
Tre racconti, tre punti di vista, tre modi di descrivere una città e la sua periferia. Una città che può essere Napoli, Villeneuve, Newtown, Neustadt, Novigrad… Insomma, una di queste ‘Nea-polis’, di queste ‘città nuove’. Tre racconti diversi di Erri De Luca, Jennà Romano e Patrizio Trampetti, che si intersecano con le immagini di Sergio Siano e che pur vivendo di vita propria sono uniti dall’attaccamento alla terra Madre, simbolo di realtà e radicamento sul territorio. L’intensità e la varietà del tema, il contatto stretto con la città e la periferia, prendono vita nei racconti attraverso le parole e sullo schermo attraverso i volti e le testimonianze degli autori.
Irene America e suo marito sono logorati da un rapporto d'amore ormai degenerato. Gil è un pittore affermato, Irene l'ossessivo soggetto dei suoi quadri. Coronata dalla nascita di tre splendidi figli, l'unione di Irene e Gil dovrebbe rientrare nello schema del Sogno Americano. Invece, dopo molti anni di matrimonio, la loro vita sta precipitando in una spirale distruttiva, percorsa da tensioni e litigi. La spiegazione è in questa frase di Irene: "Tu vuoi possedermi. E io ho commesso un errore: ti amavo e ti ho lasciato credere che potevi farlo". Così la donna, sapendo che il marito legge di nascosto il suo diario, decide di servirsene per manipolarlo e comincia a tenerne due: uno per i pensieri che non vuole confidargli e l'altro in cui lo mette continuamente fuori strada e gli insinua gravi dubbi sulla propria fedeltà. Dalle sue note Gil ricava l'impressione di avere perso la sua presa su di lei. Irene non lo ama più. Irene si nasconde. Irene ha deciso di lasciarlo.
In un crescendo di egoismi e meschine vendette, sempre morbosamente attuate in una cornice di complicità, si arriva al drammatico ma inevitabile finale. Passo nell'ombra è la storia di un amore devastante ma nello stesso tempo unico e indissolubile.
È San Pietroburgo a ispirare e ospitare questi trentatré attimi di felicità sotto forma di altrettanti racconti. Sfila un serissimo carnevale di malavitosi, impiegati, prostitute, turisti, miserabili e milionari, maschere che si alternano e incrociano su un palcoscenico sempre mobile che si tinge di giallo, rosa, nero e rosso. Un microcosmo dove sesso e violenza sembrano spesso gli unici punti di riferimento. Un mondo illuminato da quella felicità che nessuno sembra trovare ma che si trova ovunque.
È una notte di primavera del 1867, a Londra. Una nebbia giallastra avvolge la città. In un vicolo buio viene uccisa una giovane donna: unico testimone, un corvo.
Il giorno dopo un ragazzo legge del crimine sul giornale e subito sente il bisogno di saperne di più. Il suo nome è Sherlock Holmes. Figlio di un intellettuale ebreo e di una nobildonna inglese, che per questo matrimonio è stata ripudiata dalla famiglia, il ragazzo è brillante, dotato di una straordinaria capacità di osservazione, ma insofferente al ruolo che la vita gli ha imposto. Sherlock si appassiona al caso e intuisce che il colpevole individuato dalla polizia è solo un capro espiatorio. Ma lui stesso viene considerato un sospetto da parte degli investigatori, che lo trovano troppe volte sulla scena del crimine.
Nella disperata ricerca di giustizia, il ragazzo prosegue la sua indagine indizio dopo indizio, finché non riesce a "vedere" il delitto con gli occhi del corvo che vi ha assistito. La soluzione del caso, però, sarà pagata a caro prezzo.
Disseminati come indizi, in quest'avventura ci sono tutti gli elementi che ci permettono di capire perché Sherlock Holmes sia diventato il più grande detective del mondo.
