
Pierluigi Cappello, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Giacomo Vit, quattro tra i poeti più conosciuti del Friuli, ci accompagnano nei luoghi della poesia. Quattro diversi incontri a testimoniare come la parola possa ancora svelare il forte legame tra l'umanità e il mondo. Quattro diversi incontri dove il ritmo della poesia si intreccia mirabilmente al tempo d'ascolto delle immagini.
Poeti cristiani latini dei primi secoli è un'ampia antologia della poesia cristiana, dal II al VI secolo dell'era cristiana. I testi sono tradotti da settanta poeti italiani contemporanei, ognuno dei quali ha tradotto in linguaggio poetico un autore dell'antichità sul modello di precedenti antologie curate per l'editore Bompiani (Lirici greci e Poeti latini) dallo scrittore e poeta Vincenzo Guarracino che ha coordinato il lavoro di tutti. Alcuni autori tradotti: Lattanzio, Damaso, Ilario, Ambrogio, Prudenzio, Paolino da Nola, Agostino, Claudiano, Boezio. Tra i traduttori : P.Bigongiari, M.Luzi, R.Sanesi, P.Ruffilli, R.Mussapi, I.A.Chiusano, V.Volpini, A.Parronchi, R.Crovi, C.Ruffato, B.Garavelli, M.Beck, C.Ferrari, E.Coco, P.Lucarini, G.Ferri, G.Finzi, R.Nigro, G.Oldani, St.Zecchi, T.Crivellaro, F.Manzoni, P.Maffeo, S.Raffo, G.C.Pontiggia, M.Santagostini, F.Dainotti, F.Panzeri, V.Magrelli, R.Minore, C.Greppi, T.Rossi, E.Salvaneschi, L.Fontanella, O.Rossani, M.Cucchi...
Questo libro nasce dal ritrovamento, dopo più di trent'anni, di una serie di fogli scritti da Alda Merini nel lungo periodo di internamento in ospedale psichiatrico, quasi un decennio a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. Si tratta di lettere, poesie, pagine di diario indirizzate in gran parte al dottor G, ovvero Enzo Cabrici, il neuropsichiatra che l'aveva presa in cura e che firma la prefazione al volume. L'esperienza del manicomio è stata centrale non solo nell'esistenza, ma anche per l'opera di Alda Merini la quale, dopo essere stata restituita alla sua famiglia e al suo mondo, ha avviato una riflessione sulla vita all'interno dell'istituto che ha prodotto liriche e prose di grande intensità. Le pagine contenute in questo testo - scritte di getto, su suggerimento degli stessi medici - illuminano invece il percorso di Alda Merini nell'intervallo in cui il processo creativo si era interrotto a causa della malattia: la sofferenza angosciosa, gli incubi prodotti dalle pesanti terapie, la nostalgia delle figlie, la gratitudine per i segni d'amore ricevuti da qualche compagno di sventura e soprattutto, la fiducia nell'uomo "dolce e romantico", vestito dal camice bianco, che le ha restituito il dono salvifico della poesia.
Terribile e dolcissimo, enigmatico e sapiente: chi viene evocato in questo libro è il grande esiliato della coscienza contemporanea, il padre. In tutti i sensi in cui si voglia intendere questa figura così inattuale: il Dio Padre religioso, punto di riferimento di chiunque cerchi con ostinazione e umiltà il senso della propria vita; oppure il padre spirituale, àncora di conforto, confidenza, consiglio, quello che per Alda Merini fu la figura straordinaria di David Maria Turoldo, «un prete che diradava le tenebre, che accarezzava quelle carni rese putride dalla distanza, un prete che era la memoria». Il padre rappresenta simbolicamente l'origine e, nello stesso tempo, il Nulla a cui tutto tende. Lo cerchiamo senza saperlo, come ciechi o sonnambuli, a volte ce ne separiamo con rabbia e superbia, o lo dimentichiamo con insipiente vanità. Ma lui non ci lascia mai, e a noi non è concesso di lasciarlo, sembrano suggerirci questi versi, a tratti visionari e dolenti, ancora una volta di straordinaria potenza espressiva. Rovesciando i termini del rapporto filiale, la poetessa si chiede infatti: «Ma non è l¿uomo che sostiene Dio e , come un eterno Anchise, se lo porta sulle spalle e gli fa attraversare quel fondo di infinita solitudine che è la vita?» Quasi un destino che è impossibile sfuggire o esorcizzare. Un libro toccante che non consola né rassicura, ma interroga con muta insistenza le nostre coscienze di uomini moderni che credono di non avere più bisogno né di santità né, tantomeno, di un padre.
