
Nel libro di Isaia, due sentinelle si scambiano la parola d’ordine nella notte, creando un clima di attesa, di sospensione, di paura e di incubo: «Quanto manca ancora all’alba?». È questa la domanda fondamentale dell’apocalittica. Presenza pericolosa e preziosa al tempo stesso, delicata e da assumere a piccole dosi, ambigua e contemporaneamente necessaria perché in grado di offrire il senso dell’utopia. L’apocalittica si caratterizza per il pessimismo e il disprezzo nei confronti del presente, troppo impolverato e modesto, per il dualismo che contrappone l’oggi profano al futuro sacro e per la celebrazione di un lontano e mirabile avvenire, completamente diverso da ciò che viviamo su questa terra. Con il suo linguaggio difficile ma affascinante, che ha nell’eccesso la propria cifra, l’apocalittica nasce nel mondo biblico e la si può avvicinare attraverso il grande riferimento costituito dal libro di Daniele e le pagine di Enoch, Isaia, Zaccaria e Gioele, poco note e raramente usate dalla liturgia.
«Penso a quei preti, a quelle suore, a quei fratelli che lavorano nelle periferie o nel centro delle città. A quelle persone consacrate che non hanno pretese, che non fanno rumore, ma che lavorano senza preoccuparsi. A coloro che fanno la teologia della vita consacrata vivendola, pregandola. Sono persone che hanno un'umiltà essenziale: sono lavoratori e prendono molto seriamente la loro vita di consacrazione nell'insegnamento, nelle parrocchie, negli ospedali, nelle missioni o ovunque si trovino lavorando al servizio degli altri. Sono davvero persone che danno tutto a piene mani».
Questo volume a più voci analizza «l’effetto Francesco» sulla struttura organizzativa della Chiesa cattolica, alla luce della teologia del popolo, radice del suo pontificato. La modernità di Bergoglio, analizzata e spiegata nelle sue diverse modalità, il progetto di Chiesa del primo pontefice ordinato sacerdote dopo il concilio Vaticano II, in un’Europa in profonda crisi economica ed istituzionale, interrogano la Chiesa e i laici di oggi.
Il cammino sinodale che ha coinvolto le Chiese dell'Amazzonia e i documenti che lo hanno accompagnato (dal Documento Preparatorio all'Esortazione postsinodale Querida Amazonia, passando per l'Instrumentum Laboris e il Documento Finale) consegnano una visione ecclesiologica particolarmente significativa, che sollecita le Chiese di tutto il mondo. Una Chiesa dal volto amazzonico, che vuole custodire le sue radici culturali e la sua sapienza antica. Una Chiesa che ascolta il grido del povero e della terra e leva la sua voce profetica, davanti alla crisi ecologica e a un sistema economico ingiusto, fino al martirio. Una Chiesa che, con coraggio, ha prospettato "nuovi cammini" per essere una comunità tutta ministeriale, di uomini e donne, per garantire a tutti l'ascolto della Parola e la possibilità di partecipare all'eucaristia, con linguaggi, liturgie, attività pastorali adeguati ai diversi contesti sociali e culturali. Una Chiesa locale che offre la sua esperienza e la sua storia come contributo alla crescita della Chiesa intera, per tutti "casa comune".
Il fascino che il libro dell'Apocalisse esercita su chi legge la Bibbia è straordinario. È un fascino che alle volte ci tiene distanti, forse per paura di sperimentare il limite della nostra comprensione o per quella sottile angoscia che ci scatta dentro quando dobbiamo pensare alla fine del mondo. Ma allo stesso tempo è un fascino che ci porta ad approfondire l'ultimo libro biblico alla ricerca di qualche indizio che ci sveli il futuro. In verità l'Apocalisse non ci parla del futuro, ma di quel presente che è l'eternità sottesa ad ogni istante.
Tra luglio e dicembre del 1933 il teologo cristiano Gerhard Kittel e il filosofo ebreo Martin Buber intrattengono una polemica pubblica che si esprime attraverso alcuni brevi testi, proposti integralmente per la prima volta in italiano. La disputa si incentra sulla figura del ger, lo straniero che nei tempi biblici viveva in mezzo al popolo d'Israele e la cui collocazione sociale diviene ora paradigmatica per l'atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei che, a parti invertite, hanno assunto quel ruolo nella società tedesca. La discussione, che riguarda una questione attualissima - divenuta ancor più cruciale dopo l'ascesa di Hitler al cancellierato il 31 gennaio 1933 - assume quindi la veste di una diatriba nell'ambito dell'esegesi biblica. L'esito dovrebbe per Kittel fornire - e per Buber sottrarre - al legislatore tedesco un supporto biblicamente fondato per assumere decisioni sul posto e sul ruolo da assegnare agli ebrei nel Terzo Reich. Al di là del palese fair play accademico, tutto separa religiosamente e politicamente i due interlocutori. L'unico terreno comune è il riferimento al testo biblico, la cui normatività ed esemplarità è costitutiva, sia pure in modo non identico, delle rispettive appartenenze religiose.
