
"Rileggendo queste poesie mi sono accorto con sorpresa di avere avuto una storia sentimentale e non soltanto un amore. La differenza è piuttosto grande: un amore nasce, ha un'intensità, sfiorisce, muore, può e non può dare un colore a tutto il resto. La storia sentimentale rimane invece anche dopo la fine, e l'uomo, il mondo, la parola, i vigili urbani, le prostitute, i sassi vivono in funzione di quella speranza prima, di quel ricordo poi; non solo, ma si trasformano. Ogni valore, ogni sensazione nasce, ha un'intensità, muore nella speranza prima, nel ricordo poi. Le poesie qui contenute sono state composte per la maggior parte nel '62-'63, altre nel '61, poche nel '60 e nel '64. Seguendole cronologicamente si può afferrare l'accavallarsi e il prevalere ora di questo ora di quel motivo, secondo una logica (o più spesso secondo una non-logica) che è di tutte le manifestazioni umane. La tecnica non è essenziale. Quello che vale, oltre ogni altra considerazione, è non la musicalità, questo o quel tema, la poesia stessa; ma proprio il lungo viaggio, quella coscienza di diventare uomo acquistata gradualmente, soffrendo (come tutti d'altronde), quella consapevolezza di un distacco continuo da alcuni momenti per altre stagioni. E questa umanità, profonda, la raggiungo appunto attraverso un amore sfortunato, un lento incontro che si trascina a morire nella sua propria, semplice, esclusiva poesia, nel suo concetto troppo spirituale e idealizzato per essere realtà."
L'esordio alla poesia di uno dei massimi studiosi di letteratura italiani. Una biografia interiore, estesa in un ventaglio molto vasto di registri, di toni, di misure, ma unificata dalla presenza forte della natura. Una natura percepita come lingua del paesaggio ma soprattutto come silenzioso mostrarsi delle cose, come movimento di apparizione e sparizione, come annuncio e declino, come fulgore e ferita. La presenza - dei viventi e delle cose confina, in questi versi, con l'ombra di un senso che sempre si ritrae, fluttuante tra l'impossibile e il metafisico. Temi e motivi propri dei libri teorici e critici di Prete (la luce e l'ombra, l'elemento stellare e lunare, la vertigine della parola) affiorano consegnati alla musica del verso. Il titolo è un omaggio al paesaggio salentino, da cui l'autore proviene, terra dove si possono incontrare quelle misteriose antiche pietre. E indica il senso della verticalità, della interrogazione estrema e in certo senso originaria che trascorre in questi versi.
Non credo che per i bambini di oggi sia tanto facile "ruglés ti sanpurgnòis", rotolarsi nell'erba di San Petronio, un po' perché i nostri bambini non vi giocano più. La traduzione è assolutamente frutto della mia immaginazione: i "sanpurgnòis" o, come dicono altri "sanpurgnòin" hanno lasciato un'immagine tanto sbiadita nella mia memoria che non sono riuscito a dare loro una corrispondenza certa, nonostante i manuali di botanica consultati. Fieno greco oppure stancabue, più probabilmente pettine di Venere, pare proprio che questa essenza prativa, scansata dalle donne che falciavano erba fresca per i conigli, non voglia essere riconosciuta se non con la terminologia dialettale: rispettiamola. In fondo si è sempre fatta rispettare, se la calpestavi ti appiccicava un odore acre e disgustoso.
Questa nuova opera di Antonio Gasperini, non più in vernacolo ma in un italiano colto e ricco di rimandi di chi conosce la poesia in lingua e ne ha assorbito stilemi e retorica, non ci deve stupire dopo il conclamato successo delle sue opere dialettali. Gasperini ha cominciato a scrivere in lingua e in lingua ha pubblicato opere significative. Questo è un libro che parte dalla memoria per giungere in vista di un capolinea di cui dà giustificazione il titolo: "Ricongiunti colloqui", che costituisce anche la poesia d'apertura e fornisce la traccia di senso dell'opera. "Come in muta preghiera, nei ricongiunti colloqui con gli avi, mi si allentano le dure certezze e tutto si spegne il frastuono del mio breve futuro". La vita è "un'intrigante metafora" che Gasperini ha letto e riletto nelle asprezze della sua terra a cui ha fatto ritorno e altrove, dove le vicende lo hanno condotto.
In occasione dei cento anni dalla morte, una scelta di liriche che affianca un Carducci meno noto ai testi più celebri. L'antologia di poesie carducciane curata da William Spaggiari si ripromette di presentare al lettore il Carducci lirico nelle sue molte sfaccettature: sono raccolte alcune delle liriche celebri, rappresentative di un gusto storicamente radicato e di una particolare poetica; ma anche poesie meno famose e meno lette che per varie ragioni presentano però motivo di interesse e novità.
La poesia è sempre e comunque interrogante. Il poeta, cioè, non è l’uomo dalla risposta pronta, che allunga il braccio e indica la via, ma un delirante ricercatore. Qualcosa tra Lancillotto e Falstaff, tra Giobbe e Lord Jim. Il libro di Davide Brullo fa così, ci mette nel mezzo di un cerchio rimandandoci, quasi biblicamente, le stesse ossessive domande dacché l’uomo è uomo. Chi siamo? Dove andiamo? Da dove siamo venuti? Qual è il nostro compito su questa terra, in questo vento di vita? Dove sono posti i confini tra il bene e il male? E lo fa con una lingua che attinge dal Testo Sacro, per tratti scabra, presuntuosa e percotente, in perpetuo scavo. In cui si parla di un mondo arcaico ma anche postatomico, come se in un palmo di mano si radunassero millenni. Leopardiano in questo senso, Brullo. Ma soprattutto, inciso, sì, un libro che è come un colpo di scalpello su una roccia destinata a conservare ciò che è stato del mondo.
GLI AUTORI
Davide Brullo (1979) legge il Vecchio Testamento, di cui ha tradotto Il libro della Sapienza (Medusa, 2006) e alcuni profeti minori in Scanni (Raffelli, 2003). Ha pubblicato due consecutivi libri in versi, Annali (Edizioni Atelier, 2004) e Annali. Lustro (Mimesis, 2006), e un’antologia di poeti moderni “fuori dai canoni”, Maledetti italiani (Il Saggiatore, 2007).
Questa galleria di testimonianze e ritratti lirici insegue il crocevia dei luoghi come eterna o contingente rosa dei venti. Luoghi usuali, dimore quotidiane, borghi culla di nascite, ma anche metropoli sconfinate, feroci di alienazione. I luoghi degli affetti, geografie d'amore... Luoghi mentali, anche, e luoghi / metafore, fulcro del linguaggio. Volti e luoghi animano e arringano i versi: ritratti comunque introiettati, moltiplicati, di tutte le viandanze della vita. Il volto vero della poesia, certo, sono questi versi: ma partono comunque dal nostro sguardo, dagli occhi che l'anima presta alle parole, e le prolunga. Poeti di svariate generazioni, che hanno attraversato tutte le ombre del '900 e guardato un nuovo millennio trasognato di stelle, eppure qui passeggiano, levitano quasi in volo di terra. La fotografia rivela l'inconscio ottico – giurava Benjamin – così come la psicanalisi fa con l'inconscio istintivo... Se le parole ci fissano, gli occhi si confondono: e allora il vero sguardo è solo luce.
Prefazione di Paolo Lagazzi

