
I due poemi qui presentati sotto il titolo di "Poemetti erotici" facevano parte del progetto di Pessoa di indagare il fenomeno amoroso attraverso cinque composizioni, delle quali rimangono tuttavia solo "Epitalamio" (1913) e "Antinoo" (1918). Anche se composti in un inglese volutamente letterario, quasi a rimarcarne la 'classicità' - dal canto nuziale che racconta timori e turbamenti della giovane sposa, al lamento funebre dell'imperatore Adriano di fronte al corpo senza vita dell'amato giovinetto Antinoo - più tardi Pessoa si riferì ad essi con gli appellativi di 'indecenti' e 'osceni', sostenendo di avervi sfogato i propri istinti più bassi; ma ben al di là del giudizio del loro stesso autore, e al di là anche dell'esaltazione esplicita dell'omosessualità ellenistica, questi due poemetti "ci rivelano - come ha scritto Antonio Tabucchi - un Pessoa giovane, giovane come forse mai fu, che parla dell'amore, dei sensi, del corpo. Che bel Pessoa".
Compare, in questo volume morbido come un Notturno, una citazione di Attilio Bertolucci. Una volta tanto, i versi che poi disegnano il libro lo popolano di memorie e visioni quiete, preserali, dimostrano docilmente, per forza naturale, la loro discendenza dal quieto ed enigmatico Maestro, nella loro natura fluttuante, inafferrabile e dolcemente rievocante. Una volta tanto, perché Bertolucci è modello incompreso anzi frainteso da molti che si sentono onestamente nella sua scia, fermandosi poi al minimo della sensazione, al palpitare d'ala di farfalla, senza percepirne il ritmo lunare, la fintamente dimessa magia subliminale. Marco Vitale, che ha un background vasto, internazionale, è troppo sottilmente avveduto per non sapere che esiste una poesia apparentemente meditativa, crepuscolare, che invece dilata metafisicamente la dimensione dell'ombra, l'angoscia del tramonto, il sogno platonico della rinascita del sole, definitiva, oltre il flusso fenomenico e il triste divenire, domani, oltre, altrove: tre parole innominate in Canone semplice, quanto agognate. Morbido come velluto, il suo verso manifesta una vocazione poetica sicura e personale quanto sfuggente a ogni tentativo di catalogazione: non crepuscolare ma piena di attesa tremante, non meditativa ma immobilmente meditante: "E niente, niente che non avesse/ il peso di una neve/ benefica o una carezza/ tra il marciapiede e le stelle". (Roberto Mussapi)
La voce del poeta si riconosce, tra l’altro, perché crea uno spazio speciale. Ogni voce autentica ci rende presente il mondo in una luce particolare, sotto le volte di un’architettura nuova. Non si confonda l’esiguità del dettato di Roberta Castoldi con una delle tante forme di gioco al ribasso, di esercizietto che oggi vengono spesso scambiate per poesia. No, qui siamo di fronte a un’asciuttezza architettonica, a un misuratissimo, e perciò concentrato e dispendioso lavoro di disposizione dello spazio, come di sé nel destino. Una radicale riscoperta del mondo. Non è minimalismo la gentile e a volte tagliente attenzione della Castoldi ai particolari del vivere, ai fotogrammi di esistenza o ai movimenti segretissimi. Piuttosto, secondo la lezione di alcuni autori – come l’amato Ponge, ma senza la sua disincarnata beatitudine – l’avventura di scoprire quali orizzonti interi, quali visioni o quali improvvise epifanie si aprano nella percezione drammatica dei dettagli dei giorni. Sospesi come sono, in lotta come sono tra il prevalere del bianco di assenze immedicabili o di conversazioni che accedono alla sorpresa dell’amore e la custodiscono. Una poesia di trauma e pazienza, che ci dona una sfida anche stilistica tra le più originali del momento, tra le più concentrate e libere. (Davide Rondoni)
"La presente edizione dell'intera opera poetica di Mallarmé, corredata di traduzione e commento, si propone di contribuire a far partecipe il maggior numero di lettori italiani della difficile e schiva bellezza di questa poesia. Il commento utilizza gli apporti più rilevanti della critica mallarmeana, sulla base di una lettura personale (che consiste, necessariamente, d'innumerevoli riletture) costantemente tesa nello sforzo di raggiungere, di auscultare il poeta, e lui solo. La traduzione, condotta sull'edizione de "La Plèiade", è nata dalla mia personale esigenza di comprendere Mallarmé attraverso un'attenzione e una tensione di lettura superiori al normale, quali, cioè, una traduzione di poesia le richiede. Il criterio fondamentale cui mi sono attenuta è stato quello d'una fedeltà globale al poeta, che dedicandosi scrupolosamente alla traduzione dell'opera sua, andasse assorbendone di pari passo i modi espressivi, il gusto, i vizi e le manie, cercando di ottenere effetti simili con mezzi simili; che fosse, in sostanza, una sorta di imitazione di Mallarmé." (Luciana Frezza)
Raffinato libretto contenente 50 poesie in lingua tradotte in italiano di Elizabeth Jennings, poetessa inglese, popolarissima nel suo paese, praticamente sconosciuta in Italia, se si eccettua una decina di poesie pubblicate in D. Pezzini, L’acqua e la rosa (Milano 2005).