Quando ho cominciato a studiare poesia a Yale verso la fine degli anni Settanta, il primo nome di poeta che chiunque avrebbe nominato era John Ashbery. Era l’uomo del mo- mento, il poeta del quale bisognava aver letto i lavori più recenti se davvero si voleva conoscere lo stato dell’arte ed essere à la page. Quando qualche anno fa ebbi l’occasione di tornare a Yale, dopo un quarto di secolo, il poeta di cui più parlavano i giovani lettori, il cui ultimo libro era un passag- gio obbligatorio, il cui lavoro sembrava essere al centro del momento culturale, era ancora John Ashbery.
— Joseph Harrison, dall’introduzione
La grande innovazione delle poesie di Ashbery sta nel fatto che esse non spiegano né simbolizzano e nemmeno si riferi- scono a qualche esperienza che il poeta ha avuto, qualcosa che è fuori di loro e nel mondo, qualcosa di precedente. Le poesie non sono “su” nulla, sono loro a essere qualcosa, esse sono la loro stessa creazione, e sarebbe più giusto dire che il mondo è, invece, una loro chiosa, un saggio critico su di esse. Con tutta la sua modestia e amabilità, nondimeno questa è la grande asserzione simbolista di Ashbery: che il mondo esiste per finire in un libro.
Tratte dal libro di commenti al Vangelo Éclats d'Évangile, queste pagine accompagnano i testi biblici (citati rigorosamente in apertura di ogni lirica) fornendo un commento poetico a ciascuno di essi. È una poesia-preghiera quella di Muller-Colard, che nasce da "illuminazioni folgoranti" di fronte alla Parola meditata. Ma si tratta, come sa chi ben conosce l'autrice francese, di una preghiera spesso "laica", provocata dalla Bibbia e provocante nel quotidiano. La tradizione della poesia mistica vanta grandi nomi del passato, da Giovanni della Croce a Teresa di Lisieux; Marion Muller-Colard prova una strada nuova, originale, consapevole anche delle voci dei poeti più recenti. In un tempo in cui la poesia sembra ritrovare spazio anche sui banchi delle librerie, questo volumetto offre una chance a chi vuole meditare la parola di Dio in maniera originale, grazie alla voce non scontata di una delle più significative autrici spirituali di oggi.
Lo spreco di parole, di cui si fa veramente abbondante uso e consumo, spesso determina una confusione nel cuore e nell’agire dell’uomo: l’essenzialità non soltanto è necessaria, ma anche determinante per la coerenza dell’agire di ogni persona. La ridondanza, di contro, ha determinato e determina ciò che siamo: luce spenta vagante nel nulla dell’incomprensibilità. L’essenzialismo poetico tende ad abbracciare diversi campi del vivere: dalla poesia alla prosa, dall’arte tradizionale alla ricerca di una nuova espressione figurativa, dalla politica alla scienza, dalla teologia alla filosofia... insomma un po’ tutte le espressioni del genere umano nella loro essenzialità.
"Mia madre è un'arma" è la prima raccolta poetica dei registi (e gemelli) Damiano e Fabio D'Innocenzo, un'opera scritta a quattro mani per raccontare in versi sciolti del tempo contemporaneo e dei sentimenti che lo abitano, degli appartamenti in affitto, dei cani amati e dei genitori, del futuro che va registrato e tramandato, della scrittura che - come il cinema - vive di un gesto quotidiano e necessario, radicato nell'intimità delle cose più piccole, microcosmi emotivi, generatori di storie.
Un afflato poetico intenso permea i quattro Vangeli, perché ogni pagina e ogni riga canta l'amore appassionato del Padre dei cieli e di Gesù per tutti gli uomini; per tutti: vicini e lontani, buoni e cattivi, credenti e non credenti. E tutti siamo chiamati ad accogliere questo amore, abbandonandoci a Colui che ci ama e ha dato la sua vita per noi. Nel testo vengono proposte, in versione poetica, alcune riflessioni su avvenimenti salienti dei Vangeli.
"I tre drammi che qui si presentano ci portano al centro delle preoccupazioni dello Yeats maggiore, mostrando quanto in esse vi é€ di irrisolto e persino farraginoso ma anche l'ampiezza del suo orizzonte metafisico, speculativo e soprattutto poetico. Dalle grandi sistemazioni mitiche egli passa agli uomini che sbagliano e si tormentano: un torvo vecchio — senza alcuna classica gentilezza — davanti a una casa diroccata.
La scena nuda dell’umanità".Massimo Bagigalupo.
Alcune delle parole di Yeats girano intorno alla figura del Cristo, e alle "cose cui, stando alla teologia cattolica, andremo incontro al termine della vita: la morte, il giudizio, i luoghi-stati della mente che chiamiamo inferno, purgatorio e paradiso. Nei drammi cristici, ce ne sono certe che danno il turbamento di una verità cantata. Parole che insegnano come si poeta col martello, o che, più semplicemente, suonano come girotondi intorno a domande da bambino sfacciato". Massimo Morasso.