C'è un patrimonio di inestimabile valore nascosto in una lussuosissima villa di Hollywood Heights. Si tratta di una collezione di vini tra i più pregiati e preziosi che si possano trovare sul mercato: Lafite Rothschild, Latour, Margaux, Figeac, Pétrus. Ogni bottiglia vale migliaia di dollari e Danny Roth, un ricco avvocato, le conserva gelosamente, lontano da occhi indiscreti. Ma un giorno commette un errore e accetta di parlare dei suoi favolosi esemplari al «Los Angeles Times» per un'intervista illustrata. Un peccato di vanità fatale, perché, durante la notte di Natale, qualcuno fa irruzione nella villa e i vini vengono rubati. A indagare sul furto viene assoldato Sam Levitt, un investigatore privato dal passato oscuro e rocambolesco: prima ladro-gentiluomo, poi avvocato.
Sam è l'unico in grado di risolvere velocemente questa spinosa questione, proprio grazie ai suoi trascorsi non proprio limpidi. Per localizzare una refurtiva così preziosa le prime ore sono fondamentali. Ecco perché Sam non perde tempo e inizia subito un viaggio che dai filari di viti della California lo porta fino ai vigneti baciati dal caldo sole del Sud della Francia, a Bordeaux, la capitale mondiale del vino.
Qui, aiutato dalla bellissima e misteriosa esperta di vini Sophie Costes, si mette sulle tracce di un ricco collezionista di Marsiglia, monsieur Reboul.
È solo un caso che l'uomo, l'anno prima, abbia tentato di comprare parecchi dei vini scomparsi? Per scoprirlo Sam e Sophie dovranno addentrarsi nei bui corridoi della cantina di Reboul, anche usando mezzi non del tutto leciti...
Dopo il grande successo di Un'ottima annata, Peter Mayle torna nel Sud della Francia per regalarci un giallo gustoso e seducente.
Un bouquet perfetto che unisce cibo, vino e avventura e che sicuramente soddisferà anche i palati più esigenti.
“In tutto e per tutto sono stato a Trieste cinque o sei giorni della mia vita, in occasioni diverse e sempre per motivi di lavoro. Su tutti una sera tarda (o forse era già notte?) in cui una bionda e bella ragazza giuliana mi condusse per mano lungo le viuzze del ghetto, al modo di una cerimonia dell’assaporamento della triestinità che entrambi volevamo scarna ma intensa. Sostammo innanzi alla serranda sprangata della libreria appartenuta a Umberto Saba. Per le strade di quell’angolo di Trieste non c’era una persona, non una voce, non un rumore. Solo una sorta di fruscio.
Un frusciare come di anime che non si davano pace, almeno così a me parve.”
“Se uno che scrive non si caccia nei guai, che razza di scrittore è?”
“Città atta agli eroi e ai suicidi, dannata come da una diffusa inquietudine interiore, crogiuolo di lingue e di etnie, avamposto della modernità.
Trieste è una città dove si parla indifferentemente lo sloveno, il dialetto triestino, il tedesco, l’inglese, il francese, e dove si sono mescolati il sangue e le storie familiari di tutte le genti del centro d’Europa.”
Nella mente i ritratti dei Dubliners di Joyce, Giampiero Mughini cammina tra le vie della città di Svevo, Slataper, Benco, di Carlo e Giani Stuparich, Saba, Rosso e Magris: nascono così incontri umani e letterari sulle tracce degli eroi che hanno forgiato il carattere di una città cosmopolita, con il fascino di frontiera di un luogo fuori dal tempo. L’invenzione della modernità, tra romanzi incompresi e libri inseguiti, passa dalla scrittura “dilettante” del figlio di un industriale del vetro, conosce il fascismo e le leggi razziali, soffre l’irredentismo e il dramma delle foibe, e si racconta con passione in un viaggio per luoghi e personaggi, lungo le strade affacciate sul molo Audace.
Giampiero Mughini
Nato in Sicilia da padre toscano, vive e lavora a Roma.
Questo è il suo ventiduesimo libro.
“Ascoltare il tuo giardino,
abbandonarsi alla sua voce,
significa abbandonarsi alla voce più segreta
e più folle che è in te.”