I temi più ricorrenti nei suoi versi sono il mondo delle relazioni, la natura e il paesaggio, l’arte e la musica, la fede e le sue feste.
Molti versi sono attraversati da una grande positività, dalla gioia che deriva dal contemplare la sorprese della creazione, nella convinzione che, come recita il titolo tratto da un verso dell’ultima raccolta, «la danza è nel cuore delle cose». La chiarità della sua scrittura che sostiene finissime analisi di tante emozioni facilita nel lettore un riconoscersi e un ritrovarsi che è il segreto della sua grande popolarità.
Della voce di questo poeta colpisce il riuscito amalgama tra sincerità e visione. Il curvarsi e ricurvarsi sui fatti e sui dettagli di una intensa autobiografia non porta mai lo sguardo del poeta – e il nostro con lui – a un vano indugio, o peggio a certa diffusa compiacenza. Poesia confessionale, direbbero gli americani, riferendosi alla urgenza di confidare traumi, dolcezze e minime epifanie di una sofferta quotidianità. Ma qui c’è di più. Come indica il titolo, il cosmo intero qui comunica il proprio allarme per un destino singolo e però esemplare. L’allarme per che fine può fare un uomo che si sente gettato nella vita senza la coscienza chiara di una paternità e di una crescita affettiva verso il mondo. Agisce, a livello testuale e sotto la vitalità esperta e sommovente dei versi di Fossati, un cortocircuito tra voci apparentemente lontane, come Sereni o Quinzio. Ne viene uno spettacolo intenso, una voce che chiede la nostra corrisposta sofferenza, e la nostra febbre di gioia. E che obbliga la nostra inquietudine a farsi viva, dai luoghi anche letterari dove amiamo spesso tenerla separata. (Davide Rondoni)
GLI AUTORI
VALENTINO FOSSATI (Genova 1974) vive a Chieri, vicino a Torino. Si è laureato al DAMS di Bologna con una tesi sulle antologie di poesia italiana dell'ultimo Novecento. Sue poesie e scritti sono apparsi su varie riviste. Ha lavorato per il Centro di poesia contemporanea dell'Università di Bologna e, nell'ambito della ricerca sociale, per l'Università di Torino. Gli allarmi delle stelle è la sua opera prima.
I testi poetici che hanno creato e raccontato il mito americano: l'uomo di fronte a un paesaggio maestoso e incombente, la scoperta di sé attraverso il viaggio, la rivendicazione di una identità contraddittoria, la gioia della conoscenza e la fusione ideale con la natura, la celebrazione della libertà. Per scoprire, o riscoprire, un poeta che ha incarnato i sentimenti più profondi di un'America che andava definendo la propria identità.
Le poesie qui raccolte, datate a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, sono l'opera di una contemplativa, una beghina fiamminga anonima. Gli studiosi l'hanno voluta chiamare Pseudo-Hadewijch o Hadewijch II a motivo della parentela con i testi della grande beghina, poetessa e mistica Hadewijch.
Di un alto valore poetico e di una grande bellezza e purezza, queste poesie presentano i temi della mistica dell'Essenza nei modi in cui si diffusero nel movimento medievale femminile delle beghine.
Testo brabantino a fronte
Tradotte da Alessia Vallarsa
con la collaborazione di Joris Reynaert
Presentazione di Luisa Muraro
Spesso definita la prima "avanguardia" italiana, la Scapigliatura è il movimento artistico-letterario sviluppatosi negli anni '60 e '70 dell'Ottocento. Attivi a Milano (ma non solo), questi autori maledetti interpretano un profondo disagio nei confronti della società borghese e capitalistica. Eredi di Baudelaire, sprezzanti verso la religione tradizionale come pure verso la nuova scienza positivista, gli Scapigliati preludono alle esperienze più mature del Decadentismo e del Simbolismo. Questo volume presenta un'ampia scelta commentata delle opere poetiche più significative della Scapigliatura. Tra gli autori selezionati, accanto ai tre"maggiori" (Praga, Boito, Tarchetti), gli altri di area milanese e lombardo-veneta (Ghislanzoni, Gualdo, Zendrini, Salmini, Pinchetti, Fontana, Cavallotti, Turati); i piemontesi (Camerana, Cagna, Molineri); i campani (Torelli); gli emiliano-romagnoli (Guerrini) e i liguri (Zena).

