
«C'è uno spaesamento. Voglio dire: c'è da restare un poco esterrefatti davanti a questa prova di Paolo Valesio. Una febbrile intelligenza, una acerba religiosità, insomma una strana giovinezza percorre questi testi che pur sono, a tratti, anche l'impietoso e implorante resoconto di una esistenza già di molte cose esperta. La poesia di Valesio, lasciate le molte forme di riflessione che in precedenza la animavano e talvolta la chiudevano, qui accetta una sfida. Nel farsi dardo, giaculatoria laica e però sfrontata nel dialogo con Dio, la poesia trova una quasi violenta libertà. Non intende né persuadere, né vellicare intelletti, né esibirsi in manfrine sentimentali. No, c'è una tensione, una fame, un dire ben sapendo che si può perdere tutto. E non solo perdere la considerazione dei letterati di professione o dei moralisti barbosi. Soprattutto perdere l'idea che si aveva finora di se stesso. La poesia così, nel farsi sonda delle dimensioni del mondo, vasto e quotidiano, è anche rivelatrice delle doglie in cui nasce una nuova personalità. Spettacolo inusuale, appunto, sommovente». (Davide Rondoni) Nota introduttiva di Alberto Bertoni
"C'è un'aria tesa, di rischio. La poesia qui non è dopo, non è al riparo. È nel vivo della questione. È nell'oscurità chiara del vivente e del senso che non si spiega ma si presenta. Ci sono poeti che puoi sforzarti di seguire, e altri che devi seguire quasi come un cieco. Accettando la cecità che dapprima ti impongono. Chiuchiù è di questa seconda razza. Il suo nome stesso è un misterioso richiamo, come Pascoli volle fermare in suoi versi. Un visionario come lui sospeso tra il sempre morire e il lampo della verità. Questo libro non è addomesticabile. Non finirete dicendo: 'interessante'. Perché prende alla gola, e avvicina una fiaccola alle pupille. E vede se siete ancora vivi". (Davide Rondoni)
Raccolta di poesie. Partendo dal primo disegno di suo figlio, Franzin compone una mappa di luoghi e affetti, una sorta di caccia al tesoro dei sentimenti; in sintonia con la lezione del Manifesto del terzo paesaggio" di Clément: perchè sono sempre segnati nei margini gli indizi rivelatori. "
Si tratta di una raccolta antologica di scritti di Gibran sul tema dell'amore. Questa edizione presenta i brani come tessere di un disegno che apparirà alla fine: il discorso del profeta Almustafa sull'amore introdotto dalle parole «Quando amore ti chiama, segui il segno», che viene posto a conclusione e coronamento del volume a ricomporre un mosaico immaginario. La nota di fondo è la coniugazione tra amore e infinito, che si esprime nella convinzione che la vita non abbia limite nell'individuo e nella caducità, ma risponda all'eternità da cui scaturisce. Un amore che è tensione di tutto l'essere individuale e cosmico, in armonia con l'ambiente naturale.
Raccolta antologica dedicata agli scritti meno noti di Gibran, che costituiscono tuttavia il substrato imprescindibile della sua opera principale, Il Profeta. Pur essendo presenti numerosi temi - dal dolore alla gioia, dall'amore all'amicizia, dalla libertà alla saggezza -, un aspetto fondamentale è la relazione con il divino, che trova in Gibran una formulazione del tutto personale. Un altro filone rilevante è quello della poesia, intesa come creazione di bellezza. La bellezza, per lo scrittore libanese, ha un valore morale, è una condizione spirituale. Infine, particolarmente attuale risulta la sua attenzione per il creato e tutte le creature, in una visione che oggi potremmo definire ambientalista.
Archeologo medievista, autore e conduttore radiotelevisivo, autore di saggi e pubblicazioni varie, Umberto Broccoli realizza da venticinque anni in Rai programmi centrati sul recupero delle storie della storia. Qui è proposto un viaggio tra amori impossibili, sofferti, colorati e appassionati, raccontati da Catullo, Rufino, Properzio, Ibn Hazm, Shakespeare, e riletti con lo stile di "Con parole mie", il programmma di Radio 1 firmato da Broccoli con la collaborazione di Patrizia Cavalieri, da cui sono tratte le letture.
