla scoperta di una spiritualità perduta con pagine dove domina il senso tragico della finitezza umana, al fondo rischiarato dalla convinzione che la vita sia la più straordinaria avventura concessa all’uomo.
«Tutto ciò che si può provare, si può anche contestare. Incontestabile è solo ciò che è indimostrabile». «L’arte è il nostro grazie al mondo e alla vita». «Le possibilità dell’uomo sono sconfinate, ma anche, ciò che sembra contraddirlo, le sue impossibilità. Tra l’infinito che egli può e l’infinito che non può, si trova la sua patria». «Che il proprio destino non si realizzi, come lo si era prefigurato idealmente e come poteva e doveva realizzarsi secondo le sue possibilità – anche questo è un modo di realizzare il proprio destino». «Per lo più gli uomini nascono di nove mesi , ma muoiono settimini». «Non è andata nel mondo come i profeti o le guide pensavano e volevano, ma senza i profeti e le guide non sarebbe “andata affatto”». Aforismi precisi e fulminanti, pensieri profondi e acuminati, riflessioni che illuminano il buio, considerazioni che colgono l’armonia del mondo nell’apparente caos. Questo è “Diario postumo”, libro genialmente “malinconico”, ottimista e pessimista ad un tempo.
I saggi che compongono questo libro, selezionati dallo stesso autore, si insinuano nel cuore di quell'insistita domanda sulla propria origine e sul senso di un possibile dialogo con il mondo che le principali confessioni dell'Occidente continuano -talvolta drammaticamente - a modulare. Composti a partire dagli anni '50 fino all'inizio degli anni 70, si accordano con sorprendente precisione all'insieme di movimenti, rivoluzioni, promesse di cambiamento e delusioni che hanno attraversato il ventennio europeo uscito dalla guerra. Lévinas prende parte al dibattito con l'autorevolezza della plurimillenaria tradizione di cui è stato uno dei più felici e discreti interpreti: i maestri della tradizione talmudica insieme ad alcune grandi voci della contemporaneità filosofica come quella di Rosenzweig vengono interrogati su questioni di rovente attualità - l'uscita da Auschwitz e il dialogo interreligioso con il cristianesimo e l'islam; il rapporto con il comunismo e la conquista della luna; la polemica con gli autori cristiani e il futuro del giudaismo -, senza censure e senza illusioni sulla complessità che le sostiene e che reclama analisi altrettanto complesse.
Il più rilevante e noto trattato rinascimentale sulle qualità morali, fisiche e divine dell'uomo fu redatto da uno fra i più poliedrici e dotti umanisti del Quattrocento. Il ''De dignitate et excellentia hominis'' è l'opera capitale di Giannozzo Manetti (Firenze, 1396 - Napoli, 1459), ricco mercante, politico, autore di numerosi scritti in latino, e traduttore di Aristotele dal greco e dei Salmi dall'ebraico. Fu per un ventennio ambasciatore della repubblica fiorentina, quindi segretario pontificio e, infine, cortigiano presso la corte dei re d'Aragona a Napoli. Proprio su committenza di Alfonso il Magnanimo, Manetti portò a compimento nel 1452 la sua summa enciclopedica di quanto scritto dagli autori classici e cristiani sul miracolo del corpo umano e dello spirito divino che vi alberga. L'opera rappresenta un imperituro monumento alla più perfetta tra le creature divine, posta al centro delle meravigliose bellezze dell'Universo e dotata di un corpo e di un'anima che sono riflesso del macrocosmo. L'esaltazione dei prodotti dell'ingegno umano e delle arti figurative, la contestazione della tradizionale posizione medievale che individuava nella morte l'unica via d'uscita dalle sofferenze terrene, la glorificazione delle virtù e delle prerogative dell'uomo, e soprattutto la riflessione sui privilegi e gli oneri della ''dignitas hominis'' fanno di questo scritto il manifesto del Rinascimento italiano. Il volume offre per la prima volta al lettore italiano una traduzione integrale dell'opera a cura di Giuseppe Marcellino, specialista della letteratura latina umanistica, preceduta da un saggio introduttivo di Stefano U. Baldassarri, Direttore dell'ISI Florence e studioso del Rinascimento di fama internazionale.
La parola dike, comunemente tradotta con "giustizia", nasce in un contesto religioso e poi giuridico, ma ha in realtà un significato più profondo, che compare per la prima volta nella più antica testimonianza del pensiero filosofico: il frammento di Anassimandro. Si può dire che l'avvento della filosofia coincida con l'avvento di tale significato - quello che Aristotele chiama "il principio più stabile". Dike designa l'incondizionata stabilità del sapere. E richiede la stabilità incondizionata dell'essere. Riguarda tutto ciò che l'uomo può pensare e può fare. In rapporto con essa si svolge l'intera storia dell'Occidente. Se nel "Giogo" Severino aveva puntato l'attenzione sulla conseguenza decisiva per l'uomo della tradizione occidentale, resa esplicita da Eschilo, ovvero che l'incondizionata stabilità del sapere e dell'essere è il "vero" rimedio contro il dolore e la morte, e sul rapporto tra Eschilo e Anassimandro, in questa sua nuova opera si volge invece verso le radici di quel significato. Soprattutto perché dike e l'Occidente, che ne è dominato, sfigurano il volto della stabilità autentica: il volto del destino della verità. Affrontando il rapporto tra il puro volto del destino e il suo volto sfigurato da dike, questo libro compie alcuni passi avanti rispetto agli scritti precedenti, da cui pure trae origine.
Questo volume raccoglie gli ultimi due corsi ufficiali tenuti da LËvinas alla Sorbona durante líanno accademico 1975-1976. Due cicli di lezioni che affrontano tematiche classiche del pensiero filosofico, come quella del rapporto tra il tempo e la morte e quello inerente il termine Dio., qui analizzate in relazione all'intrigo d'alterit‡ vissuto dall'uomo all'interno della propria soggettivit‡.
Nel primo corso , a partire da un dialogo serrato con il pensiero di Heidegger e di Bloch, LÈvinas sviluppa una formidabile riflessione che si propone di chiarire i rapporti che stabiliscono tra la morte e il tempo, In particolare, opponendosi all'impostazione heideggeriana, egli cerca di pensare la morte a partire dal tempo e non pi˘ il tempo a partire dalla morte.
Nel secondo corso LÈvinas riprende la sua lunga meditazione attorno al termine Dio, capovolgendo anche in questo caso la diagnosi di Heidegger: se fin dall'inizio la filosofia ha confuso Dio e l'essere, allora non Ë tanto il secondo ad essere caduto nell'oblio, quanto piuttosto il primo ad essere stato eclissato.
Queste lezioni rappresentano forse la miglior via d'accesso, di certo la pi˘ diretta ed interna, a testi complessi come "Altrimenti che essere" e "Di Dio che viene all'idea".
Questo libro raccoglie quattro grandi testi teologici del filosofo - "Il Dio nascosto", "La ricerca di Dio", "La filiazione di Dio" e "Quattro prediche" che esprimono il paradosso fondamentale della ricerca mistica. La ricerca di Dio è uno dei tratti peculiari e distintivi della condizione dell'uomo sulla terra, una sorta di aspirazione naturale e legittima al felice compimento del destino del genere umano. Ma le vie percorse nella sua ricerca non possono essere quelle consuete dell'indagine razionale, che è circoscritta all'ambito del finito e di ciò che è valutabile per mezzo dei sensi e dell'esperienza.