Francesco è un papa nuovo per numerosi aspetti: la provenienza, il nome che ha scelto, le vesti e l'alloggio, la sobrietà, il linguaggio, le libertà che rivendica e riconosce. Nuovo per la continua invenzione di gesti di vicinanza ai feriti della vita, l'audacia di parlare con l'intenzione di arrivare a tutti, la precedenza che attribuisce alla predicazione del vangelo rispetto a ogni altro impegno. Nessun papa in epoca contemporanea aveva posto tanti segni di novità in così poco tempo. Con intenzione ecumenica e collegiale, Francesco si presenta innanzitutto come vescovo di Roma. Egli chiede che la misericordia, rivolta sia alle anime che ai corpi, abbia il primo posto nella predicazione della Chiesa, colloca la missione e la povertà al centro della sua pedagogia ecclesiale, concepisce la comunità cristiana come un "ospedale da campo", si rifiuta di ridurre la fede a ideologia e il kerigma a morale sessuale, lasciando presagire una stagione creativa nella bimillenaria storia della Chiesa cattolica. Che destino avrà quest'uomo che spinge gli abitatori dell'istituzione più carica di storia a pensare il nuovo e a osare l'inedito? Come affronterà le opposizioni di cui farà esperienza? Riuscirà nell'intento di rifare missionaria e povera la Chiesa di Roma, compresa la cittadella curiale? Sarà compreso il suo azzardo di una nuova lingua che spesso contrasta con quella della tradizione?
Dopo anni in cui è stata quasi impronunciabile, la parola «dialogo» torna a risuonare con una certa frequenza, tanto in ambito ecclesiale quanto sociale e civile.
Archiviato il mostro dei pericoli del relativismo, oggi papa Francesco a dare un contributo essenziale a questa svolta, con una serie di gesti e di discorsi che lasciano presagite l'inizio di una nuova stagione.
Questo libro raccoglie i principali interventi che papa Bergoglio ha dedicato a questo tema, suddivisi in quattro ambiti: il dialogo ecumenico, cristiano-ebraico, interreligioso e interculturale, Ne emerge un magistero coraggioso e innovativo, che sul tema del dialogo sembra ridisegnare il modello dell'incontro interreligioso e interculturale, puntando sull'esperienza spirituale, la preghiera e l'ascolto.
"Abele e Caino si incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano. Sedettero in terra, accesero il fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca, quando declina il giorno? Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e, lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca, chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: Sei tu che mi hai ucciso o io ho ucciso te? Non ricordo più" (Jorge Luis Borges). La consapevolezza che il perdono è una realtà complessa e delicata, non riducibile a una codificazione giuridico-sociale, appare già in un curioso dato statistico: nell'ebraico biblico, che è una lingua di soli 5750 vocaboli, sono ben otto i verbi a disposizione per coprire semanticamente un'esperienza dallo spettro tematico variegato e carico di sfumature, iridescenze e sfaccettature. Perdonare fa parte di quella particolare "economia" dell'amore che non calcola ma dona e spezza la catena rigida del dare-avere, creando un nuovo regime nei rapporti umani.
"Quand'ero protestante, la mia vita era tranquilla e la mia preghiera infelice; da quando sono cattolico, la mia vita è infelice e la mia preghiera tranquilla". Il diario di Newman (1801-1890) va dal 15 dicembre 1859 al 10 settembre1876 ed è composto di pagine scarne, paragonabili a certe riflessioni tumultuose e angosciose di sant'Agostino. Come scrive nella prefazione don Primo Mazzolari: "Newman ha scritto queste pagine sul declino della sua giornata ed esse prendono luce di tramonto, quando i rimpianti minacciano di soffocarci".
Un fascio di lettere scritte tra l'aprile 1958 e il giugno 1973 documenta l'amicizia, discreta ma intensa, tra don Giovanni Stecco, insegnante del seminario di Vicenza, e i coniugi Maritain, Raissa prima (due sole lettere), poi Jacques. Fu una piccola «grande» amicizia, accesa da un momento di entusiasmo di don Giovanni in seguito alla lettura di Les grandes amitiés di Raissa. Col tempo, don Stecco diventerà, per le insistenze di Maritain, il privilegiato confidente italiano, ripetutamente pregato d'intervenire e mediare i rapporti non sempre sereni tra il filosofo e gli editori e traduttori italiani delle sue opere. Nelle lettere si trovano riferimenti a Pio XII, all'accoglienza italiana del volume Umanesimo integrale e a Paolo VI. Ma anche al concilio Vaticano II, al discorso di papa Montini all'Onu, all'amico compositore Arthur Lourié, a Thomas Merton e all'alluvione di Firenze del 1966.
Sessanta vignette per sorridere con dolcezza sul pontificato di Papa Francesco, dalla penna di uno dei maggiori vignettisti tedeschi.