Nell'opera del Belli, la cui cupezza nichilistica e insolubile ambiguita' appaiono col tempo sempre piu' evidenti, i molti sonetti dedicati a temi delle Sacre Scritture formano una sorta di itinerario nascosto. Raccolti ora, per la prima volta, questi testi ci offrono l'occasione di ripercorrere, tappa per tappa, la storia sacra nella prospettiva strepitosamente comica e feroce del poeta. E cio' che certamente piu' colpira' il lettore di oggi sara' la sconcertante commistione fra uno straordinario acume teologico, che fa individuare al Belli con sicurezza tutti i punti piu' delicati della dottrina cristiana, e una furia distruttiva che non ha eguali nella poesia italiana dell'Ottocento, furia congiunta a quella inventivita' linguistica che permette al Belli di mettere alla temibile prova del suo romanesco i fatti piu' grandiosi della storia sacra senza affatto diminuirli, ma anzi quasi esaltandone la beffarda incommensurabilita' con i fatti della cronaca umana. Questa raccolta, corredata, oltre che da un'introduzione anche del saggio "La via dell'omo" e il quaresimale del Belli", da note esplicative dei termini romaneschi e da un ampio commento, e' stata curata da Pietro Gibellini.
Amore e disperazione, amore e ironia, che tanta parte hanno nella poesia di Auden e nella sua stessa esistenza, si distillano negli "Shorts" che a più riprese egli inserì nelle sue raccolte poetiche raggruppandoli in sezioni separate. Tre di queste sezioni sono recuperate nel presente volume. Si potrebbe parlare di epigrammi o di aforismi ritmati o di haiku in veste inglese, o anche rifarsi in certi casi al precedente di Edward Lear. Nel loro insieme essi formano, per parafrasare Iosif Brodskij, "la preghera di uno stoico".
Pubblicato nel 1728 all'interno del terzo volume di Miscellanee di Jonathan Swift e Alexander Pope, il Perì Bathous, o L'arte di toccare il fondo in poesia è una divertita esplorazione dei bassifondi del Parnaso, una velenosa spigolatura di assurdità estetiche, un prontuario di sovversione poetica ad uso delle teste di legno erudite - il tutto addobbato nelle contegnose vesti della trattatistica classica sul sublime. Questa spietata disamina delle cause e delle manifestazioni del cattivo gusto in poesia nasce come esercizio collettivo dello Scriblerus Club, il circolo informale di letterati e politici Tory che, a partire dal 1714, furono di fatto proscritti dall'attività pubblica sotto l'incontrastata supremazia Whig. A perfezionare l'opera sarà il solo Pope: la sua condizione di outsider, oltre alla fama e agli anticipi per le sue traduzioni omeriche, faranno di lui il primo poeta inglese capace di fondare il proprio successo soltanto sul pubblico, senza le ingerenze del mecenatismo. Fu una carriera che improntò un'epoca e raggiunse l'apice nelle Imitazioni di Orazio, una serie di satire, odi ed epistole in distici eroici sull'arte e la letteratura. Fra queste, l'Epistola al dottor Arbuthnot - qui pubblicata con testo a fronte - è il coronamento del «lungo malanno» che fu la vita di Pope: un capolavoro che fonde autobiografia intima, struggente elegia dell'amicizia e satira abrasiva in una deflagrante miscela di furia, decorum, malizia, malinconia e felicità espressiva.
«La mia ombra è come un buffone / dietro la regina...» ha scritto la Szymborska, un buffone che si è preso «corona, scettro, manto regale», ma anche il «pathos». La gravità, la profondità esigono lo schermo della discrezione, della leggerezza giocosa, dell'ironia. Non a caso, in questa strepitosa silloge di testi inediti - fortunatamente sfuggiti al cestino della carta straccia, per la Szymborska la più utile suppellettile di un poeta -, la sua musa, quando si manifesta, sembra arrancare «per le scale, ansimante / ... in scarpette ormai misere», ispirandole una sorta di metafisica del minimo: in particolare una toccante sintonia con gli oggetti, protagonisti fra l'altro di dieci favolette morali irridenti e beffarde. Eppure la musa della Szymborska è anche austera, intransigente, e non esita a metterci di fronte alla nostra fragilità, alle nostre assurde fedi: solo, lo fa a modo suo, trasformando per esempio l'insignificante congiunzione e nell'emblema di tutto ciò che non può durare in eterno: «Teresa Piotr, mi fate compassione, / nella selva del mondo il tempo a ogni occasione / accende come a San Giovanni un fuoco / e voi dovete scavalcarlo per gioco. ... ditemi quali sono i vostri nomi. Teresa e Kazimierz. / Piotr e Weronika. // Teresa Kazimierz Piotr Weronika».