Un ironico manifesto di resistenza botanica, che offre uno spaccato della nostra società partendo dalla polemica contro i giardini alla moda, attraverso i ritratti pungenti e spietati dei loro proprietari. Dai giardini dei collezionisti fanatici, ossessionati dalle rarità al punto da scordare il piacere dell’aspetto o del profumo dei fiori, ai giardini delle signore per bene, finti perché viziati da un’inventiva meccanica; e ancora i giardini miliardari, status-symbol senza passione, affidati a professionisti dai nomi inevitabilmente inglesi, i garden-designer, o le aiuole artefatte che fanno mostra di sé nelle rotatorie urbane, fino ai giardini porno, in cui la natura esprime senza pudori la sua sfacciata sensualità. Ma in questa valle degli orrori ci sono anche sorprese piacevoli, come i giardini dei benzinai, orti selvaggi e imprevedibili, concimati dall’inquinamento, che per qualche bizzarria della natura danno vita a creazioni toccanti. Un viaggio in punta di foglia, che invita il lettore a riconoscersi nei vizi e virtù dei tipi umani raccontati, e costringe a fare i conti col giardino segreto che è in ognuno di noi.
Umberto Pasti è nato a Milano. Ha collaborato a “il Giornale” e a “La Voce” di Indro Montanelli con articoli sull’arte e sulla letteratura. Ha scritto di viaggi, di costume e di attualità su periodici italiani e stranieri (“Vogue”, “Elle”, “House and Garden”, “The World of Interiors”). Ha tradotto per La Tartaruga le lettere di Marcel Proust alla madre (1986). Esperto di ceramica islamica e appassionato di botanica, vive a Milano, a Tangeri e nei pressi di un villaggio nel nord del Marocco.
Il Saggiatore ha già pubblicato L’età fiorita (2000, finalista al Premio Viareggio) e L’Accademia del dottor Pastiche (2008), da Bompiani è uscito nel 2010 Giardini e no. Manuale di resistenza botanica (4 edizioni).S
I corpi privi di vita di due senzatetto vengono ritrovati nella periferia di Brescia. La ricca e bella moglie di un medico molto in vista nella città viene barbaramente uccisa davanti a casa sua. Due casi di omicidio apparentemente lontanissimi, ma entrambi molto scomodi perché attirano l'attenzione pubblica. Due casi che scottano sulla scrivania del commissario Miceli. Ma anche questa volta Miceli non sarà solo a sbrogliare l'intricata matassa: al suo fianco, oltre ai collaboratori più fidati troveremo l'ex giudice Petri, che, assetato di giustizia e insofferente della sua altrimenti noiosa vita da pensionato, non esita a buttarsi in una nuova indagine. Ma se il primo caso sembra non trovare risposta - chi poteva avercela con due barboni che non avevano mai dato fastidio a nessuno? - il secondo parrebbe averne troppe, perché molti potevano avere interesse a togliere di mezzo la bella signora -il marito, dall'alibi zoppicante, l'amante troppo giovane per lei, il marito dell'amica assetato di soldi... Un giallo noir teso fino alle ultime pagine.
In una casa sul mare, una giovane donna, schiva e solitaria, assiste il padre malato con la stessa devozione che riserva ai suoi fiori, confinati al caldo, in una serra. Tra quelle alte mura, avamposto di una terra chiusa e inospitale, c’è solo silenzio, un lento rincorrersi di gesti che si ripetono uguali da anni, da quando suo padre è immobilizzato in un letto.
Una notte un uomo che sa di vento e di sale forza l’immota tranquillità di quella casa, spingendosi al di là del cancello, oltre il recinto che separa e che allontana, ma il cane, che è il custode di quel regno, lo aggredisce ferendolo a un fianco. È straniero, parla una lingua sconosciuta, ha sul corpo i segni di un lungo viaggio e negli occhi l’ombra di un passato doloroso. Da quando, da qualche giorno, una misteriosa nave color petrolio è approdata nel porto, a ostruire l’orizzonte, la giovane donna non pensa ad altro che a partire. Aprire la porta a quell’uomo indifeso, spaventato, bisognoso delle stesse cure di cui suo padre non può più fare a meno, farlo entrare senza chiedersi perché, rappresenta la sua grande occasione. Lei vorrebbe una vita altrove, lui nasconde una storia.
