
Settantatré anni prima di Cristo, quando nessun dio e nessun uomo sembravano in grado di minacciare i destini della Città Eterna, uno schiavo decise di spezzare le catene in cui era avvolto e, accompagnato da un pugno di seguaci disposti a tutto, portò il suo attacco al cuore di Roma. Comincia così la storia di Spartaco, il gladiatore. Un'epopea di libertà che attraversò la penisola italica riuscendo a sconfiggere a più riprese le apparentemente invincibili legioni romane. Un'avventura straordinaria capace di vibrare nel tempo e di riportare in vita una figura leggendaria.
Un uomo è bloccato di notte sulla sua barca in un fiume, tra la nebbia. Ogni sforzo per spostarla è inutile. Il cuore gli batte in gola. Quasi lo soffoca. L'inquietudine e il mistero dominano la sua mente. Solo all'alba e all'ultima riga si scoprirà il perché.
Lui, lei e l'altro. Un giro di carte per prevedere la volontà di un destino inafferrabile. Paura, passione, senso di colpa. E fede, vita, morte. Lui, lei e l'altro.
Una giovane e avvenente storica, un onesto console romano. In mezzo, duemila anni di storia. Un avvincente giallo sullo sfondo del mare delle isole Eolie, perfetta scenografia di un'avventura densa di colpi di scena, tra i misteri della storia antica e i segreti nascosti nel più recente passato. Il quinto relitto. Relitti e delitti nel mare delle Eolie.
Ognuno di noi è la somma delle esperienze che ha fatto, delle persone che ha incontrato e dei luoghi dove è stato, dei libri che ha letto e dei film che ha visto, delle storie che ha ascoltato. Per questo "le radici sono sempre plurali" e sono sempre in movimento, in continuo divenire: "rispetto all'identità, le radici sono il cammino, sono le strade, più lievi da percorrere e da portare come bagaglio, perché camminano insieme con noi". Seguendo la fitta rete dei loro incroci e delle loro divaricazioni, Gian Luca Favetto racconta radici che, come per ognuno di noi, si diramano nello spazio e nel tempo: radici che nascono da un torrente, da un campo di calcio, da una pagina scritta, da uno schermo cinematografico. Parte dal Vietnam, dove ha radici il suo albero genealogico, e ci porta nella campagna piemontese, a Venezia, a Benares, a Madrid, in Giappone, per farci conoscere le persone che, anche con un solo sguardo, hanno cambiato il corso della sua vita. Perché "se insegui radici trovi persone"; perché è il racconto che incatena e incanta, incastonando ogni momento nelle nostre vite. "Le vite sono fatte di storie più che di atomi e ciascuno ha le sue, ciascuno è le sue storie. Diventano sue anche quelle degli altri, se ascoltate, poiché l'ascolto le fa rivivere. E nelle storie affondano le radici".
La Riviera dei Fiori è un corteo di paesi lungo una strada a picco sul mare, l'Aurelia, dove si vive in apnea aspettando l'estate. È una cascata di borghi aggrappati alle colline, stesi al sole come lucertole, in procinto di scivolare. Case addossate come squame di una pigna, grovigli di carugi, cattedrali di ulivi: per conquistare la cima non puoi avere fretta, devi imparare a respirare. È Sanremo con la sua mitologia dei fiori come una storia d'amore finita. È il Festival come un'ostinata speranza. È Oneglia con le ciminiere dismesse in riva al mare, Dolceacqua con la sua bellezza minerale, Apricale con le raffiche di luce. Triora con le pareti d'ardesia a intrappolare streghe. La Riviera dei Fiori sembra l'Italia: ci sono il cemento, le alluvioni, la 'ndrargheta, l'emergenza rifiuti, i ghetti albanesi e nordafricani. Ma è più dell'Italia: è un racconto apocalittico, risorgimentale, un racconto della Resistenza, una fiaba. La Riviera dei Fiori non assomiglia a niente, perché è un mondo pensato in verticale.
Pochi sanno delle Alpi segrete. Eppure lassù si nascondono itinerari e storie che non si faranno dimenticare. "Le Alpi segrete sono isole meno note del grande arcipelago alpino. Isole dove sopravvive la convinzione che esistano tipi fisici speciali, o dove si trovano i segreti di vecchi alpinisti, o dove ricompare l'orso, o dove si riscoprono antiche chiese affrescate. Le Alpi segrete sono spazi sfuggiti a quel turismo che mira alla definizione di rassicuranti stereotipi. Sono invisibili perché programmaticamente ignorate dalla nostra cultura." Quando si dice Alpi, i più pensano subito alle solite (poche) cime famose: il Cervino, il Monte Bianco, il Gran Paradiso, le Dolomiti. Oppure alle località più alla moda. In realtà questi luoghi dell'industria del turismo non sono che spazi circoscritti. Oltre alle montagne da cartolina, si apre, infatti, il vasto 'mare alpino', un mondo appartato, in gran parte sconosciuto. Marco Albino Ferrari, che nel corso degli ultimi vent'anni ha percorso quelle vallate e quelle cime, racconta le loro storie e ci accompagna fra meraviglie ormai destinate a sparire nell'oblio, fra i ricordi dell'antica società montanara e l'epica della scoperta delle alte quote.
