
Poesia come parole che arrivano inattese e che non sono programmabili. Come via poi faticosamente costruita ed elaborata per tentare un dialogo interiore che colleghi i conflitti attuali alle ragioni personali, tutte, di chi queste parole accoglie e dà sulla carta. In questi testi le tracce dell'esperienza personale, ambientata fra storia e memoria, si legano al triste fascino della pena che opprime il segno biologico e del "frastuono morale" che ferisce ogni percorso umano.
Per molto tempo ci si chiese chi fosse nella realtà la fortunata destinataria di alcuni dei versi d'amore più celebri di Neruda, e in particolare di quelle Venti poesie d'amore e una canzone disperata che restano fra le pietre miliari della sua produzione poetica. Il mistero si svelò soltanto nel 1975, quando Albertina Rosa Azócar Soto, da Neruda conosciuta ai tempi dei comuni studi giovanili nel Pedagógico di Santiago, decise di pubblicare le lettere ricevute dal poeta, scomparso soltanto due anni prima. Queste lettere dunque ricostruiscono il burrascoso legame fra i due giovani innamorati, e, come scrive Giuseppe Bellini nella prefazione, ci mostrano "il forte sentimento del poeta, privo di smagliature, certo non soddisfatto per la mancanza di adeguata corrispondenza epistolare, di fronte all'urgenza delle sue missive". Le lettere coprono un arco cronologico di oltre un decennio; l'ultima, del luglio 1932, è successiva ormai di due anni al matrimonio del poeta con la giavanese, di origine olandese, Maria Antonieta Agenaar Vogelzanz. Quattro anni più tardi, Albertina sposerà a sua volta il poeta Angel Cruchaga Santa Maria, peraltro amico intimo di Neruda. Le strade dei due si dividono per sempre; restano, a testimonianza e documento di quel grande amore giovanile, queste lettere, e soprattutto, alcune delle più belle poesie d'amore del Novecento.
Se è vero, come scrive Gaetano Chiappini nella prefazione a questo volume, che "tutta la poesia di Federico Garda Lorca è poesia d'amore, dentro l'amore, sull'amore, per l'amore", è anche vero che è possibile, nell'ambito della sua ricca produzione poetica, scegliere e riunire quelle liriche nelle quali il tema amoroso appare in tutta la sua evidenza e, insieme, viene esemplificato in ogni suo risvolto umano e poetico. Il risultato è quello di un vero e proprio canzoniere amoroso, uno dei grandi canzonieri amorosi del Novecento, e, insieme, una nuova chiave di lettura che ci permette di penetrare in profondità nel mondo poetico del grande poeta spagnolo; un mondo complesso e affascinante, dove l'amore è la verità, la speranza, il bene, ma anche il male della vita. Poesia dell'amore, dunque, ma anche del disamore, che qui si offre ai lettori nella scelta e traduzione di Valerio Nardoni.
«C'è uno spaesamento. Voglio dire: c'è da restare un poco esterrefatti davanti a questa prova di Paolo Valesio. Una febbrile intelligenza, una acerba religiosità, insomma una strana giovinezza percorre questi testi che pur sono, a tratti, anche l'impietoso e implorante resoconto di una esistenza già di molte cose esperta. La poesia di Valesio, lasciate le molte forme di riflessione che in precedenza la animavano e talvolta la chiudevano, qui accetta una sfida. Nel farsi dardo, giaculatoria laica e però sfrontata nel dialogo con Dio, la poesia trova una quasi violenta libertà. Non intende né persuadere, né vellicare intelletti, né esibirsi in manfrine sentimentali. No, c'è una tensione, una fame, un dire ben sapendo che si può perdere tutto. E non solo perdere la considerazione dei letterati di professione o dei moralisti barbosi. Soprattutto perdere l'idea che si aveva finora di se stesso. La poesia così, nel farsi sonda delle dimensioni del mondo, vasto e quotidiano, è anche rivelatrice delle doglie in cui nasce una nuova personalità. Spettacolo inusuale, appunto, sommovente». (Davide Rondoni) Nota introduttiva di Alberto Bertoni