La cura è il romanzo di un amore fatto di silenzi, che vive di gesti, perché se non c’è una lingua da condividere, le parole si fanno deboli, fragili, inconsistenti. È il racconto di una guarigione che attraversa il corpo per arrivare fino all’anima. È la storia della fuga di chi è costretto a partire, della voce di chi si ritrova a cercare, e di porte che si aprono e non si chiudono.
Quella nave è come te. Non si sa perché sei venuto e non si sa perché te ne andrai.
Siamo in provincia di Sassari. A undici anni il piccolo Mario, rimasto orfano di madre, viene abbandonato dal padre e inizia a vagare per le campagne in cerca di un lavoro, che significa cibo e riparo. Pastore di capre prima e poi manovale nei campi, attraversa in lungo e in largo una terra abitata da miserabili, da prepotenti, da persone umane e generose. La natura aspra e selvaggia. La povertà assoluta. I briganti. La diffidenza. Le superstizioni. Mario cresce affrontando tutto questo e il suo cammino è la più avvincente delle avventure. Senza mai arrendersi, con lo sguardo pulito, il coraggio della disperazione e un cuore che si mantiene sempre buono nonostante tutto. Sullo sfondo, gli anni del Dopoguerra e un'Italia lontana contadina, che Mario incontra talvolta nelle città della costa, o quando una troupe cinematografica arriva a girare sulle sue montagne, o quando entra per lo prima volta alla Rinascente... “Nato all'inferno” è il racconto autobiografico della vita di Mario Gregu, dal suo primo ricordo alla sua partenza per emigrare prima in Germania e poi a Milano, la città dove vivrà per anni e troverà sicurezza economica e serenità prima di tornare da pensionato in Sardegna.
La prima settimana di libertà dell'irreprensibile maggiordomo inglese Stevens diventa occasione per ripensare la propria vita spesa al servizio di un gentiluomo moralmente discutibile. Stevens ha attraversato l'esistenza spinto da un unico ideale: quello di rispettare una certa tradizione e di difenderla a dispetto degli altri e del tempo. Ma il viaggio in automobile verso la Cornovaglia lo costringe ben presto a rivedere il suo passato, cosi tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge dì aver vissuto come un soldato nell'adempimento di un dovere astratto senza mai riuscire ad essere se stesso. Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo? Da questo romanzo di Ishiguro, acclamato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e vincitore del prestigioso Booker Prize, nel 1993 il regista americano James Ivory ha tratto un famoso film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson.
San Carlo, Maremma Toscana. Il conte Alinaro Bonaiuti ha invitato nel suo maniero degli ospiti per la battuta di caccia del fine settimana; tra questi, c’è il noto gourmet Pellegrino Artusi. La prima sera del week-end, a cena, il padrone di casa è di umore allegro. Accenna ad una grossa vincita ai cavalli, quindi invita gli ospiti nella sala da fumo dove brinderanno alla vincita. Poi, scusandosi, spiega di non poter bere champagne per i suoi problemi di stomaco, e ripiega sul suo solito Porto. Durante la notte si sente male. Questa volta Malvaldi si cimenta con un giallo di impianto classico - l’ambientazione ottocentesca, il castello, i delitti, la nobiltà decaduta, il maggiordomo - illuminato però dalla presenza di Artusi, il grande gastronomo che con la sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” dette dignità alle pietanze di tutti i giorni. Sarà proprio Pellegrino - studioso di storia naturale oltre che letterato - a trovare con il suo acume e la sua curiosità la chiave per arrivare alla verità, mentre Malvaldi - lasciati per il momento i quattro vecchietti del BarLume - ci consegna il magnifico ritratto di un italiano memorabile che si muove a suo agio in mezzo a personaggi di invenzione.