"All'ennesima domanda dei giornalisti, Andrea, un ragazzo di 19 anni, si guarda intorno: 'L'abbiamo ripulita bene. Non è bella?'. Parla di Verona: 'Ce la siamo ripresa la nostra città. Fuori gli immigrati e tutti i balordi. Li abbiamo cacciati dal centro storico. E ogni tanto, quando ne incontriamo qualcuno, diamo loro una lezione. Dite la verità, non è più bella così?'. Verona, città bella, colta, elegante, ha tante anime. Una di queste anime è nera come il buio della notte." E colori scuri caratterizzano anche altre città del Nord d'Italia, che le statistiche raccontano essere la zona più ricca d'Europa ma con primati poco rassicuranti: nella classifica della crescita dei delitti tante province, dal Piemonte al Veneto, occupano i primi posti. Il 45% delle violenze in famiglia avviene proprio qui, dietro le finestre illuminate di queste zone benestanti. Stefano Nazzi entra in queste case, visita le piazze di piccoli paesi di 3000 abitanti in provincia di Vercelli, fra i torrenti Giara e Cervo e il fiume Sesia, o gira nelle vie di metropoli come Milano, per capire cosa accade. Che cosa anima violenze spesso senza risposte, come quella delle tre ragazzine che uccisero suor Minetti nel 2000 e che non hanno mai saputo rispondere alla domanda più semplice: perché? O la calma con cui Alberto Arrighi, nel febbraio 2010, dopo aver ucciso un uomo telefona al suocero dicendo: "Ti devo parlare, ho fatto una sciocchezza". Una inchiesta giornalistica su cosa nasconde l'apparente normalità.
"Se uno volesse capire cos'è la Sardegna oggi, nel 2011, aldilà dell'estate e delle vacanze organizzate, dei cori a tenore e dei nuraghe, delle fiabe e delle leggende, che cos'è la vita normale per la stragrande maggioranza di chi abita permanentemente nell'isola del Mediterraneo chiamata Sardegna, se uno volesse capirlo davvero, dovrebbe prendere la macchina e guidare da Cagliari viale Marconi a Quartu Sant'Elena, poi tornare indietro passando per Quartucciu, Selargius, Monserrato, Pirri. Un simile giro in automobile, nell'enorme, sterminata periferia cagliaritana, con il tipico continuo alternarsi di casette ingrandite e palazzetti non finiti, centri commerciali e orti abbandonati, capannoni malandati e scintillanti villette a schiera, multisala e parcheggi, centri storici campidanesi e palazzi di edilizia popolare, un simile giro in automobile sarebbe il modo migliore per capire questa terra, il regno di Marco Carta, dove Amici è la Bibbia, dove la De Filippi è la madre nostra che da senso al giorno che arriva, dove Dimensione Danza non è una marca, ma una scelta di vita."
"Mi pare riduttivo nominarla. Preferisco il nome comune di luogo: l'isola. Appartata, inaccessibile. Eccentrica. Approdo e punto di fuga. Invece parlo proprio di Stromboli. Mi è sembrata un'eccellente idea fermarmi sotto il vulcano. Al culmine della mia carriera di irrequieta. Dato che nulla è permanente, nemmeno una casa, nemmeno le cose, nemmeno la vita umana. Mi esercito alla provvisorietà. Cerco un senso d'impermanenza. Una marcia di avvicinamento al distacco. È la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. Sono, finalmente, lontana. Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. Non lo so. Mi sento lontana e basta". Lidia Ravera ha eletto Stromboli a suo domicilio rifugio, una scelta non casuale, adeguata a chi come lei è "in conflitto perpetuo col suo tempo". Un'isola per casa per sperimentare una temporalità diversa, quella del presente e non quella di un futuro da rincorrere. Per appropriarsi del tempo della natura, il tempo della contemplazione. Solitario. Da contrapporre al tempo che fugge, delle carriere e delle ambizioni, delle seduzioni, dei confronti e degli impegni di militanza politica e culturale. Un tempo nuovo, di qualità, contrario al tempo dell'ansia dell'esserci, testimoniare, essere visti, darsi da fare.
Il percorso che in questo libro ci porta in Pakistan parte in qualche modo dall'Italia e ci conduce proprio ad Abbottabad, la cittadina dove Osama bin Laden si è nascosto ed è stato ucciso. La voce narrante è italiana (per parte di padre) e ha trascorso diversi anni della sua giovinezza in quella località, dove spesso ritorna per ritrovare luoghi e persone che le sono entrati nel cuore. Il racconto di Anna Mahjar-Barducci ci fa conoscere però il Pakistan più vero. Con un'attenzione profonda e piena di rispetto, ma anche con leggerezza e gusto del dettaglio, l'autrice descrive la realtà difficile e contraddittoria di un paese in bilico fra tradizioni millenarie e modernità, grandi ricchezze e povertà estrema, restrizioni della libertà individuale e desiderio di evasione. I luoghi d'incontro dei giovani, le loro feste proibite, gli individui nella loro intimità, i movimenti che combattono l'estremismo, le donne coraggiose che lottano per i loro diritti, la resistenza della parte più conservatrice della società e del clero. Come in ogni viaggio, i ricordi sono accompagnati da sapori e profumi, impossibili da ricreare con le parole, ma che rivivono attraverso la cucina, espressione della cultura di un popolo. Ecco perché i diversi capitoli sono intervallati dalla descrizione di piatti legati alle storie narrate, di cui l'autrice ha trascritto le ricette tradizionali.