
I testi poetici che hanno creato e raccontato il mito americano: l'uomo di fronte a un paesaggio maestoso e incombente, la scoperta di sé attraverso il viaggio, la rivendicazione di una identità contraddittoria, la gioia della conoscenza e la fusione ideale con la natura, la celebrazione della libertà. Per scoprire, o riscoprire, un poeta che ha incarnato i sentimenti più profondi di un'America che andava definendo la propria identità.
Le poesie qui raccolte, datate a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, sono l'opera di una contemplativa, una beghina fiamminga anonima. Gli studiosi l'hanno voluta chiamare Pseudo-Hadewijch o Hadewijch II a motivo della parentela con i testi della grande beghina, poetessa e mistica Hadewijch.
Di un alto valore poetico e di una grande bellezza e purezza, queste poesie presentano i temi della mistica dell'Essenza nei modi in cui si diffusero nel movimento medievale femminile delle beghine.
Testo brabantino a fronte
Tradotte da Alessia Vallarsa
con la collaborazione di Joris Reynaert
Presentazione di Luisa Muraro
Spesso definita la prima "avanguardia" italiana, la Scapigliatura è il movimento artistico-letterario sviluppatosi negli anni '60 e '70 dell'Ottocento. Attivi a Milano (ma non solo), questi autori maledetti interpretano un profondo disagio nei confronti della società borghese e capitalistica. Eredi di Baudelaire, sprezzanti verso la religione tradizionale come pure verso la nuova scienza positivista, gli Scapigliati preludono alle esperienze più mature del Decadentismo e del Simbolismo. Questo volume presenta un'ampia scelta commentata delle opere poetiche più significative della Scapigliatura. Tra gli autori selezionati, accanto ai tre"maggiori" (Praga, Boito, Tarchetti), gli altri di area milanese e lombardo-veneta (Ghislanzoni, Gualdo, Zendrini, Salmini, Pinchetti, Fontana, Cavallotti, Turati); i piemontesi (Camerana, Cagna, Molineri); i campani (Torelli); gli emiliano-romagnoli (Guerrini) e i liguri (Zena).
"Se è vero che nella vita Verlaine coltivò l'illusione della totalità nell'amore e nella fede religiosa, tutt'altra cosa è 'Romanze senza parole', dove l'immedesimazione nella natura e la ricerca di un'armonia tra soggettività e alterità non porta mai a negare la crisi, la pena, la finitudine. Dunque un'immedesimazione cercata non per identificarsi, ma per perdersi. Così in queste raccolte di poesie si può scorgere l'animazione della natura, che si esprime con tanti lievi segni, e che ripropone questa alternanza di appropriazione ed esclusione, di appartenenza ed estraneità" (Dall'Introduzione di Cesare Viviani).
Colto e citazionistico, ma immediato alla lettura, autobiografico e "vero" nei contenuti. Romantico e sentimentale nella tonalità di fondo, ma attraversato da un'ironia che si incastona negli snodi strutturali del libro, oltre che nelle sue pieghe più visibili. Testimonianza di un'ossessione privata, ma anche lucida analisi dei mostri che possono dominare la mente dell'uomo.
Il libro è diviso in due parti. La prima è un vero e proprio romanzo breve che racconta il segmento italiano della vita dei tre poeti; la seconda è un'antologia che ripercorre i motivi che hanno ispirato la scelta italiana: la luce, l'acqua, l'aria, quel volare alto e leggero che sembra attraversare come un tema comune l'opera dei tre autori.
Charles Bukowski fa i conti con la propria identità di scrittore e di vecchio ragazzo. Guarda al presente e al rischio mortale di essere "finito" come tutti gli altri e già sente le voci sulla propria morte. Insieme guarda al passato, da dove riaffiorano ricordi di vita, incontri, luoghi e persone. Sente che la sua vita scorre inesorabilmente come i fiumi dell'inferno ma pensa di non aver scritto ancora abbastanza poesie per potersene andare. Non rinuncia a guardare con curiosità la realtà che lo circonda, i nuovi homeless, i nuovi giovani, gli stereotipi di sempre.
"Rafanelli qui manifesta la metamorfosi di una poesia che pur conservando il suo inestinguibile cuore lirico, diremmo il suo combustibile, assume contemporaneamente, in modo non vistoso ma profondo, la forma cangiante, fluente del poema, recupera insomma il racconto. Intendo non il poema in senso stretto, ma un mutamento di passo rispetto alla lirica pura, la subliminale congregazione delle parti in un lucido e visionario racconto, in un dettato drammatico e anche sottilmente drammaturgico." (Roberto Mussapi)

